Non c’erano mai stati così tanti lobbisti dell’industria petrolifera come alla COP28
Secondo il conteggio di una rete di organizzazioni ambientaliste sono 2.400, più di quasi tutte le delegazioni nazionali
Alla conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico in corso a Dubai (COP28) si sono registrati 2.456 lobbisti dell’industria dei combustibili fossili, secondo il conteggio di Kick Big Polluters Out (KBPO), una rete internazionale di più di 450 organizzazioni ambientaliste. I partecipanti alla COP28 legati al settore di petrolio, carbone e gas naturale sarebbero dunque più numerosi di quasi tutte le delegazioni dei 197 paesi che prendono parte alle conferenze sul clima: solo la delegazione degli Emirati Arabi Uniti (4.409 persone), il paese ospite di quest’anno, e quella del Brasile (3.081), il paese che organizzerà la COP30 del 2025, sono più grandi.
La COP28 è la più partecipata di sempre. Secondo la lista dei partecipanti diffusa il 30 novembre dall’UNFCCC, l’ente dell’ONU che si occupa delle COP, si sono registrate all’evento, che è iniziato il 30 novembre e durerà almeno fino al 12 dicembre, più di 97mila persone: alla COP26 di Glasgow del 2021, che in precedenza aveva segnato il record di presenze, ce n’erano state quasi 40mila. In quel caso era stato stimato che tra i partecipanti le persone legate in qualche modo all’industria dei combustibili fossili fossero circa 500; alla COP27 dell’anno scorso, tenutasi in Egitto, si era parlato di circa 600 persone.
L’uso dei combustibili fossili come fonti di energia è la principale causa delle emissioni di gas serra a cui si deve il cambiamento climatico. Per questo le organizzazioni ambientaliste come quelle che fanno parte di Kick Big Polluters Out (che tradotto dall’inglese significa “Buttiamo fuori i grandi inquinatori”) si oppongono alla presenza delle persone legate al settore dei combustibili fossili alle conferenze sul clima: ritengono che il reale interesse dell’industria sia continuare a estrarre e vendere combustibili fossili, nonostante le conseguenze sul clima, e che per questo la loro presenza alle COP generi conflitti di interessi.
Quest’anno si è parlato in particolare della questione perché lo stesso paese ospite della COP è molto legato ai combustibili fossili: gli Emirati sono il settimo paese al mondo per produzione di petrolio e il presidente della COP scelto dal paese, Sultan Ahmed Al Jaber, è anche l’amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC), l’azienda petrolifera statale emiratina.
Come presidente della COP28 Al Jaber aveva detto di voler includere i rappresentanti del settore dei combustibili fossili perché senza di loro, a suo dire, non si può portare avanti la transizione verso un’economia globale che produce meno emissioni di gas serra. È vero che molte aziende che producono combustibili fossili stanno investendo anche in fonti di energia rinnovabili, che non causano emissioni di gas serra, in un’ottica di transizione energetica, ma le intenzioni di Al Jaber sono state messe in dubbio più volte.
È successo per l’ennesima volta dopo che domenica è emerso che il presidente della COP ha sostenuto che «non c’è nessuna scienza, o scenario, che dica che l’abbandono graduale dei combustibili fossili permetterà di mantenere l’aumento delle temperature entro 1,5 gradi», riferendosi all’obiettivo più ambizioso dell’Accordo sul clima di Parigi del 2015.
KBPO ha stimato il numero di lobbisti dell’industria dei combustibili fossili proprio a partire dalla lista resa disponibile dall’UNFCCC, contando ogni registrato che ha «dichiarato dei legami con una società di combustibili fossili, un’organizzazione con interessi nei combustibili fossili o una fondazione direttamente associata con una azienda dei combustibili fossili per legami di proprietà o controllo». La stima è «cauta» secondo KBPO, nel senso che potrebbero esserci anche legami meno espliciti tra persone partecipanti alla COP28 e aziende dei combustibili fossili rispetto a quanto emerge dalla lista dell’UNFCCC.
Alcune delle persone conteggiate da KBPO fanno parte di delegazioni nazionali. Ad esempio in quella dell’Italia ce ne sono 14 che lavorano per Eni, la società petrolifera di cui lo stato è il principale azionista (a questi 14 bisogna poi aggiungere l’amministratore delegato Claudio Descalzi e un altro dirigente dell’azienda, che erano conteggiati nella delegazione dell’Unione Europea).
Da quest’anno l’elenco dell’UNFCCC indica un’organizzazione di appartenenza per ogni partecipante alla COP perché le Nazioni Unite hanno introdotto delle procedure di iscrizione che obbligano a dichiarare per chi si lavora. Per questo è possibile che la stima del numero di persone legate al settore dei combustibili fossili presenti alla COP di quest’anno (che è circa il quadruplo rispetto all’anno scorso) sia più alta che in passato anche per la maggiore trasparenza promossa dall’UNFCCC.
Ma secondo la KBPO non è l’unica ragione. «Si diceva che durante questa conferenza si sarebbero fatti progressi sugli impegni a eliminare l’uso dei combustibili fossili e l’industria di settore è qui per influenzare l’esito delle trattative il più possibile», ha detto a BBC George Carew-Jones di YOUNGO, l’insieme di organizzazioni giovanili che lavora con l’UNFCCC e che rientra nella rete KBPO.
Martedì sono state diffuse le prime bozze dell’accordo della COP28 e in una si parla effettivamente di «eliminazione/riduzione progressiva» dell’uso dei combustibili fossili ma non è affatto detto che alla fine una di queste espressioni sarà presente nel documento finale della conferenza, perché molti paesi produttori di petrolio sono contrari – il ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita, Abdulaziz bin Salman, lo ha detto esplicitamente in un’intervista.
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