La Corte Suprema del Texas ha impedito temporaneamente a una donna di abortire nonostante la sua gravidanza sia a rischio
Venerdì la Corte Suprema del Texas ha impedito temporaneamente a una donna incinta di abortire con un intervento d’urgenza nonostante la sua gravidanza sia a rischio. L’aborto era stato permesso da un tribunale di grado inferiore, ma il procuratore generale del Texas Ken Paxton, contrario all’aborto, aveva fatto appello contro la decisione.
La donna, Kate Cox, di 31 anni, aveva chiesto di abortire perché al feto era stata diagnosticata la trisomia 18, un’anomalia genetica molto grave che in molti casi provoca aborti spontanei: più della metà dei bambini che nascono con questa malattia muore nella prima settimana di vita e solo una quota tra il 5 e il 10 per cento supera il primo anno di vita. La Corte Suprema ha sospeso il giudizio sul caso sostenendo che ai giudici serva più tempo per emettere una sentenza definitiva: secondo il tribunale che aveva consentito l’aborto, invece, nel caso di Cox le eccezioni al divieto in vigore nello stato sarebbero evidenti.
La legge del Texas vieta l’interruzione volontaria di gravidanza dopo sei settimane di gestazione nella maggior parte dei casi, compresi stupri e incesti. La legge nota come “Senate Bill 8”, in particolare, proibisce le interruzioni volontarie di gravidanza una volta che il personale medico abbia riscontrato “attività cardiaca” nell’embrione, che di solito si verifica attorno alle sei settimane: un momento della gravidanza in cui molte donne non sanno ancora di essere incinte e in cui in realtà non c’è ancora un organo cardiaco vero e proprio.
Dopo la sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti che ha di fatto cancellato il diritto all’aborto a livello federale, circa venti dei cinquanta stati americani hanno introdotto leggi restrittive che vietano in assoluto l’interruzione volontaria di gravidanza oppure ne limitano la possibilità alle prime settimane di vita del feto.
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