Lorenzo Fontana, inaspettatamente istituzionale

Il presidente della Camera fin qui ha adottato un approccio discreto e silenzioso tipico del passato, assai diverso da quello di Ignazio La Russa al Senato

di Valerio Valentini

(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
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Poco dopo aver appreso di essere stato eletto presidente della Camera, Lorenzo Fontana passò davanti ai cronisti che gli chiesero una dichiarazione, e lui si lasciò andare a una battuta che forse tradiva già un certo distacco rispetto alle polemiche sul suo conto: «Eccomi qua, sono il cattivo». Era da poco passato mezzogiorno del 14 ottobre del 2022, e la Camera lo aveva eletto al quarto scrutinio, il primo a richiedere la maggioranza assoluta e non più quella dei due terzi: servivano 197 voti e Fontana, tra i massimi dirigenti della Lega di Matteo Salvini, ne ottenne 222. Poco più di un anno dopo, la sua presidenza si è contraddistinta per una certa discrezione. Fontana ha dato poche interviste, gli inciampi comunicativi sono stati quasi nulli, non ci sono state iniziative eclatanti. Lui stesso si descrive parafrasando Jessica Rabbit: «Sono meno malvagio di come mi disegnano».

La riservatezza di Fontana risalta in maniera ancor più evidente se la si paragona alla loquacità del presidente dell’altro ramo del parlamento, il Senato, e cioè Ignazio La Russa di Fratelli d’Italia. La Russa è stato animatore di polemiche politiche e ha detto più volte cose controverse o inopportune, biasimate persino dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Di Fontana, al contrario, non si ricordano interventi che abbiano suscitato clamore, nonostante lui abbia continuato a svolgere un ruolo importante negli organismi direttivi interni della Lega, rimanendo decisivo soprattutto nel definire l’indirizzo in politica estera del partito.

La scelta di Fontana come candidato fu in parte una sorpresa. Che spettasse alla Lega la presidenza della Camera era diventato chiaro dopo che Fratelli d’Italia aveva rivendicato per sé la guida del Senato senza ammettere grandi discussioni con gli alleati di destra: su La Russa Meloni non accettò obiezioni. A quel punto, per una logica di bilanciamento, era scontato che alla Lega, secondo partito della coalizione di maggioranza alle elezioni del 25 settembre, toccasse la presidenza della Camera.

Fontana discute con Salvini e Giorgetti in un bar vicino alla Camera, il 4 febbraio del 2021 (Roberto Monaldo/LaPresse)

Ma il più accreditato per quel ruolo era Riccardo Molinari, segretario della Lega Piemonte che alla Camera era stato capogruppo per l’intera legislatura precedente, dal 2018 al 2022. Prima del voto decisivo l’attuale ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, all’epoca capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, lo avvicinò nell’ampio corridoio vicino all’ingresso dell’aula, il Transatlantico, e gli fece gli auguri per l’elezione come fosse già cosa fatta. «Ma io in realtà ancora non ne so niente», replicò Molinari. Ai cronisti che assistettero a quello scambio di battute parve solo una formula evasiva, di understatement.

La decisione finale per la presidenza della Camera si sovrappose però alle scelte da prendere per la composizione del governo che in quei giorni si andava definendo, oltre che alle dinamiche interne alla Lega. Meloni aveva lasciato intendere con chiarezza che avrebbe reclamato un potere di veto sulle persone che Salvini e Silvio Berlusconi le avrebbero proposto per i ruoli di governo. Alcuni dirigenti di Fratelli d’Italia suggerirono tra i non graditi come eventuale ministro anche Fontana, soprattutto per via delle sue note simpatie per il presidente russo Vladimir Putin che avrebbero imbarazzato Meloni, desiderosa di volersi dimostrare subito inequivocabilmente fedele all’alleanza atlantica, la NATO.

