L’Avvocatura dello Stato si sta opponendo ai risarcimenti per le stragi naziste
L'Italia deve pagarli al posto della Germania e nei processi civili contesta con ostinazione le richieste dei parenti delle vittime
Maria Pia e Giuliana Mannini, 84 e 82 anni, saranno risarcite con 270mila euro ciascuna per la morte del padre Adamo che nel giugno del 1944 fu ucciso dai nazisti a Niccioleta, una frazione di Massa Marittima, in Toscana. In quella strage, chiamata “dei minatori”, furono fucilati altri 91 uomini. All’epoca Mannini era vedovo, aveva 35 anni, mentre le sue figlie 4 e 2. Rimaste sole, furono affidate a un istituto religioso. Il risarcimento è stato stabilito all’inizio di dicembre dal tribunale di Firenze. La sentenza ha dato ragione a Maria Pia e Giuliana Mannini nonostante l’opposizione dell’Avvocatura dello Stato, che durante il processo si è opposta al risarcimento contestando la legittimità della richiesta presentata dagli avvocati delle due donne.
L’Avvocatura, che rappresenta lo Stato nelle controversie legali, ha seguito lo stesso orientamento in molti altri processi civili che dovevano stabilire i risarcimenti chiesti alla Germania nazista per le stragi e gli eccidi compiuti in Italia durante la Seconda guerra mondiale. La sua è un’opposizione netta e ostinata, che sta sorprendendo giudici e avvocati, oltre ovviamente ai familiari delle vittime. Nella stessa sentenza del caso Mannini si legge un giudizio molto perentorio dato dalla giudice Susanna Zanda su una delle contestazioni presentate dall’Avvocatura, definita «in palese contrasto con gli interessi del popolo italiano».
Il repertorio è molto vario. In alcuni casi l’Avvocatura ha contestato le prove delle stragi portate dagli avvocati. Ha sostenuto che in mancanza dell’accettazione dell’eredità (un passaggio formale non obbligatorio in caso di morte) l’erede non abbia diritto al risarcimento. In due casi ha chiesto la prescrizione del diritto al risarcimento nonostante ci fossero molte sentenze nazionali e internazionali secondo cui i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra non possono andare in prescrizione. In tre cause ha dubitato dell’effettivo danno procurato in quanto alcuni figli o i nipoti delle vittime non erano nati al momento della morte del familiare, durante la guerra.
In un processo discusso al tribunale di Firenze, per esempio, l’Avvocatura si è opposta al risarcimento chiesto dal figlio di un antifascista catturato e ucciso in Germania. Il figlio nacque senza mai conoscere il papà, incarcerato a Firenze prima della deportazione. Durante il processo l’Avvocatura ha sostenuto che l’uomo non abbia diritto al risarcimento perché non avendo conosciuto il padre non ne soffrì la perdita. In questo caso si attende ancora la sentenza.
Non è semplice capire come mai l’Avvocatura abbia scelto una posizione così discutibile. Negli ultimi decenni, infatti, l’Italia si era sempre chiamata fuori dai processi sostenendo che i parenti delle vittime dovessero rivalersi sulla Repubblica federale tedesca. Lo Stato italiano, insomma, sosteneva di non dover essere interpellato sulla questione. La Germania, tuttavia, si è sempre opposta ai risarcimenti stabiliti dai giudici italiani in virtù degli accordi di Bonn del 1962: all’epoca la Germania corrispose all’Italia 40 milioni di marchi tedeschi come risarcimento complessivo, circa 1,5 miliardi di euro di oggi. Negli anni successivi diversi giudici condannarono comunque la Germania a risarcire i parenti delle vittime, alimentando controversie legali tra i due Stati.
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Le cose cambiarono nel 2022, quando il governo guidato da Mario Draghi approvò un decreto-legge stabilendo una nuova disciplina per “il ristoro dei danni subìti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità, in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945”. Con il decreto venne istituito un fondo per i risarcimenti di 55,4 milioni di euro, poi aumentato a 61 milioni di euro e gestito dal ministero dell’Economia e delle Finanze: di fatto il governo si è fatto carico dei risarcimenti che spettavano alla Germania.
L’avvocato Giulio Arria, che assiste molti parenti di vittime del Terzo Reich, dice che l’opposizione dell’Avvocatura dello Stato nasce proprio da questo: visto che l’Italia si è fatta carico dei risarcimenti al posto della Germania attraverso il fondo, adesso è diventata controparte nei processi al posto dello Stato tedesco.
Questo cambio così radicale, che molti avvocati considerano giuridicamente discutibile, è confermato dal fatto che nei processi l’Avvocatura sostenga che i parenti delle vittime debbano fare causa direttamente allo Stato italiano e non più alla Germania. Nella sentenza del caso Mannini, per esempio, si legge che l’Avvocatura ha chiesto «l’estromissione dal processo dello Stato estero». «È una cosa inspiegabile dal punto di vista giuridico e umano», dice Arria. «Questa vicenda ha un valore un po’ diverso da una semplice causa civile: la maggior parte delle persone non fa causa per una questione di soldi, ma per l’importanza storica e morale delle sentenze. Nonostante questo l’Avvocatura presenta sempre difese molto dure: contesta tutto».
Alla fine di maggio il senatore del Partito Democratico Dario Parrini, vicepresidente della commissione Affari costituzionali, ha presentato un disegno di legge per invitare il governo a dare un’interpretazione più chiara alla legge approvata dal governo Draghi. Di fatto, la proposta di Parrini invita l’Avvocatura a tenere conto della notifica delle cause solo come semplice avviso, non come richiamo a costituirsi in giudizio e quindi essere parte attiva nei processi. In questo modo si eviterebbe l’atteggiamento interventista tenuto finora.
Il disegno di legge è stato firmato da molti altri componenti della commissione Affari costituzionali tra cui il presidente Alberto Balboni, di Fratelli d’Italia, e altri politici della maggioranza. «La nostra proposta è bloccata da mesi alla commissione Bilancio», dice Parrini. «Serve un parere anche di quella commissione, che non arriva perché il governo non la mette in condizione di darlo non fornendo informazioni dai ministeri competenti, come il ministero dell’Economia e quello della Giustizia. Insomma, il disegno di legge è insabbiato».
Secondo Parrini l’Avvocatura sta trattando questi processi come se fossero soltanto vicende di soldi, opponendosi per giunta all’accesso al fondo garantito dallo Stato. «Nei processi si oppone con argomentazioni che fanno accapponare la pelle», continua il senatore. «Lo Stato, invece, dovrebbe essere soltanto un ente pagatore». Tra le altre cose, Parrini ha chiesto di aumentare il fondo da 61 a 100 milioni di euro, anche in questo caso senza avere risposta.
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