Cosa succede se un gemello segue una dieta vegana e l’altro una onnivora
Il primo ha una migliore salute cardiovascolare, secondo uno studio condotto su 22 coppie di gemelli omozigoti
Mangiare meno carne è ormai da alcuni anni un’abitudine alimentare consigliata per ragioni di salute, oltre che un comportamento più sostenibile in termini di impatto ambientale. Nonostante il progressivo aumento di dati e statistiche disponibili, le discussioni sugli effetti della riduzione del consumo di carne tendono a essere ancora molto vivaci e polarizzate, e a volte condizionate da un’incertezza attribuita al fatto che considerare e “controllare” negli studi tutte le numerose variabili della nutrizione è, in generale, abbastanza complicato.
Un gruppo di 14 ricercatori e ricercatrici dei dipartimenti di medicina e di microbiologia e immunologia della Stanford University, in California, ha limitato l’influenza di una parte di queste variabili conducendo nel 2022 uno studio clinico su 22 coppie di gemelli adulti identici in buona salute. Per permettere una valutazione in parallelo degli effetti dell’alimentazione vegana rispetto a quella onnivora, ciascuna coppia ha seguito per otto settimane una dieta sana, a base di cereali, frutta e verdura, ma differenziata tra i due fratelli o le due sorelle: una integrava anche alimenti di origine animale e l’altra no. I risultati dello studio, pubblicato il 30 novembre sulla rivista scientifica JAMA, hanno mostrato un miglioramento dei valori relativi alla salute cardiovascolare maggiore nell’individuo di ciascuna coppia che aveva seguito la dieta vegana.
Dopo otto settimane le persone che avevano seguito l’alimentazione priva di alimenti di origine animale hanno mostrato in media livelli significativamente più bassi di colesterolo LDL (il cosiddetto “colesterolo cattivo”, cioè le particelle che in quantità eccessive tendono a depositarsi sulla parete delle arterie). Hanno migliorato inoltre i loro livelli di insulina a digiuno e hanno perso più peso rispetto al proprio fratello gemello o alla propria sorella gemella. Lo studio è stato ripreso da diversi siti di informazione e divulgazione, principalmente perché rappresenta un tentativo abbastanza eccezionale di eliminare la variabile genetica dai fattori che possono influenzare i risultati degli studi sulla nutrizione, come anche altri di tipo diverso.
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Condotto per otto settimane consecutive, tra maggio e luglio 2022, lo studio ha coinvolto 22 coppie di gemelli omozigoti, cioè il caso più raro: sono quelli con identico patrimonio genetico e sempre dello stesso sesso, nati da una singola cellula uovo fecondata da uno spermatozoo. La maggior parte dei gemelli – selezionati da un registro gestito dalla Stanford University – aveva inoltre comportamenti e stili di vita simili, compresi il taglio di capelli e il modo di vestire. I 44 partecipanti – 34 donne e 10 uomini – avevano un’età compresa tra 20 e 60 anni (39,6 in media), nessuna malattia cardiovascolare e un indice di massa corporea medio di 25,9 (un valore superiore a 30 indica obesità moderata).
A un membro di ciascuna coppia di gemelli scelto casualmente è stata assegnata una dieta vegana, che includeva soltanto cibi di origine vegetale, senza carne, uova o altri prodotti di origine animale. All’altra gemella o gemello di ciascuna coppia è stata invece assegnata una dieta onnivora, che includeva almeno una porzione (170-200 g) di pesce, carne o pollo, un uovo e una porzione e mezza di latte o latticini al giorno. Entrambe le diete erano bilanciate dal punto di vista nutrizionale: includevano verdure, legumi, frutta e cereali integrali, ed erano prive di zuccheri aggiunti e cereali raffinati. Per le prime quattro settimane i 21 pasti settimanali sono stati forniti a ciascun partecipante gratuitamente, a domicilio, e per le successive quattro settimane sono stati preparati in autonomia con la supervisione di un dietologo.
I partecipanti potevano mangiare solo determinati alimenti, ma senza limitazioni particolari. Né la dieta vegana né quella onnivora sono state difficili da apprendere per le persone coinvolte, e su 22 persone a cui era toccata l’alimentazione vegana 21 hanno scelto di proseguire la dieta anche dopo la fine dello studio, ha detto il ricercatore Christopher Gardner, professore di medicina alla Stanford University e tra i coautori dello studio. Il gruppo, che ha fatto una serie di interviste ed esami del sangue sui partecipanti all’inizio, a metà e alla fine dello studio, ha osservato i cambiamenti più evidenti dopo quattro settimane di dieta.
