Le proteste in Israele dopo l’uccisione di tre ostaggi da parte dell’esercito
Tre israeliani sono stati uccisi per errore durante combattimenti nella Striscia di Gaza: centinaia di persone sono scese in strada
Nella notte tra venerdì e sabato a Tel Aviv, in Israele, centinaia di persone si sono radunate per protestare in vari luoghi della città, tra cui il ministero della Difesa e una base militare, dopo che che l’esercito ha annunciato di aver ucciso per sbaglio tre ostaggi civili israeliani, durante un combattimento nel nord della Striscia di Gaza. Non è la prima volta che succede: questa settimana l’esercito aveva annunciato di aver ritrovato i corpi di cinque ostaggi probabilmente uccisi nei bombardamenti. Ma è la prima volta che degli ostaggi vengono uccisi direttamente da soldati israeliani nel corso dei combattimenti, per errore. Ad annunciarlo è stato lo stesso portavoce dell’esercito, Daniel Hagari.
Le proteste contro il governo e a favore degli ostaggi sono diventate relativamente comuni negli ultimi due mesi in Israele: sono spesso animate dai parenti degli ostaggi stessi, e sono generalmente molto partecipate. In quella di venerdì notte i manifestanti portavano cartelloni con le fotografie delle persone rapite. La richiesta principale è che il governo israeliano trovi un accordo per la liberazione degli oltre 130 ostaggi ancora prigionieri di Hamas nella Striscia di Gaza.
I tre ostaggi uccisi erano Yotam Haim di 28 anni, Alon Shamriz, di 26 anni e Samer Fuad El-Talalka, di 24. Haim e Shamriz vivevano nel kibbutz Kfar Aza, uno di quelli attaccati da Hamas, mentre El-Talalka era un arabo israeliano che lavorava nel kibbutz di Nir Am.
Il portavoce dell’esercito, Hagari, ha detto che i soldati israeliani se li sono trovati davanti «in una zona di combattimento con molti terroristi» e li hanno scambiati per una minaccia.
Secondo i primi resoconti, i tre ostaggi stavano sventolando un panno bianco attaccato a un bastone ed erano a torso nudo, senza magliette, ma nonostante questo due soldati, temendo che fossero una minaccia, hanno sparato contro di loro in lontananza.
L’esercito ritiene possibile che nella confusione dei combattimenti i tre giovani uomini fossero riusciti a fuggire dai loro rapitori, o che fossero stati abbandonati dai miliziani in fuga. L’esercito ha promesso che indagherà sulla questione, e che ci sarà «trasparenza» su quanto è accaduto.
L’uccisione dei tre giovani uomini ha colpito molto il movimento dei parenti degli ostaggi anche perché i genitori di alcuni di loro erano piuttosto attivi sui media, e avevano parlato spesso della propria esperienza e della speranza del ritorno dei loro figli.
Avi Shamriz, il padre di Alon, proprio questa settimana aveva dato un’intervista a una televisione israeliana, in cui parlava del suo attivismo per la liberazione del figlio: «Durante il giorno sono impegnato a fare comunicazione [in favore di mio figlio]. Di notte, nel mio letto, sono sconvolto dal dolore», aveva detto. Aveva anche criticato duramente il governo israeliano: «Sono furioso con i membri del nostro governo. Dovrebbero aver già trovato il modo di liberare tutti», e in un’altra parte dell’intervista aveva aggiunto: «Voglio che domani mio figlio sia qui».