Il governo ha dovuto cambiare idea sugli emendamenti alla legge di bilancio
«Ci avete messo quindici giorni», ha detto il leghista Romeo ai colleghi di Fratelli d'Italia in una riunione al Senato
Il governo di Giorgia Meloni ha dovuto rivedere, ribaltandola, la sua posizione sul disegno di legge di bilancio. Il principio che la presidente del Consiglio aveva imposto ai partiti che sostengono la sua maggioranza era che il disegno di legge di bilancio dovesse essere approvato dal parlamento senza che venisse fatta nessuna modifica al testo votato in Consiglio dei ministri il 18 ottobre scorso. La legge di bilancio, dunque, sarebbe stata “inemendabile”: gli unici emendamenti eventualmente ammessi sarebbero stati quelli presentati dal governo stesso per correggere o riequilibrare alcuni interventi previsti nella versione iniziale del disegno di legge.
Parliamo della manovra finanziaria, cioè di un provvedimento molto importante, che stabilisce in che modo verranno spesi i soldi nell’anno seguente, e dunque è stato chiaro quasi da subito che per deputati e senatori di maggioranza non sarebbe stato facile rassegnarsi ad approvarlo senza poter intervenire in alcun modo. Dopo quasi due mesi di fermezza su questa linea, alla fine Meloni e il suo partito, Fratelli d’Italia, hanno dovuto cedere, assecondando le pressioni che arrivavano anzitutto dagli alleati di governo, cioè Lega e Forza Italia.
Martedì, intorno alle tre del pomeriggio, c’è stata una riunione tra i tre partiti di maggioranza piuttosto agitata al Senato. La discussione riguardava proprio questo punto: insistere nel negare ai parlamentari di destra qualsiasi possibilità di presentare emendamenti oppure consentire che un numero limitato di proposte di modifiche venisse ammesso, concordando il tutto con il ministero dell’Economia. Alla riunione, che si è svolta nell’aula della commissione Bilancio, erano presenti i capigruppo di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, oltre ai parlamentari che stanno seguendo più da vicino la discussione del disegno di legge.
La riunione è andata avanti per un’oretta, e i toni a un certo punto si sono fatti così accesi che era possibile sentire dal corridoio su cui l’aula affaccia le battute e le accuse che i partecipanti all’incontro si scambiavano. Al termine dell’incontro, il capogruppo al Senato della Lega Massimiliano Romeo si è avvicinato a quello di Fratelli d’Italia, Lucio Malan, e gli ha detto:
Avete visto? Ci avete messo quindici giorni prima di capire che bisogna comunque accogliere gli emendamenti.
Era il segnale di un’insofferenza dei leghisti nei confronti della tattica che fino a quel momento Fratelli d’Italia aveva imposto alla maggioranza, ed era anche il segnale che quella tattica stesse per essere accantonata.
A pochi metri di distanza, il capogruppo di Forza Italia Maurizio Gasparri parlava intanto coi suoi colleghi di partito, i senatori Dario Damiani e Claudio Lotito, cercando di rassicurarli. Il senso del suo discorso era che il governo aveva effettivamente calato dall’alto una linea poco condivisibile, ma bisognava accettare quell’apertura che ora veniva concessa e provare così ad avanzare alcune proposte sui temi cari a Forza Italia.
Poche ore dopo, nel tardo pomeriggio di martedì, si è riunito l’ufficio di presidenza della commissione Bilancio, cioè l’organo con cui i principali rappresentanti dei vari partiti nella commissione stabiliscono come procedere nei lavori. E si è deciso che, oltre a quattro emendamenti nel frattempo presentati dal governo, anche i relatori avrebbero potuto presentarne alcuni. I relatori sono un po’ i registi del dibattito in commissione sui vari provvedimenti, e vengono scelti dalla maggioranza di volta in volta: per la legge di bilancio sono tre, uno per ciascuno dei partiti della coalizione di destra. Nella notte tra martedì e mercoledì hanno depositato 17 emendamenti, non pochi per una legge di bilancio che doveva essere “inemendabile”.
Se da un lato Lega e Forza Italia hanno potuto dunque rivendicare una piccola vittoria negoziale, dal momento che il governo ha ceduto rispetto alla linea della fermezza, dall’altro i parlamentari di questi due partiti stanno mostrando in queste ore un certo fastidio per il modo in cui Fratelli d’Italia, che ha il gruppo più numeroso in parlamento e che segue le direttive della presidente del Consiglio, ha gestito la faccenda. Aver negato ai gruppi di maggioranza la possibilità di presentare emendamenti ha di fatto reso molto più complicato anche il confronto con le opposizioni, che hanno così adottato una tattica ostruzionistica, abbandonando più volte le sedute della commissione Bilancio e ritardando i lavori.
Non a caso, subito dopo il ripensamento del governo, è partito un negoziato riservato tra maggioranza e opposizione per sveltire i lavori, già piuttosto in ritardo. I gruppi di destra stanno convincendo Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Italia Viva e Azione a indicare alcune misure a cui tengono particolarmente, garantendo l’impegno della maggioranza ad approvarli in cambio di un atteggiamento più collaborativo delle opposizioni.
Il tempo è un fattore importantissimo nel caso della legge di bilancio, perché va approvata da entrambi i rami del parlamento entro il 31 dicembre. Il Senato aveva programmato di votare la manovra tra il 18 e il 19 dicembre, per poi inviarla alla Camera, che poi avrebbe comunque avuto poco tempo per confermare il voto favorevole senza poter intervenire sul testo del disegno di legge. Lo stallo che c’è stato per via degli emendamenti ha provocato un allungamento dei tempi: difficilmente l’aula del Senato voterà prima del 23 dicembre. E dunque la Camera sarà costretta a discutere e approvare il provvedimento tra il 27 e il 30 dicembre.
Questo spiega dunque perché non solo i senatori, ma anche i deputati di maggioranza siano piuttosto risentiti per la tattica inizialmente imposta dal governo. Martedì pomeriggio il gruppo di Forza Italia alla Camera si è riunito in assemblea, e ci sono stati vari interventi polemici sulla gestione della trattativa sulla manovra. Deborah Bergamini ha definito «inaccettabile» la pratica adottata, dicendo che la destra aveva presentato questa manovra come l’occasione per dimostrare l’efficienza della maggioranza, «e invece stiamo facendo il contrario».
Nazario Pagano ha contestato il fatto che la Camera sia stata trasformata in un «succursale del Senato», relegata cioè negli ultimi mesi a un ruolo marginale nei processi parlamentari e costretta di fatto a ratificare senza poter intervenire; e questo perché, secondo Pagano, Fratelli d’Italia preferisce gestire i provvedimenti economici più importanti al Senato, dove esprime sia il presidente della commissione Bilancio (la più importante e competente sulla manovra) sia il presidente dell’aula, cioè Ignazio La Russa. Alla Camera, invece, il presidente della commissione Bilancio è Giuseppe Mangialavori, di Forza Italia.