Vivere con la minaccia del ponte sullo Stretto
Da dodici anni oltre 200 famiglie temono che gli espropri annunciati nel 2011 diventino esecutivi, intanto le loro case non valgono più nulla
di Isaia Invernizzi
Nelle mappe del ponte sullo Stretto di Messina ci sono quasi 250 case segnate in rosso. Le 27 villette del complesso “due torri” sono nel mezzo della cartina, tra la strada litoranea di Torre Faro e la collina, l’ultima prima del mare a nord della città. Ognuna ha due balconi al piano rialzato, un piccolo patio sul retro, un giardino tutto attorno. Qui dovrebbe essere costruita la torre alta 399 metri che sosterrà il ponte, e che secondo i proclami e le promesse doveva essere finita da un pezzo.
Dodici anni fa sembrava che i cantieri fossero sul punto di aprire e da allora Mariolina De Domenico vive con il timore di dover lasciare la sua casa. Come lei, molti abitanti di Torre Faro si sentono avviliti, frustrati, per certi versi minacciati da un ponte che incombe da anni insieme agli espropri.
Da 21 anni De Domenico abita qui, a poche decine di metri dal mare. Nel 2011 insieme ad altri cento proprietari avviò un’azione legale per i danni materiali e morali causati dai vincoli che hanno bloccato qualsiasi cosa, comprese vendite e ristrutturazioni. «Chi vuoi che si prenda questa casa? In questa situazione non vale niente. Siamo vittime di un ponte che non c’è, e la gente non ci crede» dice in un momento di concitazione.
A Torre Faro abitano circa 2.500 persone. È il punto della Sicilia più vicino alla Calabria, sono circa 3,3 chilometri. D’estate fa caldo, arrivano molti turisti e c’è un certo caos. D’inverno il vento che spazza lo Stretto fa inclinare le palme sulla strada della costa, via Circuito. Viale Cariddi porta alla chiesa, di fronte a un piccolo riparo per le barche. Il pantano grande e il lago piccolo, due laghi vicino al mare, sono un riparo per migliaia di uccelli impegnati nelle rotte migratorie. Gli allevatori di cozze sono ormai pochi. Più ci si allontana dal centro, più le strade si fanno strette, sconnesse, e le sterpaglie invadono i giardini delle poche case già abbandonate.
Un alto traliccio di ferro che la popolazione locale chiama u’ piluni fa da bussola e segnala la posizione di Capo Peloro, dove si incontrano lo Ionio e il Tirreno. È una torre in disuso che per 30 anni, fino al 1985, ha portato l’elettricità dalla Calabria alla Sicilia attraverso cavi di acciaio tesi sullo Stretto. Essendo alta 235 metri, è molto visibile dal centro di Messina, a una quindicina di chilometri di distanza. Il pilone del ponte sarà alto quasi il doppio.
Il piano di espropri fu approvato l’8 settembre 2011. Definirlo piano però non rende la sua dimensione, era un plico di 1.089 pagine. Sembrava tutto inesorabile e definitivo, agli abitanti vennero concessi 60 giorni per fare ricorso, e invece le cose andarono diversamente: il progetto del ponte fu accantonato dal governo guidato da Mario Monti perché troppo costoso. Nonostante siano passati dodici anni, il governo di Giorgia Meloni l’ha riproposto così com’era. Costerà circa 12 miliardi di euro, ma per avere stime ancora più precise dei costi e dei tempi bisogna attendere la pubblicazione di un’integrazione al progetto commissionata negli ultimi mesi, e finora rimasta riservata.
Gli unici documenti disponibili sono di una decina di anni fa. Nel 2012 fu pubblicata una relazione dettagliata con tutte le proprietà coinvolte: 541 pagine con foto e descrizione degli edifici da demolire per fare spazio al ponte e alle aree di cantiere. Oltre a quasi 250 case ci sono anche due ristoranti, un chiosco sulla spiaggia, un residence con piscina, una panetteria, una macelleria, un motel e il campeggio dello Stretto. Questi ultimi due sono abbandonati. Dovranno essere abbattute anche due cappelle del cimitero di Granatari, sulla collina, dove verranno ancorati i cavi di acciaio del ponte.
