Telegram è ancora pieno di contenuti pornografici non consensuali

Un nuovo rapporto ha contato 147 gruppi italiani in cui ci si scambia foto e video di donne, in certi casi anche minorenni

(il Post)
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Dal 2019 in Italia, dopo l’introduzione dell’articolo 612-ter del codice penale, chi diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito senza il consenso della persona interessata può essere punito con la reclusione da 1 a 6 anni e con multe che vanno da 5mila a 15mila euro. Da allora, però, le associazioni e gli attivisti che si occupano di monitorare la situazione e aiutare le vittime di questo reato – chiamato dalla legge “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, ma più comunemente conosciuto come “revenge porn” – dicono che è cambiato poco, principalmente perché la legge è inefficace e applicata molto raramente.

Anche per questo motivo, da anni gli sforzi di queste associazioni si concentrano sulla creazione di strumenti digitali per rendere più semplice l’identificazione e la rimozione di questi contenuti e sulla collaborazione diretta con le piattaforme su cui foto e video vengono condivisi, come Facebook, Instagram e i vari siti pornografici, con più o meno successo. C’è un grande spazio digitale usato quotidianamente da milioni di persone che però permette la proliferazione di materiale intimo non consensuale, intervenendo solo sporadicamente quando a essere condivisi sono contenuti pedopornografici: Telegram, app di messaggistica ideata dal russo Pavel Durov nel 2013.

Negli ultimi dieci anni Telegram ha basato buona parte della propria reputazione e diffusione su quattro punti: lo sviluppo di strumenti per permettere la creazione e il mantenimento di gruppi anche molto grandi; la possibilità di iscriversi in modo totalmente anonimo (senza nemmeno dover dare un numero di cellulare); una forte enfasi sul fatto di offrire comunicazioni protette dalla crittografia end-to-end, che sostanzialmente permette solo al mittente e al destinatario di un messaggio di vederne il contenuto; e il fatto che l’azienda, con sede a Dubai, si rifiuta sistematicamente di collaborare con governi e forze dell’ordine per rimuovere contenuti considerati dannosi, sulla base di un’interpretazione molto discussa del concetto di libertà d’espressione.

Nella sezione “domande frequenti” della piattaforma si legge chiaramente che l’azienda blocca «bot e canali legati al terrorismo», ma non ha intenzione di «bloccare chi esprime pacificamente altre opinioni» perché «tutte le chat e i gruppi di Telegram sono territorio privato dei loro rispettivi partecipanti». Questo approccio ha creato negli ultimi anni frizioni tra Telegram e diversi governi: dal 2022, per esempio, la Germania cerca senza successo di costringere l’applicazione a rimuovere contenuti neonazisti che sono illegali in base alla legge tedesca. In generale, Telegram viene visto da molti come uno spazio  dove vige una certa impunità e dove è quindi possibile pubblicare e trovare cose che è difficile vedere su altre grandi piattaforme commerciali.

Anche per questo i gruppi dedicati alla diffusione e allo scambio di “revenge porn” e di altri materiali intimi non consensuali sono tantissimi e molto popolati. In un rapporto pubblicato il 25 novembre, una delle principali associazioni europee a occuparsi specificatamente di diffusione non consensuale di materiali intimi, PermessoNegato, ha scritto che oggi in Italia esistono almeno 147 gruppi e canali Telegram dedicati allo scambio e alla divulgazione di questi contenuti. Gli utenti totali che fanno parte di questi gruppi – calcolati facendo un’addizione, e quindi non considerando che molti utenti potrebbero essere iscritti a più di un gruppo – sono quasi 17 milioni: secondo PermessoNegato quasi tutti uomini, tra gli 11 e i 60 anni. L’associazione non ha trovato nessun gruppo di donne in cui venissero scambiati contenuti simili, e le vittime sono soprattutto, anche se non tutte, donne.

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Dal 2019 in poi sono state pubblicate varie inchieste e libri sugli scambi, spesso violenti e inquietanti, che si possono trovare in questi gruppi. PermessoNegato racconta in particolare di tre pratiche che si vedono spesso al loro interno. La prima è lo “scambio”, che avviene quando un utente chiede in una chat pubblica foto o video di una determinata categoria di persone, di solito per aggiungerle alla collezione digitale di contenuti che usa per masturbarsi.

Per esempio, qualcuno potrebbe scrivere cose come «scambio ragazze 2008, 2009, 2010 per lo stesso», «scambio fidanzata napoletana», «chi scambia amiche?», offrendosi sostanzialmente di condividere con altri sconosciuti foto e video in cui appaiono persone che conoscono, in cambio di altre foto e video in cui appaiono sconosciute. Lo scambio avviene poi in privato, e non sul gruppo principale, probabilmente anche perché i canali e i gruppi su Telegram non sono protetti da crittografia end-to-end e sono quindi spazi più rischiosi dove commettere apertamente un reato. I contenuti scambiati non sono sempre a sfondo sessuale: possono essere anche foto e video in cui le donne sono vestite, tratte dai social network, oppure foto scattate segretamente senza il consenso della persona ritratta.

