La situazione umanitaria a Gaza è sempre più grave
Mancano cibo e acqua, e si stanno cominciando a diffondere le malattie: nel frattempo i bombardamenti israeliani si sono intensificati
I combattimenti tra le forze israeliane e Hamas nel nord della Striscia di Gaza sono proseguiti tutta la notte, e nelle ultime ore si sono intensificati i bombardamenti di Israele a Khan Yunis, la città più grande del sud della Striscia, che l’esercito israeliano sta attaccando anche via terra ormai da giorni. Secondo le informazioni ottenute da Al Jazeera i soldati israeliani si stanno avvicinando al principale ospedale della città, quello di Nasser, ma sono stati segnalati bombardamenti con morti e feriti sia a Rafah, al confine con l’Egitto, che a Deir el-Balah, nella parte centrale della Striscia.
In queste circostanze, la situazione umanitaria dei civili palestinesi è sempre più grave. Gli abitanti della Striscia si sono ammassati ormai da settimane nel sud del territorio, in particolare a Rafah e sul Mediterraneo, ad Al Mawasi, posti che non sono attrezzati per gestire una situazione del genere, né sembrano completamente al sicuro da eventuali attacchi.
Da quando è cominciata la guerra circa 1,9 milioni di palestinesi, quasi l’80 per cento degli abitanti della Striscia, hanno dovuto lasciare le proprie case per spostarsi altrove, nelle zone ritenute “sicure” dall’esercito israeliano. Dopo aver messo sotto assedio e bombardato la Striscia, Israele ha iniziato la sua invasione di terra, prima limitandosi alla parte nord del territorio, e poi arrivando a invadere anche il sud. Nei luoghi in cui si sono ammassati i palestinesi hanno cominciato a diffondersi fame e malattie, con conseguenze gravissime.
Il segretario generale dell’ONU António Guterres ha detto che «alla gente di Gaza è stato detto di spostarsi come palline da flipper […], ma a Gaza non c’è nemmeno un posto sicuro».
I civili palestinesi intervistati in questi giorni dai giornali internazionali raccontano di passare ore in coda per cercare di ottenere un po’ di cibo e acqua, che spesso mancano quasi del tutto.
Khatib, un uomo di 28 anni rifugiato a Rafah da fine novembre, ha detto al Washington Post che la sua famiglia è stata costretta a mangiare cibo scaduto e andato a male, e che le sue due figlie hanno problemi intestinali anche per via del freddo, visto che non c’è elettricità per riscaldare gli ambienti. Ad Al Mawasi, perlopiù desertica, con una superficie di 8,5 chilometri quadrati e dichiarata “sicura” in varie occasioni dall’esercito israeliano, mancano i servizi di base.
Una donna intervistata dalla BBC, Reem Abd Rabu, ha detto di aver passato le ultime settimane dormendo per terra sotto a un tendone insieme ad altre quattro famiglie. «L’acqua c’è un giorno e per i dieci seguenti non c’è, nemmeno nei bagni. Ed è la stessa cosa per l’elettricità», ha detto Reem. Non c’è nemmeno internet, o comunque prende pochissimo, cosa che impedisce alle persone che si sono rifugiate ad Al Mawasi di tenersi in contatto con le loro famiglie o di avere informazioni su cosa stia succedendo altrove. Mona al-Astal, una medica che è scappata lì per via dell’invasione di Khan Yunis, ha detto di aver visto persone entrare nel magazzino di scorte gestito dall’ONU perché «avevano fame e niente da mangiare».
Gli effetti della malnutrizione e l’assenza di cure mediche rischiano di essere fatali, soprattutto per i bambini molto piccoli.
L’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) ha detto che l’intensificarsi dei bombardamenti nel sud della Striscia, e in particolare a Khan Yunis, «probabilmente impedirà a migliaia di persone di avere accesso a cure sanitarie». L’OMS ha già riscontrato un aumento di malattie infettive, tra cui infezioni respiratorie acute, scabbia, diarrea e ittero, cioè l’eccesso di bilirubina che provoca la colorazione giallastra della pelle e delle mucose. In altri rifugi sempre nel sud della Striscia sono stati segnalati casi piuttosto gravi di ittero, che secondo l’OMS potrebbero essere segnali di epatite.
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Christos Christou, presidente internazionale di Medici Senza Frontiere, ha detto che la situazione nella Striscia «è ormai ben oltre la crisi umanitaria. È una catastrofe umanitaria. Una situazione caotica». Christou ha aggiunto di essere «seriamente preoccupato che molto presto le persone si ritroveranno a cercare semplicemente di sopravvivere, con tutte le gravissime conseguenze» che ciò comporta.
Gli operatori di Medici Senza Frontiere attivi sul posto continuano a dire che la situazione «è insopportabile, insostenibile», ha spiegato, dicendo a sua volta che a Gaza «non c’è alcun posto sicuro».
In una lettera aperta inviata al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, Christou aveva sollecitato un nuovo cessate il fuoco umanitario per l’apertura di corridoi umanitari e per facilitare l’ingresso degli aiuti nella Striscia. Venerdì tuttavia gli Stati Uniti hanno posto il veto sulla risoluzione proposta: si sono sempre opposti all’uso dell’espressione “cessate il fuoco” sostenendo che non rispetti il diritto di Israele a difendersi.