Il ponte sullo Stretto di Messina dalle guerre puniche a oggi
Storia di uno dei progetti più costosi e contestati della storia italiana, su cui il governo Meloni sembra voler puntare davvero
di Isaia Invernizzi
Tra i progetti pubblici finanziati negli ultimi 50 anni, quello del ponte sullo Stretto di Messina è per certi versi unico: è una delle opere più costose della storia italiana, sicuramente la più complessa, e tutti i governi che si sono succeduti non hanno potuto fare a meno di occuparsene, chi per sostenerlo con finanziamenti pubblici milionari, chi per cercare di affossarlo definitivamente. Il governo Meloni ormai da un po’ di tempo fa parte del primo gruppo.
Nella nuova legge di bilancio sono stati stanziati 780 milioni di euro per concludere la fase progettuale e aprire i cantieri. Ogni anno fino al 2032 saranno riservati contributi simili per un totale di circa 12 miliardi di euro. «Il ponte sullo Stretto è l’opera pubblica più importante al mondo» ha detto il ministro dei Trasporti Matteo Salvini. «È un favore agli italiani che lo aspettano da 50 anni e finalmente con questo governo passeranno dalle parole ai fatti». Come si sa, il ponte dovrebbe servire a collegare la Sicilia e la Calabria tra le località di Torre Faro, nella zona settentrionale di Messina, e Villa San Giovanni, un comune a nord di Reggio Calabria.
È il punto più stretto del passaggio tra l’isola siciliana e il continente italiano, all’incontro tra il Mar Ionio e il Tirreno. È anche una delle zone più sismicamente attive dell’area mediterranea per via di diverse faglie profonde che convergono e interferiscono tra loro provocando terremoti e frane sottomarine. La larghezza dello stretto varia da un massimo di circa 18 chilometri fino a un minimo di circa 3,3 chilometri. Qui il fondale è profondo circa 72 metri, mentre nei punti in cui le due coste sono più distanti scende fino a circa 2.000 metri.
Le correnti sono impetuose, possono raggiungere una velocità di circa 8 nodi, quasi 15 chilometri orari. Dove si incontrano Ionio e Tirreno, di fronte alla spiaggia di capo Peloro, si formano costantemente vortici e mulinelli. Anche il vento è spesso molto forte. Il rischio di naufragi in questo tratto di mare è stato raccontato in una delle leggende più note dell’Odissea: Scilla e Cariddi, i due mostri che ostacolarono il ritorno a Itaca di Ulisse, sono la rappresentazione delle pericolose correnti dello stretto.
Queste caratteristiche naturali così peculiari non hanno mai scoraggiato ingegneri e progettisti che da secoli studiano come collegare la Sicilia e la Calabria. Aurelio Angelini, autore del libro Il mitico ponte sullo Stretto di Messina, sostiene che il primo tentativo fu fatto ai tempi delle guerre puniche, 250 anni prima della nascita di Cristo. Secondo Plinio il Vecchio, i romani costruirono un ponte di barche per portare sul continente gli elefanti che avevano rubato ai cartaginesi. Ma fino al Diciannovesimo secolo nessuno pensò seriamente che fosse possibile costruire un ponte stabile e sicuro. Il progetto rimase per molto tempo una semplice suggestione.
Dopo l’Unità d’Italia i primi governi di sinistra del regno individuarono nel ponte un simbolo di progresso, di slancio verso un grande sviluppo delle infrastrutture italiane. Erano gli anni della rivoluzione industriale, quando nessun progetto sembrava impossibile. Alcuni ingegneri pensarono di riproporre l’idea antica del ponte formato da barche, i più ambiziosi ipotizzarono un collegamento sottomarino con un tunnel d’acciaio in cui far passare i treni. Nel 1876 l’allora ministro dei Lavori pubblici, Giuseppe Zanardelli, disse: «Sopra i flutti o sotto i flutti la Sicilia sia unita al continente».
Il devastante terremoto di Messina del 1908, in cui morirono decine di migliaia di persone, portò ad accantonare qualsiasi progetto. Soltanto durante il ventennio fascista Benito Mussolini tornò a proporre un tunnel sottomarino, senza però mai metterci i soldi necessari. Dopo la Seconda guerra mondiale una società privata, la Gruppo Ponte Messina, avviò ulteriori studi e ricognizioni. La società era formata da alcune tra le più grandi aziende italiane: Finsider, Fiat, Italcementi, Pirelli e Italstrade.
