Perché proprio il 25 dicembre?
E altre cose da sapere prima di festeggiare il Natale, dal nuovo numero di "Cose spiegate bene": da dove arrivano l'albero e Babbo Natale, chi erano i re magi e un po' di chiarezza sulla cometa
L’ultimo numero di Cose spiegate bene, il libro-rivista trimestrale del Post che si occupa di raccontare temi singoli, è uscito a metà novembre, si intitola A Natale tutti insieme ed è dedicato al Natale. Fra i tanti argomenti affrontati legati a questa festa c’è anche una spiegazione della sua origine, delle diverse tradizioni che la accompagnano, dai re magi alla stella cometa, e delle date differenti in cui si celebra nelle diverse parti del mondo, che pubblichiamo qua sotto.
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Cominciamo dai fondamentali. Il Natale, che cattolici e protestanti celebrano ogni anno il 25 dicembre, è una festa in cui si ricorda la nascita di Gesù: ma anche prima che i cristiani la istituissero molte culture organizzavano delle celebrazioni in questo periodo. Non si sa con esattezza da quanto tempo i cristiani festeggino il Natale, ma è almeno dal 336 d.C., come è indicato nel Cronografo del 354, una specie di calendario che è il primo documento a contenere un riferimento al Natale.
Però nessuno dei Vangeli suggerisce in quale mese dell’anno potrebbe essere nato Gesù e nemmeno l’anno, tanto che quello che consideriamo l’anno 1 è l’anno 1 solo perché un monaco di nome Dionigi il Piccolo stimò male la data di nascita (e tra l’altro, il nostro calendario parte dall’assunto che l’anno di nascita di Gesù sia stato l’1 avanti Cristo, e che non esista quindi un anno Zero). Per secoli i primi cristiani proposero varie date in cui secondo loro poteva essere nato Gesù, tra cui il 18 novembre, il 28 marzo e il 20 maggio. Il 25 dicembre è stato infine scelto non perché i cristiani del IV secolo pensassero che fosse nato in quel giorno, ma per «cristianizzare» le feste pagane che si celebravano già nell’Impero romano alla fine di dicembre: i Saturnali e la festa del cosiddetto «Sole Invitto».
Cos’erano i Saturnali, cioè il Natale prima del Natale
I Saturnali, Saturnalia in latino, si celebravano dal 17 al 23 dicembre in onore del dio Saturno, il corrispettivo del greco Crono. Come avveniva anche con le antiche feste che con il tempo si sono trasformate nel Carnevale, durante i Saturnali le comuni regole sociali venivano invertite: tra le altre cose capitava che i padroni servissero a tavola i loro schiavi. Se molte persone oggi pensano che il Natale sia il giorno più bello dell’anno, il poeta Catullo già chiamava «Optimo dierum», il migliore dei giorni, il 17 dicembre. Molte tradizioni dei Saturnali si sono trasmesse al Natale cristiano e tra queste lo scambio dei regali, che avveniva nel giorno del Sigillaria: si donavano e si ricevevano statuette che riproducevano figure umane o animali, i sigilla appunto.
Dalla fine del III secolo il calendario civile romano indicava come solstizio d’inverno – che oggi collochiamo astronomicamente il 21 o il 22 – il 25 dicembre. In tutte le antiche culture dell’emisfero boreale il solstizio d’inverno viene festeggiato perché è il giorno dopo il quale le giornate ricominciano ad allungarsi, e per questo è legato alle divinità solari. Sempre dal III secolo, il 25 dicembre nell’Impero romano si festeggiava anche il dio del Sole Invitto, che riuniva in sé vari dèi solari di diverse religioni: il greco Helios, il siriano ElGabal e il persiano Mitra. Negli ultimi secoli dell’Impero romano, prima che il cristianesimo diventasse la religione ufficiale, non erano rari questi culti che sovrapponevano varie divinità creando nuove religioni. In particolare, la religione del Sole Invitto era una di quelle che già prima dell’affermarsi del cristianesimo si avvicinavano al monoteismo. Il 25 dicembre fu scelto come giorno della nascita di Gesù per «coprire» la festa del Sole Invitto e avere un’ulteriore argomentazione per convincere i pagani a convertirsi: non avrebbero perso la loro festa una volta diventati cristiani. La figura di Gesù venne proposta a questi pagani come quella del «vero» Sole.