C’era insomma il rischio che Fontana venisse respinto nelle trattative per la formazione del governo, e questo per Salvini sarebbe stato un problema innanzitutto di natura personale, vista la solida amicizia che lo lega a Fontana, ma anche di natura politica, perché avrebbe determinato una significativa perdita di peso della “Liga”: è la componente veneta della Lega che spesso si lamenta dell’eccessiva influenza della componente lombarda, e del fatto che questa sia più rappresentata nei ruoli di maggiore prestigio.

La nomina mancata del veronese Fontana avrebbe quindi provocato a Salvini una grana non di poco conto. Fu così che scelse di puntare su Fontana per la presidenza della Camera, anche a costo di deludere Molinari. Peraltro questo apparente cambio di direzione contribuì ad alimentare anche le proteste nell’opposizione, perché Molinari è uno degli esponenti della corrente più moderata della Lega, e il fatto che alla fine non venne eletto evidenziò, per contrasto, i caratteri più radicali di Fontana.

Cattolico integralista, dichiarato ammiratore di Putin, artefice delle alleanze europee della Lega con partiti di estrema destra, Fontana era stato fino a quel momento l’espressione del leghismo più oltranzista anche sui temi etici. Da ministro per la Famiglia nel primo governo di Giuseppe Conte aveva proposto l’abrogazione della legge Mancino, che punisce atti di discriminazione razziale, dicendo che si era «trasformata in una sponda normativa usata dai globalisti per ammantare di antifascismo il loro razzismo anti-italiano». Aveva anche contribuito a organizzare il Congresso mondiale delle Famiglie a difesa della cosiddetta “famiglia naturale” a cui aveva già partecipato in passato, e che non a caso nel 2019 si svolse nella sua città, Verona.

Per tutto questo, quando la sua candidatura venne ufficializzata le opposizioni protestarono. Prima del quarto e decisivo scrutinio, tre deputati del PD esposero in aula uno striscione con su scritto: «No a un presidente omofobo pro Putin».

La protesta dei deputati del PD poco prima dell’elezione di Fontana (Roberto Monaldo/LaPresse)

Un anno più tardi le opposizioni riconoscono a Fontana una condotta equilibrata e istituzionale, rispettosa delle minoranze. Nella gestione dell’ufficio di presidenza, l’organo collegiale d’indirizzo politico e amministrativo della Camera, ha saputo esercitare un ruolo di mediazione che ha mantenuto anche nelle circostanze più tribolate. Come per esempio quando si decise di istituire un giurì d’onore per stabilire se il deputato di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli avesse «leso l’onorabilità» di alcuni colleghi del PD insinuando che, con la loro visita al detenuto anarchico Alfredo Cospito nel carcere di Sassari, avessero in qualche modo agevolato gli interessi della mafia.

Fontana è tornato anche sui suoi convincimenti in politica estera, almeno nelle occasioni istituzionali. Già a seguito dell’invasione russa in Ucraina aveva detto che l’entusiasmo mostrato per anni dalla Lega nei confronti del regime di Putin andava riconsiderato. Un anno dopo l’inizio della guerra, il 24 febbraio del 2023, ospitò nell’aula di Montecitorio, la sede della Camera, un concerto come atto simbolico di solidarietà alla popolazione ucraina, e pronunciò un discorso di condanna nei confronti della Russia. Prima ancora, durante la tradizionale conferenza stampa per lo scambio di auguri di Natale con la stampa parlamentare nel dicembre del 2022, interrogato sulle magliette in sostegno di Putin che indossava a Bruxelles quando era europarlamentare, aveva parlato di quegli episodi come di «errori di gioventù».

Gli inciampi mediatici in cui è incappato Fontana sono due, entrambi piuttosto trascurabili. Nell’ottobre del 2022, poco dopo la sua elezione a presidente della Camera, venne reso noto un modulo che lui stesso aveva compilato sbagliando la parola impiegato, scritta nel documento nella forma erronea inpiegato. Nell’aprile scorso, poi, salutando una scolaresca arrivata in visita a Montecitorio, sbagliò la pronuncia di Vittorio Bachelet, giurista e dirigente democristiano ucciso dalla Brigate Rosse nel 1980.

