Il sabotaggio del sindacato SI Cobas contro Leroy Merlin
I lavoratori di uno stabilimento che rischia di chiudere fanno incursioni da giorni in diversi punti vendita, buttando a terra la merce e protestando
Venerdì scorso alcuni lavoratori iscritti al sindacato SI Cobas sono entrati nei punti vendita di Leroy Merlin di Assago e Rozzano, in provincia di Milano, buttando a terra grandi quantità di merce e abbandonandone altra davanti alle casse e nelle corsie. Nella stessa giornata è stata fermata un’altra azione di questo tipo in un negozio di Leroy Merlin a Corsico, dove la direzione ha abbassato le saracinesche poco prima dell’ingresso dei lavoratori. Giovedì sabotaggi del genere erano stati fatti anche in Piemonte, nei punti vendita di Moncalieri, Collegno e Torino, ed erano stati documentati da alcuni video.
Un portavoce di Leroy Merlin ha detto al quotidiano Il Giorno che negli ultimi quaranta giorni azioni simili sarebbero state almeno una trentina in tutto il Nord Ovest, e che starebbero causando all’azienda «milioni di euro di danni». La scorsa settimana un altro sabotaggio era stato organizzato anche a Genova e a Torrazza Coste (Pavia).
In tutti i casi il comportamento dei lavoratori non è stato aggressivo: le merci esposte non sono mai state danneggiate, ma soltanto spostate. Inoltre, il loro atteggiamento nei confronti dei dipendenti dei negozi è stato descritto come pacifico. Probabilmente agiscono con una certa prudenza per evitare di essere accusati del reato di danneggiamento.
Le proteste sono portate avanti dai 472 operai che lavorano per Iron Log, la cooperativa che gestisce da otto anni un centro di logistica di Leroy Merlin a Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza. Lo scorso 26 ottobre l’azienda aveva annunciato l’intenzione di recedere dal contratto che la lega a Iron Log per via di una «situazione insostenibile». Secondo Leroy Merlin la decisione è giustificata da «performance operative e di servizio gravemente al di sotto degli standard minimi di mercato», performance che avrebbero «pesato per un valore di oltre 24 milioni di euro negli ultimi 3 anni». L’azienda ha anche aggiunto che lo stabilimento rimarrà aperto per altri tre mesi, fino al 26 gennaio del 2024, e che entro la fine del prossimo anno completerà la costruzione di almeno altri quattro nuovi poli logistici per «rendere la distribuzione e la consegna più efficiente e capillare ed essere più vicina al consumatore finale».
Intervistati da Repubblica, Michele Rancati e Giuliano Zamaco, rispettivamente direttore del personale e responsabile operativo di Iron Log, hanno detto che «da un mese siamo fermi ma non chiusi, perché vettori e fornitori continuano ad arrivare. Ci dicono che siamo in perdita, che il mercato è cambiato, ma sotto il Covid siamo passati da 300 a 4mila ordini online al giorno. La verità è che vogliono chiuderci da un anno». A inizio novembre, durante un incontro con il sindacato, Leroy Merlin aveva assicurato che dopo la chiusura ricollocherà 80 lavoratori nel suo stabilimento di Mantova.
SI Cobas aveva risposto in un comunicato che alcuni lavoratori sarebbero interessati a questo trasferimento, ma soltanto «alle medesime condizioni economiche» con cui sono assunte a Castel San Giovanni e mantenendo le «medesime mansioni» e le «medesime merci lavorate». SI Cobas aveva poi aggiunto che Leroy Merlin si era rifiutata di garantire queste condizioni «scaricando sull’appaltatore che lavora a Mantova eventuali decisioni in seguito». Secondo il sindacato, questo rifiuto dimostrerebbe che «l’unico fine di Leroy Merlin è quello di dimezzare i costi del lavoro, non riconoscendo nemmeno l’anzianità di servizio degli eventuali trasferiti».
Repubblica scrive che domenica il prefetto di Piacenza Paolo Ponta ha incontrato il questore Ivo Morelli, il colonnello dei Carabinieri Pierantonio Breda e alcuni rappresentati di Leroy Merlin per discutere della situazione, e che «la sindaca di Castel San Giovanni, Lucia Fontana, ha chiesto e ottenuto un incontro con l’ad [amministratore delegato, ndr] Gianalberto Cancemi». A rendere complicate le trattative è anche un episodio del luglio dello scorso anno, quando sei sindacalisti dei sindacati USB e SI Cobas erano stati arrestati a Piacenza con le accuse di associazione a delinquere, violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, sabotaggio, interruzione di pubblico servizio, turbata libertà dell’industria e del commercio.
La tesi principale della procura è che la lotta sindacale portata avanti da SI Cobas e USB sarebbe stata organizzata non per rivendicare e ottenere più diritti per i lavoratori, ma per garantire vantaggi economici personali alle persone arrestate e ai sindacati stessi attraverso una doppia associazione a delinquere, una per ogni sindacato di base.
Le manifestazioni non autorizzate, secondo la procura, sarebbero servite a inasprire il conflitto con le aziende e la competizione tra le due associazioni sindacali, SI Cobas e USB, entrambe impegnate a imporsi come organizzazione più rappresentativa e ottenere vantaggi come l’aumento delle iscrizioni, dei proventi delle conciliazioni e anche arricchimento personale. Secondo i sindacati di base e i loro avvocati, l’obiettivo dell’inchiesta sarebbe invece quello reprimere la legittima attività sindacale.
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