Che c’entra una pubblicità di Zara con la guerra a Gaza

È stata criticata online perché considerata irrispettosa e il marchio si è scusato, anche se l'aveva fatta prima del 7 ottobre

(Zara)
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Da alcuni giorni il marchio di abbigliamento fast fashion Zara è interessato da una polemica per una campagna pubblicitaria che secondo alcuni commentatori online sarebbe irrispettosa nei confronti delle gravi condizioni umanitarie della popolazione palestinese di Gaza. Martedì Zara, che è uno dei marchi di fast fashion più famosi al mondo ed è gestito dalla multinazionale spagnola Inditex, ha deciso di cancellare le foto della campagna dai social network, dal sito e dalla app e si è scusata definendo tutta la questione un «equivoco».

La campagna al centro della polemica s’intitola “The Jacket” e mostra una modella che porta su una spalla un manichino avvolto in un lenzuolo bianco. Secondo le critiche evocherebbe la crisi in corso a Gaza dopo l’invasione militare di Israele degli ultimi mesi, e in particolare le immagini che mostrano i cadaveri trasportati a braccia e avvolti in lenzuola chiare, sminuendone la gravità. Nel comunicato diffuso per scusarsi comunque Zara ha spiegato che la campagna era stata progettata a luglio e scattata a settembre, quindi prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre (con tempi di produzione del tutto normali in pubblicità).

 

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La campagna “The Jacket”, scattata dall’affermato fotografo di moda britannico Tim Walker (che tra le altre cose lavora per Vogue) è ambientata in quello che dovrebbe assomigliare a un atelier d’artista: oltre ai modelli si vedono macchinari per il sollevamento di materiali pesanti, piedistalli, macerie, pezzi di statue e sculture intere avvolte nella plastica, tutto sui toni del bianco. Il capo al centro della campagna è una giacca nera con le borchie indossata dalla modella Kristen McMenamy, che tra le altre cose compare all’interno di una specie di bara di legno mentre due uomini in tuta da lavoro sembrano prepararsi a sigillarla.

La foto che ha sollevato maggiori critiche è l’unica in cui si vede un manichino avvolto in un lenzuolo (gli altri che compaiono sono ricoperti di plastica) che viene portato in spalla dalla modella. Tra i post pubblicati online molti l’hanno paragonato a una specifica foto di Gaza fatta da Mohammed Salem pubblicata in un servizio di Reuters, che mostra una donna che abbraccia il cadavere del nipote di 5 anni, avvolto in un lenzuolo: ma non è l’unica foto di questo tipo diffusa negli ultimi mesi. Nel comunicato pubblicato da Zara su Instagram si legge: «sfortunatamente alcuni clienti si sono sentiti offesi da queste immagini, che ora sono state rimosse, e ci hanno visto qualcosa di diverso dall’intenzione di chi le ha realizzate».

 

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Tra i critici che hanno commentato la campagna c’è chi ha sostenuto che, anche se il progetto creativo era stato pensato prima della guerra a Gaza, l’azienda avrebbe dovuto evitare di pubblicarla per rispetto nei confronti della tragedia umanitaria in corso. Online alcune persone hanno invitato al boicottaggio di Zara usando l’hashtag #BoycottZara su X (ex Twitter). E ci sono state anche delle piccole proteste: davanti a un negozio di Tunisi alcune persone hanno manifestato sventolando la bandiera palestinese e imbrattando le vetrine, mentre ad Aquisgrana, in Germania, un piccolo gruppo ha inscenato una protesta facendosi riprendere con lo scotch sulla bocca insieme a manichini avvolti in panni bianchi.

La polemica contro Zara si è comunque svolta principalmente online e non è stata sostenuta da grosse organizzazioni o commentatori di rilievo. Non è strano però che Zara abbia deciso di ritirarla nel giro di pochi giorni: da quando negli ultimi anni è diventato più frequente per aziende e celebrità finire al centro di contestazioni online per dichiarazioni, prodotti o operazioni di marketing, l’approccio più diffuso e raccomandato per gestire queste crisi è quello di assecondare le critiche o quantomeno scusarsi. Inoltre le foto della campagna erano state pensate solo per la diffusione online (sui social, sul sito e sulla app) e quindi toglierle è stato piuttosto semplice, anche se trattandosi di un lavoro di Tim Walker è probabile che il costo di questa operazione per l’azienda non sia stato irrilevante.

– Leggi anche: Per le celebrità scusarsi è diventato parte del lavoro

Non è la prima volta inoltre che Zara si ritrova a dover gestire una crisi legata alla situazione israelo-palestinese: nel 2021 aveva licenziato una delle sue designer dopo un suo commento contro la Palestina pubblicato online all’interno di una discussione con il modello Qaher Harhash. In generale, le campagne pubblicitarie di Zara sono spesso prese in giro perché visibilmente più orientate a stupire e attrarre lo sguardo che non a far vedere i capi che vuole vendere.