La maggior parte delle persone che parlano francese vive in Africa
E i giovani dei paesi che un tempo furono colonie sono i maggiori responsabili dell'evoluzione della lingua, racconta il New York Times
Secondo le stime più recenti, il francese è la quinta lingua più parlata al mondo, dopo inglese, mandarino, hindi e spagnolo. Anche se la Francia è abitata solo da 68 milioni di persone, infatti, quelle che parlano francese fluentemente – come lingua madre o seconda lingua – sono poco meno di 310 milioni. Oltre il 60 per cento delle persone che lo parlano quotidianamente vive nei paesi africani che fino a un secolo fa erano colonie francesi. Secondo alcune previsioni demografiche, entro il 2060 questa percentuale salirà all’85 per cento; a confronto, nel 1960 il 90 per cento di chi parlava francese viveva in Francia o in altri paesi europei.
Un recente reportage del New York Times, scritto dal giornalista Elian Peltier, ha spiegato che il francese parlato dalla gioventù africana si sta peraltro evolvendo molto più rapidamente di quello parlato in Francia: grazie a internet, poi, lo slang dei giovani di Abidjan (la capitale della Costa d’Avorio) o di Dakar (quella del Senegal) viene adottato rapidamente anche tra quelli dell’Europa continentale. In questo modo, «questo francese “creolizzato” si fa strada nei libri che leggiamo, negli sketch che guardiamo in televisione, nelle canzoni che ascoltiamo», ha detto in un’intervista Souleymane Bachir Diagne, professore senegalese che insegna francese alla Columbia University di New York.
Tra il diciassettesimo e il ventesimo secolo la Francia sviluppò un esteso impero coloniale: nel momento di massima estensione, negli anni Venti del Novecento, controllava oltre 13 milioni di chilometri quadrati di territorio, imponendo gli interessi nazionali ed economici francesi su popolazioni private del diritto di gestire indipendentemente i territori in cui vivevano. Quasi la metà delle nazioni che oggi compongono l’Africa sono state, a un certo punto della propria storia, colonie o protettorati francesi: l’ultimo stato a rendersi indipendente dalla Francia fu il Gibuti, nel 1977.
In 21 di questi paesi il francese è ancora oggi una delle lingue ufficiali: nella pratica, vuol dire che viene usata nelle scuole, a livello professionale o nell’amministrazione pubblica, ma è raro che qualcuno la consideri la propria prima lingua o che la parli in famiglia. In molti casi, racconta Peltier, gli africani francofoni hanno un rapporto personale travagliato con il francese, perché è stato loro imposto con una certa violenza durante la scuola dell’obbligo, dove spesso parlare la propria lingua madre non era permesso ed era anzi molto stigmatizzato.
Secondo un sondaggio pubblicato nel 2022 dall’Organizzazione internazionale per la francofonia, una delle principali istituzioni che promuovono la diffusione della lingua francese nel mondo, il 77 per cento degli intervistati africani considera il francese «la lingua dei colonizzatori», e il 57 per cento la ritiene una lingua imposta dall’alto. Alcuni paesi, come il Mali e il Burkina Faso, hanno anche deciso di rimuovere il francese dalla lista delle lingue ufficiali nazionali, nel contesto di un forte inasprimento dei rapporti diplomatici tra la Francia e le sue ex colonie della regione del Sahel.
– Leggi anche: Le ambizioni frustrate della Francia in Africa occidentale
Nonostante questo rapporto travagliato, però, Peltier racconta anche di una fitta serie di sottoculture, locali o panafricane, che sono prima riuscite ad adattare il francese alle proprie necessità, e poi ad “esportare” questa lingua quasi ibrida anche in Francia insieme ai loro prodotti culturali.
Un caso su tutti è quello della scena musicale hip hop dell’Africa nord-occidentale, oggi molto presente nelle classifiche francesi con artiste come Aya Nakamura, originaria del Mali, e vari altri artisti marocchini, algerini e ivoriani. Secondo Elvis Adidiema, dirigente della sede congolese di Sony Music Entertainment, grazie a questi cantanti il pubblico francese si è abituato sempre più ai suoni e allo slang tipico di paesi che parlano la loro lingua ma non hanno mai visitato.
Ad Abidjan, la capitale della Costa d’Avorio, negli ultimi quarant’anni si è sviluppata anche una sorta di lingua creola – ovvero nata dalla commistione di un linguaggio coloniale esportato dall’Europa e lingue locali – chiamata “Nouchi”. Nate inizialmente come slang diffuso tra la piccola criminalità del paese, negli ultimi anni molte parole in nouchi sono state introdotte nei dizionari ufficiali francesi, dopo essere entrate nel linguaggio comune soprattutto grazie a pop e rap: è il caso per esempio della parola “go”, che vuol dire “fidanzata” ed è ormai diffusa tra i giovani francesi, ma è nata in Costa d’Avorio. La parola “enjailler”, usata oggi dai giovani dei sobborghi parigini per dire “divertirsi”, inizialmente era usata in Costa d’Avorio per parlare dei ragazzini annoiati che negli anni Ottanta cercavano di distrarsi saltando su e giù dagli autobus in corsa.
– Leggi anche: A New York c’è davvero la gente che “surfa la metro”
La musica non è l’unico modo in cui questi termini viaggiano: da anni, gli algoritmi di piattaforme come YouTube e più recentemente TikTok propongono agli utenti francesi anche contenuti creati in Africa, ma in francese. È il caso delle clip condivise online da comici come il nigerino Mamane, a cui è stato affidato un programma radiofonico oggi ascoltato da milioni di persone su Radio France Internationale.
«Quello che permette al nostro umorismo di essere compreso in tutta l’Africa è la lingua francese», ha raccontato Mamane al New York Times. «È una questione di sopravvivenza: è quello che dobbiamo fare se vogliamo avere l’opportunità di spiccare di fronte all’ascesa di Nollywood», ovvero la crescente industria cinematografica nigeriana, che produce soprattutto film in inglese e in yoruba, lingua parlata in vari paesi dell’Africa occidentale.
«Il francese è ormai una lingua africana, che appartiene agli africani. La decentralizzazione della lingua francese è già realtà», ha spiegato Francine Quéméner dell’Organizzazione internazionale della francofonia. E l’Académie Française – una delle più antiche e prestigiose istituzioni culturali in Francia, comparata spesso all’Accademia della Crusca italiana – negli ultimi tempi ha riconosciuto di dover incorporare sempre più spesso interi insiemi di nuovi termini ed espressioni provenienti dal francese parlato in Belgio, Senegal, Mali o Costa d’Avorio.
– Leggi anche: L’Académie française contro gli inglesismi