L’Avvocatura dello Stato e il processo contro Claudio Campiti
Ci sono conferme che sia stato chiesto il non luogo a procedere per l'uomo che uccise 4 donne in una riunione di condominio a Roma
Mercoledì Repubblica ha pubblicato le carte che confermerebbero che l’Avvocatura generale dello Stato, l’organo che rappresenta legalmente lo Stato, ha chiesto il non luogo a procedere per Claudio Campiti, l’uomo accusato di aver ucciso 4 donne durante una riunione di condominio a Fidene, un quartiere di Roma, nel dicembre del 2022.
La notizia l’aveva data lo scorso lunedì Massimiliano Gabrielli, uno degli avvocati di parte civile del processo, cioè delle persone che si dichiarano danneggiate. Negli scorsi giorni si era tenuta l’udienza preliminare del processo contro Campiti, cioè la fase che precede quella del dibattimento in aula e in cui il giudice deve decidere se rinviare o meno a giudizio la persona accusata (quindi se si fa il processo): l’Avvocatura dello Stato è coinvolta perché i ministeri della Difesa e dell’Interno sono accusati di avere una responsabilità civile negli omicidi di Campiti, e potrebbero quindi essere condannati a risarcire i familiari delle vittime.
Martedì il governo aveva smentito, sostenendo che l’Avvocatura di Stato avesse semplicemente chiesto l’«estromissione come responsabili civili del ministero dell’Interno e del ministero della Difesa»: negava invece che l’Avvocatura avesse chiesto contestualmente anche il “non luogo a procedere” per Campiti, la formula giuridica con cui si indica la decisione di non processare la persona indagata. Mercoledì però Repubblica ha pubblicato un documento con la trascrizione dell’udienza preliminare che sembra dimostrare la versione secondo cui l’Avvocatura di Stato avrebbe chiesto proprio il “non luogo a procedere” per Campiti.
La richiesta in ogni caso è stata respinta e Campiti è stato rinviato a giudizio, come da richiesta del publico ministero.
Nel frattempo però la possibilità che l’Avvocatura di Stato abbia chiesto il non luogo a procedere è stata commentata molto negativamente, soprattutto dai familiari delle persone uccise. Dopo essere stato arrestato Campiti aveva confessato gli omicidi, e le sue responsabilità non sembrano essere in discussione: sarebbe perciò molto singolare che un organo che rappresenta lo Stato italiano chieda di non processare una persona accusata di aver commesso degli omicidi, tanto più se li ha confessati. Nell’udienza preliminare nemmeno l’avvocato di Campiti aveva chiesto il suo proscioglimento.
Per compiere gli omicidi Campiti, a cui era stato negato il porto d’armi, usò un’arma e delle munizioni rubate a un poligono di tiro che frequentava: nelle indagini è stato ipotizzato che le misure di sicurezza che dovevano impedire la sottrazione delle armi non fossero sufficienti, o che non furono applicate adeguatamente. Per questo il giudice per le indagini preliminari (gip) aveva deciso di accusare di “omesso controllo” i due ministeri, che per legge dovrebbero supervisionare le attività dei poligoni di tiro, e la sezione di Roma del Tiro a segno nazionale, valutando la possibilità di attribuire a loro una responsabilità civile per gli omicidi.
Campiti stesso è accusato di omicidio con le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi, tentato omicidio di altre cinque persone e lesioni personali derivate dal trauma psicologico subito dai sopravvissuti. Altre due persone sono accusate di reati omissivi: il presidente della sezione di Roma del Tiro a segno nazionale e un dipendente del poligono di tiro di Tor di Quinto addetto all’armeria, da cui è stata sottratta l’arma usata da Campiti.
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Campiti era proprietario di una casa in un consorzio immobiliare in provincia di Rieti, nel Lazio. Aveva rapporti difficili con gli amministratori del consorzio, contro cui aveva presentato molte denunce e che per anni aveva minacciato. Gli omicidi avvennero proprio durante una riunione di questo consorzio che si svolgeva in una veranda davanti a un bar, e a cui partecipavano circa 30 persone.
Campiti iniziò a sparare dopo aver chiuso e bloccato la porta. Tre donne morirono il giorno stesso e una quarta dopo alcuni giorni. Le persone uccise avrebbero potuto essere molte di più se uno dei presenti, Silvio Paganini, un 67enne impiegato nel settore del turismo, non avesse disarmato e fermato Campiti. Paganini raccontò poi che mentre cercava di fermarlo Campiti urlava «Mafiosi, adesso vi uccido tutti».