Lo Stato iniziò a interessarsi al progetto nel 1968, quando incaricò Anas, la società che gestisce le strade italiane, Ferrovie dello Stato e il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) di capire se sarebbe stato possibile costruire il ponte, in quanto tempo e con quanti soldi. Nel 1969 fu organizzato un concorso internazionale di idee. Parteciparono 143 progettisti, di cui una ventina stranieri. All’epoca il ministero chiese di rispettare i requisiti progettuali validi ancora oggi: il ponte doveva essere largo abbastanza da ospitare due binari ferroviari e tre corsie stradali per senso di marcia.
Nel 1981 il governo del democristiano Arnaldo Forlani fondò la Stretto di Messina Spa, la società pubblica che avrebbe gestito la fase progettuale e i cantieri. Nel settembre di quell’anno il presidente della società, Oscar Andò, ex sindaco di Messina e padre del sindaco all’epoca in carica, fece un primo sopralluogo sul sito dove si ipotizzava la costruzione e disse: «Il consiglio di amministrazione, visionando le sponde dello Stretto, ha voluto dare la dimostrazione che il progetto del ponte sta per entrare nella nuova fase preparatoria all’inizio dei lavori per realizzare la grandiosa opera».
La fase preparatoria non si concluse mai e i cantieri non partirono. Per 20 anni non se ne fece nulla, il tempo passò nel disinteresse dell’opinione pubblica. La Stretto di Messina Spa, tuttavia, continuò ad aggiornare le carte fino al 1992, quando fu presentata la versione definitiva del ponte a campata unica, cioè senza appoggi intermedi: tutto è retto da due torri, una in Calabria e una in Sicilia.
Nel 2001 sia Silvio Berlusconi che Francesco Rutelli, candidati avversari alle elezioni politiche, promisero che in caso di vittoria avrebbero realizzato il ponte sullo Stretto. Vinse Berlusconi che finanziò le integrazioni al progetto preliminare del 1992 e l’avvio della gara di appalto. Nel 2005 il consorzio di imprese Eurolink guidato da Impregilo, una delle aziende di costruzioni più importanti al mondo, vinse la gara. All’epoca il costo stimato era di 3,88 miliardi di euro e il tempo di realizzazione 5 anni e 10 mesi.
Nel 2006 il governo Prodi bloccò tutto, ma due anni più tardi Berlusconi ci riprovò con un aggiornamento del progetto concluso nel 2011, l’ultima versione riproposta ora dal governo Meloni. Nel 2012 fu completata l’unica delle cosiddette opere «propedeutiche» al ponte sullo Stretto, cioè la variante di Cannitello sulla costa della Calabria.
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Mario Monti, che nel 2012 era il presidente del Consiglio di un governo tecnico, mandò in liquidazione la società Stretto di Messina: l’Italia stava attraversando una grave crisi economica e Monti era stato chiamato al governo proprio per sistemare i conti pubblici. Si riteneva che spendere 300 milioni di euro per la liquidazione fosse più conveniente che portare avanti fino in fondo il progetto, sulla cui effettiva fattibilità peraltro rimanevano molti dubbi. Il consorzio Eurolink fece causa allo Stato per ottenere le penali previste in caso di rinuncia al progetto. Perse in primo grado e da allora i ricorsi sono sempre rimasti in sospeso. Eurolink non ha ancora rinunciato al contenzioso.
Con la vittoria della destra alle elezioni del 2022 l’idea del ponte è tornata. Nell’ultimo anno il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, che in passato aveva sostenuto l’inutilità di un’opera così complessa e costosa, ha fatto ripartire tutto da dove si era interrotto. Lo scorso 16 marzo il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto per ricostituire la società Stretto di Messina Spa, in liquidazione da 10 anni. L’amministratore delegato è lo stesso di allora, Pietro Ciucci.