Le altre tradizioni natalizie
Nel corso del tempo e con la diffusione del cristianesimo, il Natale si è arricchito di molte altre tradizioni a loro volta provenienti da altre celebrazioni del solstizio d’inverno. L’albero di Natale, per esempio, arriva dalla tradizione germanica della festa del solstizio d’inverno, chiamata Yule; nelle lingue scandinave il periodo del Natale si indica tuttora con espressioni che derivano chiaramente da questo termine, Jul in svedese, danese e norvegese, Jól in islandese. Altri elementi tradizionali pagani sono passati invece alla festa di Capodanno, invece che al Natale: tra questi i fuochi e i falò che venivano accesi per il solstizio.
La storia dietro Babbo Natale invece è più complessa. L’Encyclopedia Britannica spiega che questa figura è nata a partire da quella di san Nicola di Bari – anche noto come san Nicola di Myra, città nell’attuale Turchia di cui era vescovo: il corpo fu portato a Bari dopo la morte –, che si celebra il 6 dicembre; il culto di questo santo è sempre stato legato all’idea dei doni recapitati ai bambini. E nel tempo la sua figura si è evoluta in quella di Babbo Natale, passando per il Sinterklaas olandese, portato nella colonia americana di New Amsterdam, poi diventata New York, e lì trasformatosi in Santa Claus: la sua rappresentazione più diffusa, quella di un uomo panciuto con barba e capelli bianchi, vestito di rosso, sebbene già presente in alcune raffigurazioni precedenti, si deve alle campagne pubblicitarie natalizie create a partire dal 1931 dall’illustratore Haddon Sundblom per la Coca-Cola. Con il diffondersi della cultura americana nel mondo, dopo la Seconda guerra mondiale, Babbo Natale è diventato popolare anche in Italia, dove nella maggior parte delle regioni ha preso il posto di Gesù bambino, santa Lucia o san Nicola nel portare i doni ai bambini.
Calendari diversi e natali a gennaio
In molti paesi del mondo il Natale si festeggia invece il 7 gennaio e non il 25 dicembre. Il motivo della differenza nelle date tra cristiani orientali e ortodossi da una parte e cattolici e protestanti dall’altra risale all’antica Roma, e ha a che fare con una differenza di calendario: i cattolici e i protestanti usano quello gregoriano, mentre il calendario delle festività degli ortodossi, il calendario liturgico, è indipendente da quello civile e basato sull’antico calendario giuliano.
Nel I secolo avanti Cristo l’astronomo Sosigene di Alessandria elaborò il calendario giuliano, che introduceva gli anni bisestili ogni quattro anni, per allineare il calendario alla durata dell’anno solare, che è di 365 giorni e 6 ore circa. Il calendario giuliano venne adottato nel 46 a.C. come calendario ufficiale da Giulio Cesare in qualità di pontefice massimo, cioè supremo sacerdote di Roma, che aveva l’incarico, tra le altre cose, di tenere il conto ufficiale degli anni. Da lì a poco Roma avrebbe dominato direttamente o indirettamente tutto il bacino del Mediterraneo e qualcosa anche oltre, diffondendo insieme alle strade, alle terme e alle fogne anche il proprio calendario. Ma i calcoli di Sosigene avevano un problema: sovrastimavano la durata dell’anno solare di undici minuti e qualche secondo. Questo significava – e all’epoca già si sapeva – che ogni 128 anni il calendario giuliano si sarebbe ritrovato in ritardo di un giorno rispetto alla posizione del sole.
Si arrivò così al 1582, anno in cui, secondo le osservazioni astronomiche, la primavera era già cominciata quando il calendario segnava ancora l’11 marzo. Il problema principale, però, non era tanto avere solstizi ed equinozi nei giorni sbagliati, ma che risultava sbagliato il calcolo della Pasqua (legato all’inizio della primavera): le celebrazioni non venivano più officiate nel giorno giusto.
Papa Gregorio XIII prese dunque la decisione di cambiare le regole e impose il calendario che usiamo ancora oggi, il calendario gregoriano. La riforma di Gregorio XIII fu piuttosto drastica: per recuperare i giorni perduti venne stabilito che dopo venerdì 4 ottobre si sarebbe passati direttamente a sabato 15: i dieci giorni in mezzo, in questo senso, non sono mai esistiti.
