Il «fax» mostrato da Giorgia Meloni in Senato in realtà la smentisce
Voleva usarlo per accusare Giuseppe Conte di aver approvato la riforma del MES da dimissionario, ma dimostra esattamente il contrario
Mercoledì la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha parlato in Senato per le consuete comunicazioni al parlamento in vista del Consiglio Europeo, la riunione dei capi di Stato e di governo dell’Unione Europea, in programma tra giovedì e venerdì 14 e 15 dicembre. Tra gli argomenti di cui si discuterà nel Consiglio c’è anche l’approvazione della riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), un’istituzione europea che ha lo scopo di aiutare i paesi dell’Eurozona in difficoltà economica: l’Italia è l’unico paese a non aver ancora ratificato quella riforma, che fu approvata alcuni anni fa prima in sede europea e poi dal parlamento italiano. Di fatto ne sta bloccando l’entrata in vigore per tutti i paesi dell’Eurozona, per ragioni perlopiù politiche.
Dopo il suo discorso Meloni ha risposto alle obiezioni che le erano state fatte da alcuni parlamentari d’opposizione proprio sulla mancata ratifica del MES da parte dell’Italia: lo ha fatto con toni particolarmente aggressivi e battaglieri, arrivando a sostenere che la riforma del MES fu approvata nel 2021 dal secondo governo di Giuseppe Conte in modo sovversivo, senza passare dal parlamento e quando Conte era già dimissionario dopo la caduta di quel governo. A sostegno della sua tesi Meloni ha portato in Senato un documento che lei ha definito un «fax», ma che in realtà era una mail interna del ministero degli Esteri: in gergo diplomatico queste comunicazioni vengono chiamate «messaggi alla rete». In ogni caso il documento conteneva l’ordine di approvazione della riforma del MES da parte del governo italiano, ma la data ben evidente (20 gennaio 2021) è antecedente di 6 giorni alle dimissioni del governo di Conte; il Foglio è stato il primo a notare l’incongruenza.
Nel suo discorso Meloni dice testualmente: «Questa firma è stata fatta un giorno dopo le dimissioni del governo Conte, questa firma è stata fatta quando il governo Conte era dimissionato, in carica solamente per gli affari correnti». È semplicemente falso: la firma risaliva al 20 gennaio, e il governo diede le dimissioni il 26 gennaio.
Ma nel proseguimento del discorso le accuse di Meloni si fanno ancora più gravi: la presidente del Consiglio sostiene infatti che quell’approvazione arrivò «contro il parere del parlamento, senza dirlo agli italiani, senza metterci la faccia e con il favore delle tenebre. Capisco la vostra difficoltà, capisco il vostro imbarazzo, ma dalla storia non si esce». Di nuovo, sono tutte accuse false: il parlamento infatti aveva approvato a maggioranza la riforma del MES un mese e mezzo prima, con due risoluzioni del 9 dicembre 2020 alla Camera e al Senato.
Inoltre, al di là del fatto che fosse stato effettivamente firmato mentre il governo Conte era ancora in carica, il documento mostrato da Meloni mercoledì al Senato era un atto meramente burocratico: con quel fax l’allora ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, autorizzava il rappresentante italiano in sede europea, Maurizio Massari (citato da Meloni nel discorso), a formalizzare ciò che il parlamento aveva già deciso. Massari e i rappresentanti degli altri Stati firmarono definitivamente l’accordo in sede europea il 27 gennaio, ma a quel punto il governo italiano non c’entrava più.
Questa accusa a Conte è solo l’ultima di una serie di cose false e contraddittorie dette da Meloni sul MES in questi anni. Quando il governo Conte approvò l’accordo sulla riforma, Meloni, che era all’opposizione, lo accusò di aver svenduto e tradito l’Italia, giudicando il MES un opprimente meccanismo burocratico europeo che avrebbe limitato la libertà dell’Italia. All’inizio del suo mandato da presidente, un anno fa, Meloni aveva invece minimizzato l’importanza della riforma e si era dimostrata inaspettatamente disponibile ad approvarla, dopo averla osteggiata per molto tempo.
Il MES – peraltro in una sua versione meno efficace, quella precedente alla riforma che si vorrebbe introdurre adesso – fu istituito in sede europea nel 2011, quando Meloni era ministra della Gioventù nell’ultimo governo di Silvio Berlusconi. Venne poi approvato nel 2012 dal governo di Mario Monti, che era comunque sostenuto dal Popolo della Libertà, il partito di cui Meloni faceva parte all’epoca.
Correzione: una precedente versione di questo articolo definiva il documento mostrato da Meloni un fax, come specificato da lei stessa. In realtà il documento è una mail interna del ministero degli Esteri. Abbiamo aggiunto la spiegazione nel testo dell’articolo.