Siccome rifare tutto il progetto sarebbe stato troppo complicato e costoso, la Stretto di Messina Spa è ripartita dai disegni del 2011. Il governo ha anche previsto di non fare una nuova gara d’appalto, ma di assegnare la costruzione del ponte al consorzio Eurolink nonostante il contenzioso ancora aperto con lo Stato. Salvini ha detto che rifare tutto da capo avrebbe significato non fare il ponte. Tra le altre cose, è stata approvata una norma che prevede che per chi lavorerà al progetto non sia applicato il tetto di 240mila euro di stipendio annuo previsto per «amministratori, titolari e componenti di organi di controllo, dirigenti e dipendenti pubblici».
Alla fine di novembre l’assemblea societaria della Stretto di Messina Spa ha approvato un aumento di capitale di 370 milioni di euro. Significa che adesso la società potrà spendere 672,5 milioni di euro per la gestione aziendale. Con questo aumento è cambiata anche la distribuzione delle quote: il ministero dell’Economia ha il 55,16%, Anas il 36,70%, Rete Ferroviaria Italiana il 5,83%, mentre Regione Siciliana e Regione Calabria hanno entrambe l’1,16%.
Il progetto del 2011 prevede la costruzione del ponte a campata unica più lungo al mondo con una lunghezza complessiva di 3.660 metri e una campata sospesa di 3.300 metri. L’impalcato, cioè la struttura che regge le carreggiate e i binari, è largo in totale 61 metri.
Le due torri che lo sostengono sono alte 399 metri, formate da due piloni collegati tra loro da tre grandi travi orizzontali. Il sistema di sospensione è formato da una coppia di lunghissimi cavi per ciascun pilone, quattro in totale. Ogni cavo ha un diametro di 1,26 metri, composto da 349 funi di acciaio. La soluzione a campata unica impone l’installazione di cavi di collegamento tra l’impalcato e i quattro cavi principali sospesi. Sono previsti anche due enormi blocchi di ancoraggio dove verranno fissati i cavi, lunghi in totale 5.320 metri per distribuire il peso dell’impalcato.
In questo video diffuso da Webuild, la società nata da Impregilo che fa parte del consorzio Eurolink, si può vedere un rendering dell’opera.
Secondo i progettisti, la particolare struttura aerodinamica rende il ponte stabile con venti fino a 300 chilometri orari. La velocità massima del vento nello Stretto è stata osservata nel 1991 quando vennero raggiunti i 128 chilometri orari. Il transito sarà possibile con venti fino a 158 chilometri orari, con limitazione della velocità dei treni a 60 chilometri orari in caso di raffiche molto forti. Le stime dicono che il ponte sullo Stretto di Messina sarà attraversato da 6 milioni di veicoli all’anno e da 60mila treni. «Il progetto definitivo del ponte rappresenta i massimi standard di ingegneria, tutti i ponti sospesi a grande luce [luce è il termine tecnico per definire la distanza tra i due appoggi, ndr] si rifanno al Messina Style» ha detto Ciucci, l’amministratore delegato della Stretto di Messina.
Le rassicurazioni sulla resistenza al vento e ai terremoti, e le stime relative al numero di auto e treni che lo percorreranno, sono motivi di scontro tra chi è favorevole e chi è contrario al progetto.
Guido Signorino è professore di Economia dell’università di Messina, ex vicesindaco durante il mandato di Renato Accorinti ed esponente del comitato civico “Invece del ponte”. Secondo Signorino il ponte è un’opera sbagliata, arcaica, che poteva essere concepita in questo modo 50 anni fa e che oggi non ha più senso dal punto di vista economico e ambientale. «I costi sono ancora indefiniti, “ballano” miliardi di euro» dice. «Questo investimento mastodontico servirebbe a risparmiare un’ora in treno. Ci sono diversi studi che dimostrano come sia possibile risparmiare lo stesso tempo utilizzando traghetti più larghi». Al momento infatti i treni vengono smontati e caricati con complesse manovre sui traghetti, per poi essere rimontati sulla sponda opposta. «Insomma, le alternative ci sono».
La procedura seguita dal governo Meloni per riproporre il vecchio progetto ponte non è stata trasparente. Il 30 settembre il consorzio Eurolink ha detto di aver consegnato la documentazione per integrare il progetto definitivo del 2011, che deve essere approvato dalla Stretto di Messina Spa entro il 31 dicembre. Tutta questa documentazione non è stata diffusa.