Lo Stato può espropriare le proprietà private sulla base del principio della pubblica utilità, valido nel caso della costruzione di un ponte o comunque di un’opera pubblica. L’articolo 42 comma 3 della Costituzione infatti afferma che “la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale”. I proprietari possono opporsi con un ricorso al tribunale amministrativo regionale (TAR) per contestare la legittimità della decisione o delle procedure seguite dallo Stato. Se invece non sono soddisfatti degli indennizzi possono rivolgersi alla Corte d’Appello. In generale la possibilità di contestare un esproprio è piuttosto limitata.
Nessuno a Torre Faro o a Cannitello, in Calabria, è stato chiamato o avvisato. La legge prevede che le carte vengano pubblicate in un “cassetto virtuale”, un sito in cui gli abitanti scopriranno in pochi clic se l’esproprio del 2011 sarà confermato. Non è stato ancora messo online e non si sa nulla nemmeno degli indennizzi, cioè quanti soldi saranno dati come compensazione ai proprietari delle case espropriate.
Daniele Ialacqua era già molto conosciuto in città. Fu assessore all’Ambiente durante il mandato di Renato Accorinti, dal 2013 al 2018. Negli ultimi due anni, dopo aver costituito il comitato No Ponte – Capo Peloro, è diventato un riferimento dell’opposizione al progetto insieme alla moglie Mariella Valbruzzi. Sabato 2 dicembre scandiva slogan in testa alla manifestazione organizzata da comitati e associazioni ambientaliste: «Il ponte sullo stretto non-lo-voglio! Lo dice la balena, lo dice il capodoglio!». È stata la ventesima organizzata negli ultimi vent’anni, hanno partecipato circa 10mila persone.
Negli ultimi mesi il comitato ha organizzato banchetti per informare le persone. In piazza a Torre Faro sono state portate le tavole del progetto. Alcune persone, dice Ialacqua, si sono accorte così di essere nella “zona rossa”: «Molte abitano qui da decenni, hanno una certa età e non vogliono spostarsi».
Anche nelle altre zone della città interessate dai cantieri si sa poco o nulla. Diversi proprietari sono venuti a sapere degli espropri dagli articoli pubblicati sui giornali locali come LetteraEmme, che all’inizio di dicembre ha messo online un osservatorio con mappe dettagliate dei piani del 2012.
Oltre al ponte verranno costruiti viadotti, caselli, gallerie e la nuova metropolitana di Messina, lunga 17 chilometri e con tre stazioni. Ci saranno scavi e cantieri ovunque. Dovranno essere allargate le strade per far passare i camion, creati piazzali per i macchinari dei cantieri, aperte le cave dove portare la terra rimossa. All’Annunziata, un quartiere della città, sarà costruita una delle tre stazioni della metropolitana. In quel punto c’è un condominio di 28 famiglie e non è ancora chiaro se sarà abbattuto.
Manca ancora il progetto esecutivo, tappa fondamentale per far partire i lavori. La legge dice che deve essere approvato entro il 24 luglio 2024. Il consorzio di imprese che nel 2005 vinse l’appalto assicura che i lavori potranno iniziare in primavera. È una scadenza irrealistica, non si muoverà niente ancora per molti mesi, forse anni.
Ma chi abita nelle aree da espropriare ha già subìto gli effetti del ponte. I vincoli “preordinati agli espropri” sono un atto con cui lo Stato impedisce qualsiasi sviluppo urbanistico. Vennero introdotti col progetto preliminare nel 2003, rinnovati nel 2008, riproposti quest’anno. La principale conseguenza dei vincoli è una svalutazione enorme del valore delle case.
Manuela fa parte del comitato No Ponte – Capo Peloro. Aveva intenzione di ristrutturare l’appartamento dove vive da 20 anni, ma non può farlo, ed è spazientita dalla situazione di incertezza che dura da anni. «Non saprei dove andare, pensavo di morirci in questa casa» dice. «Invece mi ritrovo alla mia età a rimettere tutto in discussione». Degli indennizzi non ha mai voluto saperne: la casa le è stata lasciata da suo padre, è una questione affettiva.