Altra pratica comune sono i “cum tribute” (letteralmente “tributo dello sperma”): in questi casi, un utente si offre di inviare fotografie o video di donne che conosce a qualcun altro, in modo che quest’altra persona possa usarle per masturbarsi e poi rispondere con una foto o un video in cui si vede l’immagine originale, stampato su carta o guardato su un secondo schermo, sporco di sperma. Anche in questi casi ci sono moltissime testimonianze di persone che offrono di inviare foto delle proprie fidanzate, sorelle, cugine, madri, amiche, figlie.

Infine, sono sempre più frequenti i casi di “sputtanala e repostala”, ovvero situazioni in cui qualcuno pubblica immagini o video non consensuali o i link a interi profili su altri social network chiedendo esplicitamente agli altri utenti di ricondividerli il più possibile con altri uomini, insultando e denigrando le persone ritratte. Nei casi più gravi viene condiviso anche il numero di cellulare della vittima o il nome del posto dove lavora o la scuola che frequenta.

«L’obiettivo principale è quello di denigrare le donne e mercificare il corpo femminile: il problema non è mai soltanto che le immagini sono state condivise, ma che sono accompagnate da insulti molto pesanti e diffamatori, dalle informazioni personali sulle vittime: sembra che si cerchi di alimentare il più possibile un odio verso il genere femminile», spiega la criminologa Edel Margherita Beckman, una delle autrici del rapporto.

Le ripercussioni di questi comportamenti sulle vittime possono essere anche molto gravi: oltre alla persistente sensazione di umiliazione e disagio per aver perso il controllo di una parte importante della propria vita, c’è chi sviluppa disturbi da stress post-traumatico come succede alle vittime di stupro, e chi comincia a pensare al suicidio come via di fuga da una situazione in cui si sente intrappolata. Inoltre negli ultimi anni ci sono stati vari casi pubblici di donne che hanno perso il proprio lavoro per le conseguenze della diffusione delle loro foto intime.

Non è raro che in questi canali circolino anche foto e video di ragazzine minorenni e bambine molto giovani: nel report di PermessoNegato si vede per esempio uno scambio in cui un utente scrive, semplicemente, «cerco bambine» e gli viene risposto «anche io!», «ne hai?». In base a una sentenza del 4 settembre 2023, il solo fatto di far parte di un gruppo chiuso su Telegram in cui vengono condivisi materiali pedopornografici costituisce reato di detenzione di questo tipo di materiale. PermessoNegato dice però che «Telegram è l’unica piattaforma con la quale non è mai stato possibile interagire o aprire un canale di dialogo, nonostante le numerose segnalazioni ed inchieste riguardanti i vari reati perpetrati». «[La piattaforma] si è sempre mostrata sorda e compiacente di fronte a qualsiasi richiesta di aiuto o rimozione, anche di materiale pedopornografico, portando de-facto ad una incentivazione delle condotte», si legge nel rapporto.

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«Sui gruppi che abbiamo monitorato si scambiano anche un messaggio al minuto, in qualsiasi momento del giorno» racconta Cosimo Sidoti, un altro autore del rapporto. «Ma se non ci fosse Telegram ci sarebbe un’altra piattaforma che permette di fare la stessa cosa: il problema sono naturalmente gli esseri umani che mancano di rispetto ed empatia nei confronti di altri esseri umani. È un fenomeno talmente diffuso che la piattaforma passa in secondo piano».

Per Silvia Semenzin, attivista che ha lavorato attivamente all’adozione dell’articolo 612-ter e che nel 2021 ha pubblicato il libro Donne tutte puttane. Revenge porn e maschilità egemone, il problema principale è che, in mancanza di una sensibilizzazione e un’educazione a più livelli, la situazione con l’avanzare delle tecnologie è destinata a peggiorare. Già nell’ultimo anno su Telegram si sono per esempio moltiplicati i bot gratuiti in cui è possibile inserire una foto di una persona vestita e crearne un “deepfake” in cui il volto della persona rimane lo stesso, ma il corpo vestito viene sostituito da un nudo immaginato da un software basato sul machine learning.

«Le soluzioni sono tante, molto complesse e soprattutto non veloci. Io sono profondamente convinta che serva una cooperazione transnazionale sul tema, perché internet non ha frontiere nazionali: servirebbe per esempio un’azione di lobbying sulle istituzioni europee, dato che nel Digital Services Act o nell’AI Act [due regolamentazioni europee che si occupano rispettivamente di moderazione dei contenuti sulle grandi piattaforme e di intelligenza artificiale, ndr] non c’è traccia di discussioni sulla violenza di genere online», dice Semenzin. «In Italia, poi, non esiste neanche un corpo speciale di polizia dedicato alle violenze digitali di genere: tutto va nel tavolino della polizia postale. Così si accumulano le denunce e non si fa mai niente».

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Dove chiedere aiuto
Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112. Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 02 2327 2327 oppure via internet da qui, tutti i giorni dalle 10 alle 24. Puoi anche chiamare l’associazione Samaritans al numero 06 77208977, tutti i giorni dalle 13 alle 22.

Se subisci violenza e cerchi aiuto o consigli chiama il numero antiviolenza 1522: è gratuito e attivo 24 ore su 24. Dal sito 
puoi chattare direttamente con un’operatrice. Oppure contatta il centro antiviolenza più vicino. Qui l’elenco dei centri della Rete Di.Re.

Infine, se sei vittima di diffusione di materiale intimo non consensuale, puoi chiedere aiuto chattando direttamente con il team di PermessoNegato cliccando su “contattaci” sul loro sito.