Gli unici documenti disponibili sono del 2011 e del 2012, quando fu pubblicata un’integrazione al progetto con il dettaglio di tutte le aree da espropriare, tra cui oltre 200 case. Da gennaio si potrà iniziare la procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) e la progettazione esecutiva, uno dei passaggi più importanti perché è l’ultimo prima dell’apertura dei cantieri. Il progetto esecutivo serve a spiegare concretamente e nel dettaglio quali soluzioni e materiali verranno utilizzati, oltre a stabilire il cronoprogramma dei cantieri. Secondo il decreto-legge approvato dal governo, il progetto esecutivo deve essere approvato entro il 31 luglio del 2024.
Intervistato dal Corriere della Sera, l’amministratore delegato di Webuild Pietro Salini ha detto che la struttura del ponte ha un costo di quasi 5 miliardi di euro, mentre il resto dei fondi servirà per le opere compensative: le connessioni stradali e ferroviarie di 40 chilometri prevalentemente in galleria, la prevenzione idrogeologica, la costruzione della nuova metropolitana di Messina, gli interventi per ripristinare circa 10 chilometri di spiagge (ripascimento). «Siamo pronti a partire con i lavori già in primavera, i tempi dipendono dal percorso decisionale e autorizzativo» ha assicurato Salini. «Abbiamo consegnato il progetto definitivo, stiamo aspettando i commenti del gruppo degli esperti selezionati dal ministero».
L’associazione ambientalista WWF ha chiesto alla Stretto di Messina Spa di poter esaminare le integrazioni al progetto del 2011, la società ha rifiutato. Il deputato di Alleanza Verdi e Sinistra Angelo Bonelli ha ottenuto a sua volta un rifiuto. Al momento non è possibile capire quali siano le modifiche fatte rispetto a dieci anni fa. «Noi continueremo a chiedere questa integrazione fino a quando non ci sarà consegnata» dice l’avvocata Aurora Notarianni, che rappresenta il WWF nella mobilitazione contro il ponte. «Abbiamo il sospetto che sia una relazione compilativa, qualcosa di molto generico. In ogni caso la società Stretto di Messina è pubblica, non deve fare gli interessi del privato».
Nel pomeriggio di sabato 2 dicembre i comitati e le associazioni ambientaliste che si oppongono al ponte hanno organizzato una grande manifestazione nel centro di Messina, a cui hanno partecipato circa 10mila persone. Oltre ai comitati hanno sfilato per le strade partiti (PD, Movimento 5 Stelle, Europa Verde, Sinistra Italiana), il sindacato confederale CGIL e molte altre associazioni civiche locali. Gli organizzatori hanno scritto in un comunicato che la massiccia partecipazione è un segnale chiaro dell’opposizione del territorio, che continuerà anche nei prossimi mesi.
Si erano illusi di trovare un territorio pacificato. Si erano illusi che sarebbero bastate poche balle per convincere gli abitanti dello Stretto. Si erano illusi che ci saremmo bevuti il ponte green e i 100.000 posti di lavoro. Insomma, si erano illusi che il movimento No Ponte non ci fosse più. E invece si sono ritrovati 3 manifestazioni in pochi mesi con migliaia di persone in piazza e una promessa: ci vediamo sui cantieri.
Secondo le associazioni ambientaliste il progetto del ponte sullo Stretto ha un impatto insostenibile sul paesaggio e sull’ambiente, e porterebbe profonde conseguenze sulle rotte migratorie degli uccelli e dei cetacei che passano dallo Stretto. Inoltre i benefici per il turismo e l’occupazione sarebbero molto limitati rispetto alle stime fatte nelle analisi allegate al progetto del 2011. Nel giugno del 2021 il WWF, insieme alle associazioni Kyoto Club e Legambiente, hanno pubblicato un “controdossier” con una serie di interventi di esperte ed esperti per confutare le stime ottimistiche di chi è favorevole al ponte.
Anche la Corte dei Conti sostiene che l’investimento sia eccessivo rispetto alle capacità di spesa dello Stato. Nel documento che esamina la prossima legge di bilancio, la Corte ha scritto che «forte è lo sbilanciamento verso misure mirate a sostenere progetti specifici, primo fra tutti per peso finanziario il ponte sullo Stretto, seguito da una serie di altri interventi minori, con impatti limitati sul sistema economico per via della spiccata localizzazione».
