È morto Henry Kissinger
Fu segretario di Stato americano dal 1973 al 1977, nonché tra i più potenti e discussi politici a livello internazionale: aveva 100 anni
È morto a 100 anni Henry Kissinger, potente e controverso segretario di Stato americano dal 1973 al 1977, nonché tra i politici più influenti – se non il più influente – a livello internazionale negli anni Settanta. Kissinger fu a lungo sia consigliere per la Sicurezza nazionale, un ruolo che diventò più influente proprio con lui, sia segretario di Stato, ossia il titolare della politica estera. Ancora oggi viene ricordato per il protagonismo e per la capacità di incidere nei ruoli pubblici che aveva avuto in passato.
La sua carriera politica fu profondamente legata a quella del presidente Repubblicano Richard Nixon: insieme costruirono una politica estera segnata dalle aperture verso l’Unione Sovietica e la Cina comunista, ma anche dall’appoggio più o meno esplicito alle dittature militari in Sud America. In tutto questo Kissinger agì sempre da protagonista principale, contribuendo come pochi altri all’andamento della Guerra Fredda tra la fine degli anni Sessanta e metà anni Settanta. In particolare viene ricordato come il principale ispiratore di un approccio pragmatico alle relazioni internazionali, concentrato quasi esclusivamente sugli interessi concreti della nazione piuttosto che sul rispetto di principi ideologici. A distanza di circa cinquant’anni questo approccio, definito “realista” ma che in verità è complicato inquadrare in un’unica categoria, è rimasto influente e viene analizzato e studiato.
Kissinger nacque nel 1923 a Fürth, in Baviera, da famiglia tedesca ed ebrea col nome di Heinz Alfred. Come racconta un suo profilo del New Yorker uscito nel 2020, da bambino mostrava un vivo interesse per le tattiche difensive della nazionale italiana di calcio, e l’unica sua qualità dell’epoca che si ricordi ancora dopo quasi un secolo era consigliare gli amici in merito a questioni sentimentali.
Negli anni Trenta il regime nazista di Adolf Hitler instaurò una dittatura antisemita che portò molte persone ebree a emigrare, compresi i Kissinger, che lasciarono la Germania nel 1938 andando a New York. Heinz, che avrebbe cambiato nome in Henry di lì a poco, si integrò presto negli Stati Uniti, servendo nell’esercito durante la Seconda guerra mondiale e studiando poi ad Harvard. Ha mantenuto sempre un distintivo e spiccato accento tedesco.
Dopo il dottorato ottenuto nel 1954 rimase ad Harvard come ricercatore, e nel 1957 diventò direttore associato di un dipartimento dedicato allo studio delle tecniche di governo e delle relazioni internazionali.
Parallelamente all’attività di ricerca, tra gli anni Cinquanta e Sessanta fece da consulente per alcune agenzie governative, tra cui il Dipartimento di Stato e l’Agenzia per il controllo delle armi e per il disarmo. In questo periodo espresse pubblicamente la propria contrarietà alla guerra in Vietnam che gli Stati Uniti avevano iniziato a metà anni Cinquanta: per questo fu licenziato dall’amministrazione di Lyndon Johnson. Tuttavia Kissinger era ormai ben inserito negli ambienti politici di Washington e si era fatto notare al punto che nel 1969 venne nominato consigliere per la Sicurezza nazionale dal neoeletto presidente Richard Nixon, del Partito Repubblicano.
Con Nixon, Kissinger raggiunse l’apice del potere nel suo ambito prediletto, le relazioni internazionali. Negli anni in cui fu consigliere per la Sicurezza nazionale questo ruolo si espanse, finendo per sovrapporsi con il titolare formale della politica estera nel governo statunitense, cioè il Segretario di Stato, e superandolo per importanza. Insieme Nixon e Kissinger svilupparono una tendenza alla segretezza, aprendo trattative su varie questioni diplomatiche attraverso canali riservati, ponendosi pubblicamente in una maniera e agendo segretamente in un’altra. Entrambi si dichiaravano contrari per principio alla guerra in Vietnam, con Nixon che in campagna elettorale aveva promesso di ritirare gli Stati Uniti il prima possibile. Nei fatti però la sua amministrazione intensificò lo sforzo bellico ordinando alcuni dei bombardamenti più violenti dell’intera guerra, pur sapendo che gli Stati Uniti non avrebbero potuto vincere come speravano.