Già a metà del periodo di studio le persone con una dieta vegana avevano, rispetto alla loro gemella o al loro gemello, livelli significativamente più bassi di lipoproteine a bassa densità (il “colesterolo cattivo”), insulina e peso corporeo: variazioni associate a un miglioramento della salute e a una riduzione dei fattori di rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e diabete. I risultati dello studio hanno inoltre mostrato che l’apporto calorico riferito dai partecipanti alla fine del periodo di dieta è stato per entrambi i gruppi inferiore a quello stimato in base al loro metabolismo basale, e che tra i vegani l’apporto di proteine sul totale delle calorie assunte è stato inferiore rispetto a quello dell’altro gruppo.
Il gruppo vegano ha riferito una minore «soddisfazione alimentare», probabilmente perché considerava la propria dieta più restrittiva e meno variegata rispetto a quella dell’altro gruppo, secondo gli autori e le autrici dello studio. Quanto alla vitamina B12, notoriamente assente nelle diete vegane, i risultati degli esami del sangue per il gruppo vegano dopo otto settimane non hanno mostrato, nonostante un minore apporto, livelli statisticamente diversi rispetto a quelli del gruppo onnivoro, probabilmente a causa delle riserve accumulate nel periodo precedente lo studio. Il gruppo di ricerca ha comunque ricordato che alle persone che seguono una dieta vegana a lungo termine è generalmente suggerito di assumere la vitamina B12 attraverso gli integratori.
Una delle conclusioni condivise dal gruppo di ricerca è che l’opportunità di osservare differenze ancora più marcate tra i due gruppi è stata probabilmente limitata dal fatto che le gemelle e i gemelli coinvolti erano persone in salute già prima dello studio. Il loro livello medio basale di colesterolo LDL (114 mg/dl) era ottimale, condizione che lasciava loro uno spazio minimo per migliorare quel valore soltanto attraverso la dieta. Il fatto che la popolazione dello studio fosse sana limita inoltre la possibilità di generalizzare le conclusioni estendendole ad altre popolazioni, che potrebbero avere condizioni di salute e necessità diverse.
Un limite dello studio citato dagli autori e dalle autrici è che non è stato seguito da alcun periodo di follow-up, per verificare a distanza di tempo le informazioni sulla stabilità dei risultati e sulla sostenibilità delle abitudini alimentari a lungo termine. Esiste inoltre la possibilità che il miglioramento dei valori del colesterolo LDL sia correlato non alla dieta vegana in sé ma alla perdita di peso, considerato che i partecipanti non avevano una soglia minima né massima di calorie quotidiane da assumere comune ai due gruppi. Sebbene l’alimentazione vegana possa indurre i cambiamenti fisiologici osservati nello studio, ha scritto il gruppo di ricerca, non è possibile sostenere che i meccanismi biologici alla base di quei cambiamenti siano l’effetto diretto della sola dieta vegana e non anche di altre variabili confondenti, come la perdita di peso, la diminuzione dell’apporto calorico e l’aumento dell’assunzione di verdure.
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In generale lo studio ha confermato i risultati di altre ricerche precedenti che descrivono i benefici dell’alimentazione vegana sulla salute cardiovascolare e per la prevenzione delle malattie croniche cardiovascolari, e raccomandano diete con molti cibi non raffinati e di origine vegetale, e pochi cibi raffinati e di origine animale. «Sulla base di questi risultati e ai fini della longevità, la maggior parte di noi trarrebbe beneficio da una dieta con più cibi di origine vegetale», ha detto Gardner, facendo notare però che sia i partecipanti vegani che, in una certa misura, gli onnivori hanno fatto le tre cose più importanti per migliorare la salute cardiovascolare: ridurre i grassi saturi, aumentare il consumo di fibre alimentari e perdere peso.
Considerato che anche il gruppo di partecipanti onnivori ha migliorato la qualità dell’alimentazione, assumendo più verdure e cereali integrali e meno zuccheri aggiunti e cereali raffinati rispetto alla propria alimentazione abituale, i risultati dello studio non descrivono l’esclusione completa degli alimenti di origine animale come un comportamento necessario per trarre benefici cardiovascolari. Come suggeriscono altre ricerche e studi recenti, quei benefici possono essere ottenuti anche con modeste riduzioni degli alimenti di origine animale e dei latticini, e un aumento di alimenti di origine vegetale rispetto alle quantità presenti nelle diete abituali di molte persone.