La critica più condivisa tra i comitati che si oppongono al progetto riguarda le priorità degli investimenti pubblici in una regione dove spostarsi è molto complicato. In Sicilia la maggior parte delle tratte ferroviarie è a binario unico, le strade e le autostrade sono malmesse. Servono dalle tre alle cinque ore per andare in treno da Catania a Palermo, quasi sei da Catania a Ragusa. In molte tratte chiuse a causa di cantieri aperti anni fa sono previsti autobus sostitutivi. Gli investimenti programmati sulla linea Messina-Catania-Palermo consentiranno di raggiungere una velocità di 200 chilometri all’ora, quindi non l’alta velocità come nel resto d’Italia.
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Andrea Cirà, professore di Economia all’università di Messina, abita a Palermo e per raggiungere Messina impiega tre ore in treno all’andata e altre tre al ritorno. «Da un punto di vista esclusivamente economico, se avessimo risorse illimitate potremmo anche discutere del progetto, ma non abbiamo tutti i soldi per sistemare strade, ferrovie e fare anche il ponte» dice. «Ormai le persone che devono raggiungere Roma o Milano prendono l’aereo, di sicuro se possono non si mettono in auto per così tante ore, anche con il ponte».
Secondo Cirà, finora non è stata fatta una seria analisi tra costi e benefici, non sono state fatte stime sui flussi di traffico che tengano conto dei prezzi per attraversare il ponte e della concorrenza dei traghetti, che comunque rimarranno operativi. Cirà dice che le compagnie dei traghetti potrebbero riorganizzare il servizio concentrando gli sforzi nelle ore di punta, per offrire l’attraversamento veloce a un prezzo persino più basso rispetto alle tariffe del passaggio sul ponte.
Anche i sostenitori del progetto parlano di attenzione all’ambiente. Dicono, per esempio, che oggi i traghetti costringono le auto e i camion a incolonnarsi a Messina e sulla sponda opposta, a Villa San Giovanni, con notevoli emissioni inquinanti nocive per la popolazione. Il ponte invece sposterebbe il traffico fuori dai centri urbani: il cantiere non disturberebbe Messina perché tutte le movimentazioni saranno fatte via mare. Tra le altre cose, sostengono che nel bilancio tra costi e benefici bisogna anche tenere conto delle ricadute occupazionali e turistiche su cui però finora non ci sono dati certi.
Quanto ai timori di possibili infiltrazioni della mafia nella gestione dei cantieri, chi è favorevole al ponte assicura che il progetto è troppo importante per abbassare la guardia: l’attenzione di tutto il mondo scoraggerà la criminalità organizzata. Lo stesso ministro Salvini ha detto che il ponte sullo Stretto di Messina è «la più grande operazione antimafia mai fatta dallo Stato».
A Messina, in cui vivono circa 230mila persone, i favorevoli e i contrari al ponte si confrontano ogni giorno sui social network, ma la maggior parte delle persone non si schiera né a favore né contro semplicemente perché è convinta che il ponte non si farà mai. C’è un misto di fatalismo e rassegnazione.
In molti sperano che i cantieri aprano il prima possibile per dare lavoro a migliaia di persone. In realtà anche le ricadute sull’occupazione sono incerte. «Messina è sempre stata assistita dallo Stato dopo il terremoto di inizio Novecento» dice Turi Leonardi, sindaco di Messina dal 1998 al 2003, esponente del centrodestra. «Qui le ferrovie davano lavoro a quasi duemila persone, inoltre c’era la sede del comando navale della Sicilia e del comando regionale dei carabinieri. Ora il ponte potrebbe rilanciare questa città che langue».
Non è chiaro invece cosa rimarrà a Messina una volta che il ponte sarà concluso. Ora la città è attraversata dal flusso di pendolari e turisti che sbarcano ai moli, scendendo dai traghetti che collegano la Sicilia e la Calabria. Con il ponte la città sarà scavalcata. Anche su questo le opinioni tra favorevoli e contrari divergono. Solo quando saranno diffuse le integrazioni al progetto, con le nuove stime e le analisi dettagliate dei costi e dei benefici, si potrà avere qualche certezza in più sull’impatto e sui problemi dell’opera.