Questo però non avrebbe risolto, per il futuro, il problema della durata media dell’anno. Per evitare di perdere altri dieci giorni nel migliaio di anni successivo venne stabilito che gli anni multipli di 100 sarebbero stati bisestili soltanto se fossero stati multipli anche di 400. Con il nuovo calendario l’errore annuale venne ridotto da undici minuti e qualcosa a soli 26 secondi: il calendario gregoriano, quindi, sbaglia di un giorno ogni 3.323 anni.
Poi c’era un altro problema, di natura storica e religiosa. Alla fine del Cinquecento, all’epoca di Gregorio XIII, l’Europa occidentale era ormai saldamente divisa tra cattolici, luterani e calvinisti, mentre l’Europa orientale era quasi tutta, da più di cinque secoli, di fede ortodossa. Chi non era cattolico non vedeva di buon occhio le novità che arrivavano da Roma. La riforma venne quindi subito adottata dai paesi cattolici e dai territori a essi sottoposti: Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Polonia, Belgio, Paesi Bassi e gran parte della Germania meridionale. I paesi protestanti invece si adattarono soltanto nel corso del XVIII secolo, quando le rivalità religiose si erano affievolite e quando ormai gli scambi frequenti tra i paesi avevano reso i due diversi calendari una vera seccatura.
I paesi ortodossi rimasero i soli a seguire il calendario giuliano: erano molto più lontani, avevano molti meno rapporti con i paesi che avevano adottato la riforma e quindi la discrepanza tra i due calendari portava a meno equivoci. E poi, a causa dello scisma tra la Chiesa orientale e quella cattolica avvenuto poco dopo l’anno Mille, non accettarono di compiere i loro riti sulla base di un calendario introdotto proprio dal Papa, di cui non volevano riconoscere la supremazia. A Oriente si mantenne dunque il vecchio calendario e si è continuato a festeggiare il Natale tredici giorni dopo la data gregoriana, cioè il 7 gennaio. Le altre feste «scalano» di conseguenza: l’Epifania è il 19 gennaio.
Oggi il Natale ortodosso è celebrato da circa 260 milioni di persone in tutto il mondo. Alcuni ortodossi hanno preferito però adattarsi al calendario gregoriano: il Natale greco, per esempio, coincide con quello cattolico. Altri paesi hanno invece fatto la scelta di affiancare il 25 dicembre alla tradizionale festività ortodossa, e quindi di concedere un giorno festivo in entrambe le date. Lo hanno fatto la Moldavia nel 2013 e l’Ucraina nel 2017.
In Ucraina poi la questione è particolarmente complicata dagli ultimi anni di conflitti con la Russia (prima nel 2014, poi l’invasione del 2022), che hanno portato alla separazione della Chiesa ortodossa ucraina da quella russa e a crescenti divisioni. Nel 2022 per la prima volta la Chiesa ucraina ha consentito anche ai fedeli ortodossi di celebrare il Natale il 25 dicembre anziché il 7 gennaio come tradizione, provocando molte polemiche in Russia.
Un altro caso è quello della Chiesa armena, che festeggia il Natale il 6 gennaio. Si tratta di una storia ancora diversa, che non ha nulla a che fare con il calendario. Nei Vangeli non si parla della data della nascita di Cristo e per tutti i primi secoli di storia del cristianesimo vennero usati giorni diversi per la Natività. Come abbiamo detto, queste date venivano spesso scelte perché coincidevano con festività preesistenti. Le due più usate erano il 25 dicembre e il 6 gennaio. Nel IV secolo un imperatore romano decise di fare ordine e stabilì che il giorno giusto era il 25 dicembre. All’epoca però, l’Armenia era piuttosto oltre la portata di Roma e quindi vennero mantenute le antiche tradizioni, per cui Natività ed Epifania si festeggiano lo stesso giorno: il 6 gennaio.
Quindi, ricapitolando: gli ortodossi accettano il 25 dicembre come data del Natale, ma il loro calendario delle festività – il calendario liturgico – è indipendente da quello civile ed è basato sull’antico calendario giuliano, per cui festeggiano il Natale tredici giorni dopo di noi. Il risultato concreto è che festeggiano il 7 gennaio. Gli armeni da tempo antico sostengono che Natale sia il 6 gennaio e hanno accettato il calendario gregoriano. C’è un’ultima cosa da dire: la comunità armena di Gerusalemme utilizza ancora il giuliano, per cui va a finire che festeggia il Natale il 19 gennaio (6 gennaio + la differenza di tredici giorni). In Israele, quindi, nel periodo natalizio si succedono i festeggiamenti di Hanukkah, la festa delle luci ebraica celebrata fra la fine di novembre e dicembre, del Natale cristiano e del Natale armeno. Tra l’altro gli armeni – e solo loro – festeggiano il Natale e l’Epifania insieme.