Il sito Ponte sullo Stretto News è un’altra fonte di informazione sul ponte. È gestito da Giuseppe Palamara, detto Peppe, un ingegnere che ha dedicato gli ultimi anni a cercare di convincere i messinesi della bontà del progetto. Dice di conoscere a memoria le 8.280 tavole di cui è composto. Anche Palamara ha perso la pazienza: gli scontri con chi si oppone al ponte sono violenti, soprattutto sui social network. «Non siamo i primi a fare un esproprio di pubblica utilità: se serve, serve» dice. «Quelle case rischiano di essere strapagate, fino a tre volte il normale valore fissato dagli espropri. Sono tutte villette realizzate negli anni Sessanta, abusive e sanate. Non le stiamo togliendo alla povera gente, e comunque nessuno rimarrà a piedi». In realtà molte delle case che dovrebbero essere abbattute sono più recenti, non abusive, e la valutazione degli indennizzi non c’è ancora.
L’avversione al ponte di chi abita qui è comprensibile. Tuttavia molti abitanti di Torre Faro, anche tra coloro che dovrebbero lasciare la casa, non partecipano alle manifestazioni. Diffidano delle promesse dei politici. Ci sono già passati anni fa e non è cambiato nulla: le case sono sempre lì. La preoccupazione ha lasciato posto al fatalismo e alla convinzione che il ponte sia un’opera troppo grande e costosa per essere realizzata. C’è una diffusa e non del tutto infondata sensazione che alla fine nessuno riuscirà mai a costruirlo, questo ponte.
Sia le persone favorevoli che quelle contrarie hanno valide argomentazioni su questioni molto puntuali, come la sicurezza e l’impatto ambientale. I dati si possono osservare e interpretare da diversi punti di vista senza quasi mai ottenere risposte sbagliate. Manca però un parere terzo, autorevole e più approfondito sull’effettiva utilità del ponte. Le analisi dei costi e dei benefici utilizzate ancora oggi hanno almeno dieci anni, e risentono di premesse errate nei costi e previsioni di flussi di traffico già smentite dai fatti.
Anche il sindaco di Messina, Federico Basile, esprime una moderata perplessità, pur essendo favorevole al ponte: «Messina è a dir poco scottata dal passato recente e poco recente della storia del ponte. Attendere che il ponte si realizzi nella indeterminatezza della reale pianificazione di contorno non può bloccare Messina per altri 20 anni. Questo non accadrà perché Messina si farà sentire». E poi, sugli espropri, Basile dice che il comune ha chiesto al ministero quali saranno le aree interessate senza ricevere risposta. Il sindaco è preoccupato perché nel caso del ponte sullo Stretto l’interesse privato di centinaia di persone diventa interesse pubblico. «Messina non può più attendere il ponte per pianificare e realizzare il proprio futuro».
I timori di chi vive sull’altra sponda dello Stretto, in Calabria, sono gli stessi. Piero Idone abita a Cannitello, a 300 metri dal punto in cui dovrebbe essere costruita la torre. La sua casa è compresa nell’area del cantiere. Sabato 2 dicembre c’era anche lui a Messina alla manifestazione contro il ponte, reggeva un enorme dipinto di Nettuno. «Questa è una zona che vive del turismo estivo o di ritorno» dice. «Si passa da 1.500 abitanti a 10mila. È un’economia che dura due mesi. Quando apriranno i cantieri scomparirà tutto, altro che effetti sul turismo». In compenso a Cannitello è già stata aperta un’opera “propedeutica” al ponte, la variante che porta lo stesso nome della località: una deviazione della ferrovia sulla costa calabrese pensata per far spazio al pilone. Aperta nel 2012, è costata 26 milioni di euro. Per ora è inutile.
Molte delle persone che si impegnano nei comitati e nei gruppi contrari o favorevoli al ponte non riescono a capire come mai non se ne parli tutti i giorni sui giornali. C’entra la scarsa fiducia motivata dalla storia fallimentare dell’opera. Anche i 780 milioni di euro stanziati dal governo per il 2024 hanno suscitato poco dibattito. «Com’è possibile che siano impegnati 12 miliardi di euro e nel resto d’Italia non si dica niente?» si chiede Manuela.
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