Una delle scalate più difficili nella storia dell’alpinismo himalayano
Una spedizione americana ha salito la parete nord dello Jannu (7.710 m) in stile alpino, cioè senza bombole e attrezzature pesanti
Lo scorso ottobre i tre alpinisti americani Matt Cornell, Alan Rousseau e Jackson Marvell hanno portato a termine una salita che è stata definita come una delle più difficili e audaci di sempre nella storia dell’alpinismo himalayano. Hanno scalato la ripidissima ed enorme parete nord dello Jannu, una montagna nepalese di 7.710 metri vicino al più conosciuto Kangchenjunga, procedendo in stile alpino, cioè senza utilizzare bombole di ossigeno supplementare né corde fisse o altro materiale pesante. Mark Synnott, un famoso alpinista e giornalista di montagna, ha definito la parete nord dello Jannu «l’ultimo grande problema dell’Himalaya», cioè in sostanza l’ultima salita celebre e ambita a dover essere ancora realizzata.
Cornell, Rousseau e Marvell hanno raccontato nel dettaglio la loro salita la settimana scorsa al New York Times, quasi due mesi dopo averla realizzata. Erano arrivati in cima allo Jannu lo scorso 13 ottobre dopo una settimana passata sulla sua parete nord, un muro verticale di quasi 3mila metri che i tre alpinisti hanno scalato procedendo lungo una nuova via di ghiaccio e roccia (di “misto”, come si dice in gergo) e che sale seguendo una linea diretta. Per proteggersi non hanno usato corde fisse installate in precedenza, ma si sono ancorati alla parete utilizzando materiali più leggeri come chiodi che si piantano nel ghiaccio o nelle fessure della roccia, e altri dispositivi (noti come friends e nuts) da incastrare nei buchi della parete e ai quali assicurare una corda di alcune decine di metri.
Le pareti nord sono tradizionalmente le più pericolose, perché ricevono meno luce e sono quindi più fredde e ghiacciate. Quella dello Jannu poi è tra le più alte e verticali dell’Himalaya, e finora era stata scalata solo due volte, ma mai come hanno fatto Cornell, Rousseau e Marvell. La prima era stata nel 1976, quando una spedizione giapponese aveva aperto una via che però passava molto a sinistra sulla parete, e non la attraversava quindi direttamente e al centro (i percorsi più logici e diretti sono sempre i più ambiti dagli alpinisti).
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Nel 2004 invece una spedizione russa guidata da Alexander Odintsov l’aveva scalata attraverso una via diretta, ma con uno stile diverso: fu una spedizione imponente, di dieci alpinisti, molti portatori (le persone, spesso di etnia locale, che trasportano attrezzature e provviste) anche oltre il campo base, un sacco di attrezzature, durata quasi due mesi. Gli alpinisti russi usarono decine di corde fisse installate sulla parete anche negli anni precedenti, oltre a molte attrezzature pesanti, come le brande per dormire in parete (portaledge). Lo “stile capsula”, come viene definito, permette soste relativamente confortevoli e protette dalle intemperie, e consente quindi di recuperare meglio le energie dopo una giornata di salita. Riduce inoltre il rischio di dover interrompere la salita perché garantisce un relativo riparo in caso di improvviso maltempo.
Ma lo “stile capsula” comporta un grande utilizzo di materiale, che peraltro spesso, come avvenne nella spedizione russa, viene poi abbandonato in parete, per evitare di portarne il peso fino in cima. Quella del 2004 fu insomma una scalata più vicina allo stile che viene definito “artificiale” rispetto a quello purista e leggero, lo “stile alpino”, che non lascia praticamente niente in parete e ha un impatto minimo sulla montagna.
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La scalata dei russi fu comunque un grande risultato – per la prima volta delle persone avevano percorso direttamente una delle pareti più ostiche del mondo – e fu per questo insignita del Piolet d’Or, il più importante riconoscimento dell’alpinismo. Ma proprio per quanto fu invasiva e imponente quella salita, molti contestarono l’assegnazione del premio. In una intervista a Planetmountain nel 2005 venne chiesta come prima domanda a Odintsov se la parete nord dello Jannu avrebbe potuto essere salita diversamente: non era «umanamente possibile», rispose lui, perché non si può sopravvivere a quella quota e su quella parete il tempo necessario per salirla in stile alpino.
Cornell, Rousseau e Marvell invece ce l’hanno fatta, e per questo la loro scalata è stata definita come una delle più difficili e prestigiose nella storia recente dell’alpinismo himalayano, nonostante non sia avvenuta su una montagna tra le più alte del mondo. Lo Jannu, noto anche come Kumbhakarna, è infatti poco conosciuto e viene scalato molto poco, ma la sua parete nord è famosa e ammirata e temuta da generazioni di alpinisti.
I tre alpinisti hanno allestito il campo base ai piedi della parete il 17 settembre, e si sono acclimatati per alcune settimane aspettando una finestra di bel tempo, che è arrivata a inizio ottobre. Soltanto con i loro zaini sulle spalle, hanno quindi iniziato a salire i quasi 3000 metri della parete, procedendo con piccozze e ramponi sul ghiaccio e sulla roccia, attraverso canaloni e muri di ghiaccio. Si sono fermati a dormire alcune ore per notte dentro ai crepacci oppure su delle brande gonfiabili ancorate alla roccia e appese nel vuoto, su cui si sistemavano dentro a un sacco a pelo da tre persone, e mangiando cibo disidratato e riscaldato su un fornelletto da campo. Tutto questo avveniva tra 5mila e quasi 8mila metri di altitudine.
Uno dei pericoli principali, oltre al freddo e alla possibilità che arrivasse all’improvviso una tempesta, era essere colpiti dalla roccia e dal ghiaccio che si staccavano costantemente dalla parete, e che in un’occasione hanno rischiato di ferire gravemente Rousseau e Marvell. Arrivati in cima ci sono rimasti per pochi minuti, prima di scendere dalla via normale.
I tre alpinisti scalano insieme da circa tre anni, e avevano già provato a scalare la nord dello Jannu nel 2021 e nel 2022. L’anno scorso si erano allenati salendo la Diretta Slovacca, una celebre via di misto sul Denali (conosciuto anche come McKinley) in Alaska. Rousseau, 37 anni, è il più esperto dei tre, mentre Cornell (29) vive in un furgone vecchio di vent’anni e arrampica principalmente slegato nel parco Yosemite e Marvell (27) non vive completamente di alpinismo, ma ha anche un’attività da saldatore. La loro spedizione è stata sponsorizzata dal marchio North Face.
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Conrad Anker, un grande alpinista e divulgatore a lungo testimonial della North Face, ha detto al New York Times di considerare quella della nord dello Jannu una scalata «generazionale», e «un antidoto al turismo d’alta quota sulle corde fisse». Secondo Anker, tra le salite che hanno vinto il Piolet d’Or negli ultimi 30 anni nessuna è altrettanto prestigiosa. «Ci sono molti modi in cui giochiamo con la gravità sulle pareti, e questo è il più puro, il più impegnativo, l’espressione definitiva».