L’Epifania e i re magi
Nel cattolicesimo il 6 gennaio è la festa dell’Epifania, cioè il giorno in cui per i cristiani Gesù sarebbe stato visto per la prima volta in pubblico, la manifestazione fisica di Dio (dal verbo greco ἐπιφαίνω, mostrarsi). Il 6 gennaio fu scelto contando dodici giorni dal 25 dicembre: perché si decise proprio dodici giorni non è chiaro, ma probabilmente si volle assorbire nel cristianesimo un antico rito pagano legato alla dea Diana. Nell’antica Roma questa divinità, protettrice della fertilità e simbolo di rinascita, veniva infatti festeggiata dodici giorni dopo il solstizio d’inverno.
Nei paesi di tradizione cristiana l’Epifania viene celebrata anche donando regali ai bambini: in Italia si associano i doni alla figura folcloristica e profana della Befana (il cui nome deriva proprio da Epifania), una donna anziana che vola su una scopa logora e che consegna dolciumi a chi si è comportato bene e carbone agli altri, inserendoli dentro una calza. In altri paesi, come la Spagna, a consegnare i regali sono invece i magi.
Secondo la tradizione cristiana, nel giorno dell’Epifania Gesù fu visitato dai magi, spesso identificati come tre re orientali che gli portarono dei doni – oro, incenso e mirra – dopo essere arrivati a Betlemme seguendo una «stella cometa» (espressione che unisce due tipi di corpi celesti in realtà del tutto distinti). Dal punto di vista teologico, la venuta dei magi rappresenta allegoricamente il riconoscimento della natura divina di Gesù da parte dei popoli non ebrei, a cui più avanti sarebbe stata destinata la sua predicazione. Si dice che i loro nomi fossero Gaspare, Melchiorre e Baldassarre e che fossero di tre etnie diverse: uno bianco, uno nero e uno mediorientale.
Cosa dicono i Vangeli dei re magi
Non molto, come per tutte le cose che riguardano l’infanzia di Gesù. Solo uno dei quattro Vangeli canonici (quelli accettati dalla Chiesa cattolica) li nomina: quello di Matteo, nel secondo capitolo. Non dice quanti fossero, come si chiamassero o da dove venissero esattamente. Ebbero però un ruolo nel seguito della storia, in particolare nella fuga in Egitto di Giuseppe, Maria e Gesù. Secondo il racconto di Matteo, infatti, furono loro che dissero al re Erode che era nato il nuovo «re dei Giudei»: fu quindi a causa loro che Erode – secondo il racconto – fece uccidere tutti i bambini sotto i due anni della zona di Betlemme. Erode poi chiese loro di informarlo al ritorno da Betlemme, ma i magi furono «avvertiti in sogno» di non tornare da lui. Un angelo invece apparve a Giuseppe per farlo scappare in Egitto con Maria e Gesù.
Le tradizioni successive hanno arricchito di particolari la storia dei magi. Per esempio solo nel III secolo si cominciò a dire che fossero dei re: questa ipotesi fu suggerita dall’interpretazione di alcuni versetti dell’Antico Testamento secondo cui il salvatore del popolo ebraico sarebbe stato onorato anche dai re. Si pensa che i nomi Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, quelli più usati dai cristiani europei, arrivino da un manoscritto greco risalente al V o al VI secolo e scritto ad Alessandria d’Egitto: ci è arrivato in una traduzione latina dell’VIII secolo, intitolata Excerpta Latina Barbari.
Solitamente Baldassarre è rappresentato come re dell’Arabia, Melchiorre come re della Persia e Gaspare come re dell’India. In altre parti del mondo i cristiani usano nomi diversi: i cristiani siriani hanno sempre usato Larvandad, Gushnasaph e Hormisdas, gli etiopi Hor, Karsudan e Basanater, mentre gli armeni Kagpha, Badadakharida e Badadilma. Ai cristiani cinesi piace pensare che uno dei magi venisse dalla Cina.
