Il mar Baltico è ancora pieno di residuati bellici
Dopo il 1945 vi furono gettate più di 250mila tonnellate di munizioni e armi chimiche: oggi è un problema per pescatori, gasdotti e impianti eolici
Nei giorni scorsi una bomba di 130 chili risalente alla Seconda guerra mondiale è finita nelle reti di un pescatore che stava lavorando nel mar Baltico, vicino all’isola danese di Langeland. Il pescatore ha avvisato le autorità e la marina danese ha fatto esplodere l’ordigno in modo controllato dopo averlo rimesso in mare, a 15 metri di profondità. L’operazione è stata condotta seguendo procedimenti ben collaudati perché non è insolito che nel Baltico si trovino residuati bellici. Lì durante la Seconda guerra mondiale si combatterono molte battaglie navali, e alla fine del conflitto vi furono gettate circa 50mila tonnellate di armi chimiche e almeno 200mila tonnellate di munizioni di vario genere, perlopiù tedesche, per sbarazzarsene in fretta.
Minører fra @forsvaretdk har bortsprængt en 130kg tung dybvandsbombe, som en fisker havde fået i nettet syd for Langeland. Detoneringen foregik på 12,5m dybde og 3,2km fra kysten.#dkforsvar #værdatkæmpefor pic.twitter.com/cH27KygDXn
— Forsvaret (@forsvaretdk) December 3, 2023
Per decenni non è stato fatto molto per capire esattamente dove si trovino questi residuati bellici, verificare se e in che misura stiano inquinando l’acqua. Negli ultimi anni però sono diventati sempre di più una preoccupazione dei paesi che si affacciano sul Baltico, anche perché complicano l’installazione di gasdotti e impianti per la produzione di energia eolica.
Fino al 1975, quando entrò in vigore la “Convenzione sull’inquinamento marino causato dall’immersione di rifiuti e altre sostanze”, o “Convenzione di Londra”, a livello internazionale non c’era nulla che vietasse di abbandonare in mare materiale bellico o rifiuti. Per quanto riguarda gli ordigni e altre armi di cui ci si voleva liberare, lasciarle sprofondare sui fondali era considerata una soluzione efficace e non problematica per la sicurezza: lo si faceva per munizioni tecnologicamente superate e lo si fece in larga scala per disarmare la Germania dopo il 1945.
Infatti nonostante la sconfitta dell’esercito nazista nel paese c’erano ancora grandi quantità di armi. Gli Alleati che avevano vinto la guerra, cioè gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Unione Sovietica, si accordarono per eliminarle buttandole nel Baltico, nel mare del Nord e nell’oceano Atlantico. Sembrava la soluzione ideale in particolare per le armi chimiche come l’iprite, un gas asfissiante che deve il suo nome alla città belga di Ypres, dove fu usato per la prima volta in battaglia nel 1915. All’epoca non c’erano metodi sicuri ed economici per distruggere grandi quantità di sostanze tossiche pericolose e non si prendeva in considerazione l’inquinamento dell’oceano.
Dalla seconda metà degli anni Quaranta e fino ai primi anni Sessanta centinaia di migliaia di tonnellate di armi furono gettate in mare: o all’interno di barili o altri contenitori, oppure a bordo di imbarcazioni fatte affondare. Non si pensava alle possibili conseguenze e non furono registrate con precisione le coordinate dei punti in cui questo materiale venne abbandonato. Peraltro in molti casi le armi erano gettate in mare non solo nei punti scelti, ma anche lungo la rotta intrapresa per arrivarci.
Gli Stati Uniti si diedero come regola di scegliere punti con profondità di almeno 1.800 metri. Il Baltico però è un mare poco profondo, il punto più basso è a soli 459 metri dalla superficie e la profondità media è di 54 metri: la marina sovietica abbandonò munizioni e armi chimiche in zone molto poco profonde.
Per anni poi le armi inabissate furono perlopiù dimenticate. I pescatori sapevano che c’erano delle aree in cui non si doveva praticare la pesca a strascico (quella per cui le reti possono essere trascinate sui fondali), ma per via delle modalità con cui le munizioni erano state gettate capitarono degli incidenti.
Ad esempio, nel gennaio del 1997 l’equipaggio di un peschereccio polacco trovò nelle proprie reti un oggetto di circa sei chili, che all’apparenza sembrava un grosso pezzo d’argilla gialla. Alla fine della giornata di lavoro i pescatori lo abbandonarono in un cassone per i rifiuti in porto: il giorno dopo alcuni di loro cominciarono a stare male, avevano delle ustioni di cui non sapevano spiegarsi l’origine e quattro dovettero essere ricoverati in ospedale. Si scoprì che l’oggetto che avevano trovato e maneggiato, nel frattempo finito in una discarica, era iprite solidificata a causa delle basse temperature del fondale del Baltico.
Solo negli ultimi due decenni ci si è cominciati a preoccupare delle possibili conseguenze della presenza di esplosivi e sostanze tossiche in fondo al Baltico. Sono stati fatti alcuni studi per cercare di stabilire se le sostanze contenute nelle armi, sempre più esposte all’acqua per via della progressiva corrosione dei contenitori metallici in cui si trovano, danneggino la fauna marina, e di conseguenza la salute delle persone che mangiano pesce del Baltico: sostanze tossiche sono state trovate in alcuni pesci e molluschi, ma per ora gli studi sono incompleti.
Un articolo pubblicato nel 2020 sulla rivista scientifica Marine Environmental Research spiega che finora non si hanno notizie di problemi gravi causati dalle armi sommerse, ma che è probabile che ci siano dei rischi non ancora compresi e che possano aumentare con la corrosione.
L’Unione Europea e la NATO hanno finanziato vari progetti internazionali per localizzare meglio le armi inabissate, scoprire il loro stato di conservazione e le possibili conseguenze della loro presenza. Tuttavia non è ancora stato concluso se sia opportuno rimuoverle oppure se sia meglio lasciarle dove sono. Da un lato recuperarle eliminerebbe le fonti di inquinamento presenti e future, dall’altro richiederebbe di studiare nuove tecniche e porterebbe probabilmente nuovi rischi. L’unico che si può escludere è quello di esplosioni, perché le mine navali, le granate e le altre armi contenenti sostanze esplosive furono gettate in mare senza detonatori.
Intanto, in attesa di decisioni internazionali definitive sulla questione, alcuni progetti industriali che coinvolgono il Baltico hanno dovuto trovare soluzioni locali. È successo ad esempio durante la costruzione dei gasdotti Nord Stream, realizzati per far arrivare il gas naturale russo in Germania e sabotati nel settembre del 2022. La questione riguarda anche il mare del Nord, dove nel 2013 per costruire un impianto per la produzione di energia eolica in mare fu impiegata per alcune settimane una nave per la rimozione di armi inabissate che costava 200mila euro al giorno.
A febbraio la Germania ha avviato un programma da 100 milioni di euro per provare a recuperare e distruggere le armi e la Commissione Europea ha invitato gli altri paesi che si affacciano sul Baltico a portare avanti iniziative simili: se ne è parlato a settembre durante un incontro internazionale organizzato in Lituania.
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