Lo storico David Rothkopf scrisse che Kissinger e Nixon formarono una coppia quasi complementare: «Kissinger era quello affascinante, mondano, ci metteva il garbo e la rispettabilità da establishment intellettuale che Nixon disprezzava e bramava, ma che non aveva. Da una parte Kissinger era un cittadino del mondo, dall’altra Nixon era un classico americano, in tutto e per tutto. Kissinger aveva una visione di respiro internazionale e la capacità di adattarla ai tempi, Nixon era pragmatico e aveva una visione più strategica, che era il fondamento delle loro politiche».
Nel 1973 Kissinger venne nominato anche Segretario di Stato, ruolo che mantenne fino al 1977 anche con il successore di Nixon, Gerald Ford. In sostanza fu il protagonista indiscusso della politica estera di quegli anni, con tutti i benefici e le controversie che ne conseguivano. Per esempio tutto il periodo della cosiddetta détente, cioè la “distensione” tra Unione Sovietica e Stati Uniti che ci fu negli anni Settanta, è un merito diplomatico che viene largamente attribuito a Kissinger, così come le aperture verso la Cina comunista. Nixon fu il primo presidente americano a visitare ufficialmente la Cina dopo la Seconda guerra mondiale.
Queste aperture vengono interpretate come uno dei segni della realpolitik di Kissinger, una categoria che viene comunemente utilizzata per riassumere la sua tendenza pragmatica nelle relazioni internazionali, in accordo al principio del realismo, che prescinde da considerazioni morali e ideologiche. Kissinger in realtà non si è mai definito apertamente un “realista” e rifiutava di essere associato alla realpolitik. Lo stesso faceva il suo maestro, Hans Morgenthau, considerato uno dei massimi esponenti della dottrina realista nelle relazioni internazionali.
Dato che è un concetto flessibile, il realismo di Kissinger si adatta bene a interpretare sia la distensione con i comunisti sia i bombardamenti in Vietnam e la politica estera statunitense nell’America Latina, dove di aperture verso gli avversari politici ce ne furono ben poche. Kissinger era già consigliere per la Sicurezza nazionale quando ci fu il colpo di stato di Augusto Pinochet in Cile, nel 1973, per spodestare il socialista Salvador Allende. Fu Kissinger stesso, attraverso la CIA, a incoraggiare il colpo di stato durante il quale Allende si uccise.
Nel 1976, quando in Argentina i militari presero il potere instaurando una dittatura brutale che avrebbe portato alla tortura e alla scomparsa di decine di migliaia di persone, Kissinger era Segretario di Stato americano. Anche in quel caso l’amministrazione statunitense era consapevole della situazione. Del resto gli Stati Uniti hanno sempre considerato l’America Latina il loro backyard, il “cortile di casa”, e durante gli anni della Guerra fredda per loro era prioritario che in una zona così geograficamente vicina non si diffondesse il comunismo, anche a costo di limitare la libertà delle popolazioni locali.
Dopo lo scandalo del Watergate che portò alle dimissioni di Nixon nel 1974, Kissinger rimase nell’amministrazione, ma la sua influenza diminuì progressivamente. Nel 1975 venne sostituito come consigliere per la Sicurezza nazionale da Brent Scowcroft. Quando poi i Repubblicani persero le elezioni a novembre del 1976, lasciò anche l’incarico di Segretario di Stato.
Interruppe così l’attività politica pubblica, ma nei decenni successivi ha continuato quella di intellettuale, docente universitario, commentatore e consulente. Pur non avendo più un ruolo istituzionale, Kissinger ha sempre mantenuto la sua rete di rapporti internazionali in qualità di presidente della Kissinger Associates, la sua società di consulenza.
Nel 1972 la giornalista italiana Oriana Fallaci incontrò Kissinger e realizzò un’intervista che rimase poi famosa in cui gli chiese tra le altre cose il motivo del suo successo in politica. Kissinger rispose: «Io ho agito da solo, a loro è piaciuto questo […]. Agli americani piace l’uomo che entra solitario a cavallo nella città, come nei western».