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  • Lunedì 4 dicembre 2023

Dai territori ucraini occupati si scappa ancora

Decine di persone ogni giorno continuano a fuggire dall'est del paese, e raccontano com'è la vita nei territori occupati dalla Russia

di Davide Maria De Luca

Due soldati ucraini di guardia al confine nella regione di Sumy (AP Photo/Hanna Arhirova)
Due soldati ucraini di guardia al confine nella regione di Sumy (AP Photo/Hanna Arhirova)
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Ufficialmente la dogana di Kolotylivka-Pokrovka non esiste. Dopo l’invasione russa del 24 febbraio del 2022, il governo ucraino ha chiuso tutti i posti di confine con la Russia e con i territori occupati. Nessuno può entrare o uscire. Ma nelle foreste della regione di Sumy, nell’Ucraina orientale, un tacito accordo tra i due paesi in guerra ha permesso l’apertura di un passaggio sicuro per i civili, l’unico in un fronte di guerra lungo migliaia di chilometri.

Circa cento persone al giorno attraversano la dogana di Kolotylivka-Pokrovka. Sono profughi partiti dai territori occupati dalla Russia che cercano di scappare per raggiungere parenti e amici sparsi per l’Ucraina. Si lasciano tutto alle spalle: il varco si può percorrere in una sola direzione. Le storie intorno a questo passaggio raccontano la realtà presente della guerra, ma offrono alcuni indizi anche su quello che potrebbe diventare in futuro.

«Abbiamo scoperto questo passaggio a gennaio quasi per caso», dice Katerina Arisoy, 36 anni, originaria di Bakhmut e fondatrice dell’organizzazione umanitaria Pluriton, che fornisce sostegno ai profughi che passano il confine. All’epoca, Arisoy lavorava come volontaria portando cibo e attrezzature ai militari al fronte e aiutando le persone a evacuare dalle zone di combattimento.

È un lavoro pericoloso. A dicembre tre volontari della sua organizzazione si sono trovati con una gomma a terra nella regione di Luhansk. Una pattuglia russa li ha sorpresi e fatti prigionieri. Per tre mesi sono stati tenuti in una prigione russa per poi essere liberati. I tre si sono trovati nei territori occupati, ma senza documenti per loro era impossibile tornare in Ucraina passando per l’Europa. È stato allora che hanno sentito parlare per la prima volta del passaggio informale di Kolotylivka-Pokrovka.

«Quando siamo venuti a recuperarli li abbiamo aspettati per due giorni – dice Arisoy – E mentre attendevamo ci siamo resi conto che quel passaggio era frequentato. C’erano altre persone che passavano. Eravamo nel mezzo dell’inverno e non c’era alcuna infrastruttura per accoglierli, né un posto per scaldarsi, né per bere o mangiare qualcosa».

Nessuno sembra sapere quando i primi civili hanno iniziato ad attraversare il varco. Probabilmente il passaggio è stato aperto per la prima volta l’anno scorso, dopo che le truppe russe si sono ritirate dalla regione di Sumy e sono tornate dietro i loro confini. All’inizio il varco era usato solo dai soldati ucraini e da quelli russi, che si incontravano qui per scambiarsi prigionieri o corpi di soldati caduti in battaglia. Poi, qualche civile intraprendente ha provato ad attraversare e, sorprendentemente, i russi lo hanno lasciato passare.

Dopo aver recuperato i suoi amici, Arisoy racconta che nel giro di una settimana è tornata con loro sul posto e ha messo in piedi la prima struttura di accoglienza: una stanza con un bollitore per fare tè caldo e qualche letto su cui trascorrere la notte. Con il passare delle settimane e il miglioramento del tempo, le persone che attraversavano il confine aumentavano. Arisoy e degli altri volontari hanno iniziato a diffondere informazioni sul varco tramite i social. Il flusso continuava a crescere. Presto si sono dovuti trasferire in una sede più grande e poi in un’altra ancora.