Cosa significa «magi»
La versione originale dei Vangeli è scritta in greco antico e al termine «magi» corrisponde μάγοι, che arriva dall’antico persiano. Lo storico greco Erodoto (vissuto nel V secolo a.C., quindi circa cinquecento anni prima della redazione del Vangelo di Matteo) usò questo termine per indicare i membri di una delle sei tribù in cui era suddiviso uno dei popoli che anticamente abitava nella regione che corrisponde all’odierno Iran: i medi. Quando i persiani conquistarono il regno dei medi, il termine cominciò a essere usato per indicare semplicemente i sacerdoti.
La loro religione esiste ancora, in India, anche se la praticano sempre meno persone: è lo zoroastrismo. È un culto monoteista, secondo la tradizione fondato da Zarathustra, conosciuto dai greci come Zoroastro.
Anticamente il legame tra religione e astronomia era molto forte e le classi sacerdotali erano anche le più colte, per questa ragione non stupisce che i magi risultino arrivati in Palestina seguendo un fenomeno astronomico.
La parola μάγος è passata dal greco al latino magus a cui corrisponde sia l’italiano «magio» che «mago», nel senso di persona dotata di poteri magici: infatti già i greci cominciarono a usare questa parola per indicare i sacerdoti babilonesi, che praticavano l’astrologia e rituali magici. La differenza di significato è stata conservata in italiano usando «magio, magi» invece che «mago, maghi»; in inglese il problema si è risolto traducendo μάγοι con wise men, cioè «uomini saggi», oppure conservando il magi latino. In altre lingue, come lo spagnolo, i termini «magi» e «maghi» non sono distinti.
E la stella era una cometa?
L’espressione «stella cometa», che si usa solitamente per indicare il fenomeno luminoso studiato dai magi, è ovviamente sbagliata: una stella e una cometa sono due corpi celesti molto diversi. Le stelle sono grandissime masse – il Sole per esempio è una stella e ha una massa più di trecentomila volte quella della Terra – fatte principalmente di idrogeno ed elio in cui avvengono continue fusioni nucleari.
Le comete sono ammassi di roccia e ghiaccio che, secondo le teorie più condivise, circa 4,5 miliardi di anni fa si staccarono dai materiali che portarono alla formazione della Terra e degli altri pianeti rocciosi: si sparpagliarono esternamente al sistema solare a causa della loro interazione con le orbite di Giove, Saturno, Urano e Nettuno, e finirono in un’area chiamata nube di Oort, la cui esistenza è solo ipotizzata perché è talmente buia e remota da non essere osservabile direttamente con i sistemi attuali. Ogni frammento segue una propria orbita e talvolta lascia la nube di Oort finendo nel sistema solare interno, dove diventa osservabile.
La prima persona a pensare che la «stella» citata nel Vangelo di Matteo – in greco ἀστέρα – fosse una cometa potrebbe essere stata il pittore Giotto. Fu lui infatti il primo a rappresentarla come tale in uno degli affreschi della Cappella degli Scrovegni di Padova, realizzato tra il 1303 e il 1305, L’adorazione dei magi. Gli storici pensano che Giotto disegnò la stella in questo modo perché tra il 1301 e il 1302 aveva assistito al passaggio della cometa di Halley, una delle più famose nella storia dell’astronomia, che seguendo la sua orbita torna periodicamente ad avvicinarsi alla Terra e al Sole.
Probabilmente però la «stella» non era né l’una né l’altra. Secondo uno studio dell’astrofisico e cosmologo americano Grant Mathews, che insegna all’università cattolica di Notre Dame, nell’Indiana, il fenomeno celeste citato nel Vangelo di Matteo potrebbe essere stato un eccezionale allineamento planetario accaduto nel 6 a.C.: in quell’anno il Sole, Giove, la Luna e Saturno si trovarono a essere allineati nella costellazione dell’Ariete, mentre Venere era nella vicina costellazione dei Pesci e Mercurio e Marte in quella del Toro.
Mathews è giunto a questa conclusione incrociando il testo evangelico, le informazioni provenienti dalle fonti storiche (comprese le osservazioni degli astronomi cinesi di quel periodo) e dati astronomici. Tra le argomentazioni a favore di questa tesi c’è il fatto che per l’astrologia l’allineamento di Giove e della Luna indicherebbe la nascita di un re con un destino speciale. All’inizio la congiunzione era visibile a est e questo spiegherebbe la direzione del viaggio dei magi.