L’inchiesta sulla strage di Mestre è più complicata del previsto
Nonostante i tanti esami disposti dalla procura, le cause dell'incidente in cui sono morte 21 persone non sono state ancora chiarite
Nelle ultime settimane la procura di Venezia ha disposto una serie di approfondimenti sulle prime ricostruzioni delle cause dell’incidente avvenuto martedì 3 ottobre a Mestre, quando un autobus è caduto da un cavalcavia provocando la morte di 21 persone e 15 feriti. Le indagini si sono concentrate su tre elementi in particolare: lo stato di manutenzione del guardrail e del cavalcavia, un eventuale guasto meccanico dell’autobus e un possibile malore dell’autista. L’inchiesta è lunga e più complicata del previsto perché i risultati ottenuti finora sono piuttosto incerti.
L’autobus elettrico collegava Venezia al campeggio Hu di Marghera. Poche decine di metri dopo la rampa di ingresso al cavalcavia “della Vempa”, il bus aveva sbandato verso destra per poi strisciare per una cinquantina di metri sul guardrail. All’altezza di un varco lasciato aperto per sicurezza il mezzo aveva continuato a mantenersi verso destra colpendo la barriera del cavalcavia a una velocità molto ridotta, 5 o 6 chilometri orari. L’autobus infine aveva sfondato la barriera per via del peso notevole ed era precipitato, ribaltandosi prima di finire sulla strada.
Nello schianto erano morti nove turisti ucraini, quattro romeni, tre tedeschi, un croato, due portoghesi, un sudafricano e un italiano, l’autista Alberto Rizzotto.
La procura ha nominato come consulente Placido Migliorino, ispettore del ministero dei Trasporti. Tra la metà di ottobre e l’inizio di novembre Migliorino ha fatto due sopralluoghi molto approfonditi per capire lo stato di manutenzione del guardrail. Il cavalcavia è stato scannerizzato con un laser per essere ricostruito in 3D. Sono state misurate le altezze di tutti i componenti, sono stati fatti carotaggi nell’asfalto e sono stati tagliati pezzi di marciapiede e di barriera da analizzare in laboratorio. Infine è stata esaminata a fondo anche la carcassa dell’autobus. Il consulente ha 120 giorni di tempo per presentare la sua relazione.
A metà ottobre era stata fatta una prima autopsia sul corpo dell’autista Alberto Rizzotto per individuare possibili cause di un malore. I medici Guido Viel e Roberto Rondolini non avevano trovato segni evidenti di anomalie, ma avevano chiesto di fare nuovi esami, in particolare sul cuore. Durante la seconda autopsia i medici hanno trovato segnali di una possibile compromissione del tessuto cardiaco, anche se non così evidenti: per questo è stato programmato un ulteriore esame a cui parteciperanno anatomopatologi esperti di morti improvvise. Il terzo esame si terrà il 21 dicembre.
Tecnici informatici incaricati dalla procura inoltre hanno analizzato le cosiddette scatole nere dell’autobus, cioè i dispositivi elettronici che registrano dati come la velocità, l’utilizzo dei freni, la geolocalizzazione.
Una delle due scatole nere dovrebbe contenere i video delle tre telecamere a bordo, che però non riprendono l’autista: i periti sono al lavoro per recuperare le immagini. L’altra scatola nera ha trasmesso i dati attraverso una sim a un server di Francoforte gestito da Amazon per conto della società produttrice degli autobus, la cinese Yutong. La procura dovrà quindi fare una rogatoria internazionale, ovvero una procedura per chiedere alle forze dell’ordine tedesche di acquisire i dati.
Pochi giorni dopo l’incidente la procura di Venezia aveva cominciato a indagare su Roberto Di Bussolo, dirigente del settore Mobilità e viabilità della terraferma del comune di Venezia, Alberto Cesaro, funzionario del settore Manutenzione, e Massimo Fiorese, l’amministratore delegato di La Linea, la società che gestisce il servizio di navetta di cui faceva parte l’autobus. I tre sono accusati dei reati di omicidio stradale, omicidio colposo plurimo, lesioni personali stradali gravi o gravissime e lesioni personali colpose.
La scorsa settimana la procura ha coinvolto nell’indagine anche Simone Agrondi, dirigente dei Lavori pubblici del comune di Venezia. Agrondi è uno dei progettisti del cantiere per il rinnovo del cavalcavia, che erano iniziati soltanto il mese prima dell’incidente nonostante l’evidente scarso stato di conservazione.
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