Oggi Pluriton occupa una ex scuola di due piani a Krasnopillya, la prima cittadina dopo il confine. Le persone arrivano con i loro bagagli in un piccolo cortile di cemento, un volontario li accoglie e li porta in una stanzona al piano terra con ancora lavagne e carte geografiche dove depositare i loro bagagli prima di sottoporsi ai controlli dei militari ucraini. Al piano superiore c’è un piccolo ambulatorio e una stanza con qualche letto per chi passerà lì la notte. Ma in pochi si fermano. Alle sei di mattino parte il treno per Kiev, gratuito per chi arriva dai territori occupati.

Bagagli ammassati in una delle stanze del centro di accoglienza, situato in una ex scuola (foto Davide Maria De Luca)

La procedura di filtrazione, come la chiamano gli ucraini, può durare per ore. Militari e guardie di confine esaminano i documenti di chi arriva, li interrogano e poi consegnano loro documenti provvisori, se non li hanno. Accanto alle scrivanie dove i militari registrano i nuovi arrivati c’è un cestino pieno di rubli russi. Chi ha un passaporto russo si affretta ad assicurare che è stato costretto a prenderlo. Leonid, un ex bidello di 63 anni, lo ripete più volte: i soldati russi lo hanno obbligato, lui non voleva, è un patriota che crede nella vittoria del suo paese.

Leonid ha lasciato ieri il suo villaggio per raggiungere il figlio che studia nella città di Kherson, al di là del Dnipro. Un tempo, il viaggio avrebbe richiesto poco più di un’ora, ma ora il fronte corre lungo il fiume che separa il suo villaggio dalla città. Per attraversarlo, Leonid ha dovuto fare il giro di mezza Ucraina. Nei territori occupati ha lasciato una figlia, troppo spaventata dal viaggio per partire, due nipoti e molti amici che aspettano di sapere com’è andata a lui prima di decidersi a partire.

Un passaggio dai territori occupati fino a Kolotylivka-Pokrovka costa circa 200 euro, ma con un po’ di pazienza si riesce a viaggiare anche gratis, dice Olena, 36 anni. Nel pullmino c’era un posto libero e l’autista non ha fatto pagare la figlia. Sofia, 12 anni, è seduta accanto alla madre nella piccola cucina allestita al primo piano dell’edificio. Ritratti di barbuti poeti della tradizione ucraina sono appesi alle pareti, mentre due volontarie cucinano dentro grosse pentole.

Il loro viaggio è iniziato a Melitopol, dove Olena lavorava in un centro per l’impiego. La città è stata occupata dai russi fin dai primi giorni della guerra e oggi si respira un’atmosfera plumbea, dice Olena. “Le persone hanno smesso di parlare tra loro per paura di essere denunciate. Molti hanno perso il lavoro per colpa dei russi”.

Da Melitopol ci vogliono 24 ore di viaggio per arrivare fino al posto di confine: bisogna attraversare tutta la parte orientale dell’Ucraina occupata ed entrare nei confini geografici della Russia. Poi serve un’altra giornata per attraversare il varco verso l’Ucraina. Sofia e Olena sono state tra le prime a passare questa mattina. La routine a Kolotylivka, sul lato russo, comincia alle 8 di mattino quando le guardie di confine iniziano i loro controlli. Sono scrupolose: sequestrano i telefoni ed esaminano fotografie e messaggi. I primi a entrare non escono prima dell’ora di pranzo.

Dal posto di confine russo ci sono due chilometri prima di arrivare alle postazioni ucraine. Dopo le incursioni compiute a maggio in territorio russo da alcune milizie affiliate all’Ucraina, i russi non fanno più passare veicoli. Olena e Sofia hanno fatto il percorso a piedi, lungo una strada sterrata ed esposta, cosparsa dai bagagli che si sono rivelati troppo pesanti per essere trasportati per quell’ultimo tratto.

La strada che separa i due posti di confine (foto Croce rossa di Sumy)

Il confine sul lato ucraino è una postazione militare, con mitragliatrici, barriere di cemento e bunker sotterranei. Qui li attendono degli autobus con la scritta rossa “Evacuatsia”, “evacuazione”, sulle fiancate che li porteranno fino al Pluriton. Tra le procedure di controllo, il viaggio a piedi e poi quello in autobus, la maggior parte delle persone arriva al centro di accoglienza che ormai è buio.

Al momento, circa il 16 per cento dell’Ucraina è sotto occupazione russa. Un territorio grande quanto l’intera pianura Padana, dove vivono ancora circa 5 milioni di persone. Altrettanti sono fuggiti in Ucraina, quasi tutti nelle prime settimane di guerra. Circa diecimila nell’ultimo anno sono passati attraversato il valico di Kolotylivka-Pokrovka. Il tragitto è a senso unico. Passato il confine ed entrati in Ucraina, non si può più tornare indietro.

«Come si fa a lasciare tutto quello che hai guadagnato, che hai costruito, andartene solo con quello che puoi portare con te e ricominciare tutto da una pagina bianca? C’è uno psicologo al mondo che può aiutare in questa situazione?», chiede Oleksandr, 58 anni. Anche lui è fuggito da Melitopol. Imprenditore nella manutenzione ferroviaria, ha smesso di lavorare dopo l’occupazione quando si è reso conto che, se avesse continuato, avrebbe finito con l’aiutare l’esercito russo.

«L’invasione è stata inaspettata e rapida – dice – Abbiamo provato a fermare i russi, a chiedergli perché siete venuti qui? “Per liberarvi” Ci hanno risposto». Ma la liberazione per lui è stata brutale. Fermato a un posto di blocco, ha dovuto consegnare il suo telefono. I soldati hanno visto i messaggi che si era scambiato con la figlia a Kiev. In uno si vedeva un panorama della città dalla finestra della sua casa. «Volevo solo farle vedere che tempo c’era», dice. Per i soldati russi, però, quei messaggi in ucraino e quelle fotografie della città lo facevano sembrare un partigiano o una spia. Lo hanno arrestato, portato in un sotterraneo, ammanettato e incappucciato. Gli hanno fatto domande per cinque ore, picchiandolo quando non erano soddisfatti delle risposte. È stato allora che ha deciso di andarsene.

Nessuno sa perché i russi abbiano deciso di tenere aperto il varco. Secondo molti la ragione è che se qualcuno è disposto a sobbarcarsi la fatica e il costo di questo tragitto, allora vuol dire che non è disposto in alcun modo a collaborare con gli occupanti. Meglio per tutti se se ne va: sarà una bocca in più da sfamare per l’Ucraina e una voce in meno a chiedere il ritorno del governo di Kiev quando un giorno si arriverà ai negoziati.

Quale che sia la ragione che ha portato all’apertura di questo unico passaggio nella linea del fronte, il destino Kolotylivka-Pokrovka è incerto e contraddittorio. I russi lo hanno chiuso già due volte senza fornire spiegazioni, l’ultima lo scorso luglio e voci di nuove chiusure hanno iniziato a circolare nelle ultime settimane. Ma a ottobre il portavoce delle guardie di confine ucraine assicurava che non solo il varco restava aperto, ma che presto sarebbero stati creati altri corridoi umanitari simili.

Per il momento, Kolotylivka-Pokrovka rimane il solo passaggio tra Russia e Ucraina, e con l’arrivo della prima neve decine di persone continuano ad attraversarlo ogni giorno, mentre i militari proseguono a utilizzarlo per scambiarsi corpi e prigionieri. Sono scene che ricordano quello che avveniva prima dell’invasione, nella tesa normalità del conflitto congelato durato dal 2014 al 2022, quando la guerra tra l’Ucraina e le milizie filorusse dell’est rimase per anni a bassa intensità. L’apertura di nuove Kolotylivka-Pokrovka potrebbe essere il segnale che anche questa guerra “calda” si avvia a raffreddarsi. Ma nessuno qui lo dà per scontato.