A differenza di alcuni suoi predecessori, Fontana rifugge gli eventi mondani e tende a delegare molte attività di rappresentanza ai suoi vice presidenti. Nello sforzo di evitare polemiche e di intervenire con estrema morigeratezza nel dibattito pubblico, c’è una specie di ritorno all’interpretazione tradizionale del ruolo di presidente della Camera. Per decenni, infatti, questo incarico veniva visto come un riconoscimento di grandissimo prestigio, ovviamente, ma anche come qualcosa che di fatto limitava la libertà d’azione politica di chi lo otteneva. Dal 1994 in poi questa tendenza si era attenuata: e ci furono presidenti della Camera, come Fausto Bertinotti o Gianfranco Fini, che parteciparono in maniera incisiva e interventista al dibattito politico durante il loro mandato. Fontana finora ha adottato l’approccio più antico e istituzionale.

Sergio Mattarella riceve il presidente della Camera Fontana (Paolo Giandotti/Ufficio Stampa Quirinale/LaPresse)

In questo è accompagnato anche dal segretario generale della Camera, Fabrizio Castaldi, funzionario di lungo corso che aveva già lavorato come capo della segreteria di Laura Boldrini quando lei era presidente. Molto stimato dai partiti del centrosinistra, Castaldi è stato nominato al più alto ruolo di dirigenza della Camera nel dicembre del 2021, e tra l’altro è molto stimato da Ugo Zampetti, che ha avuto per 15 anni quello stesso ruolo prima di diventare segretario generale del Quirinale nel 2015. Il capo della segreteria istituzionale è invece Giuseppe Renna, anche lui funzionario di lungo corso di Montecitorio e poi capo del dipartimento dei Rapporti con il parlamento che tra il 2018 e il 2019, col ministro grillino Riccardo Fraccaro, nel primo governo Conte.

Oltre a Castaldi e Renna, Fontana fa affidamento su uno staff di sei persone (una in meno di quelle che stavano con Boldrini, quattro in meno rispetto a Fini) e che solo in minima parte può essere ricondotto al leghismo. A capo della sua segreteria particolare c’è la modenese Margherita Saltini, ex segretaria dei giovani di Forza Italia ed eletta nel 2018 segretaria generale della Democrat Youth Community of Europe, l’organizzazione giovanile a cui fanno riferimento diversi partiti di centrodestra europei. Sui social network mostra spesso la sua passione per la cucina. La principale collaboratrice di Saltini è Valentina Paolini, anche lei nello staff del presidente della Camera.

Il portavoce di Fontana è Luca Finocchiaro, che esordì come giornalista al Giornale di Vicenza e poi iniziò una lunga esperienza di collaboratore con i gruppi politici alla Camera che dura da sette legislature: prima con la Lega, poi con vari partiti centristi tra l’UDEUR di Clemente Mastella, una lunga stagione con l’UDC tra il 2001 e il 2008, quindi Scelta Civica di Mario Monti, per poi tornare di nuovo nello staff di consulenza della Lega nel 2018. Come consulente per le questioni digitali c’è invece Lorenzo Nardo, che ha collaborato con Fontana sia quando era europarlamentare sia durante la sua esperienza di ministro per la Famiglia. L’avvocato Alfredo Serra fa da consigliere giuridico mentre il saggista Corrado Ocone è il consigliere culturale.

Di recente, infine, è stato nominato il nuovo capo dell’ufficio stampa della Camera: è Filippo Manvuller, giornalista piacentino, già portavoce di Fontana ai tempi del primo governo Conte e poi andato a collaborare col sindaco di Ferrara, Alan Fabbri.

Ma Fontana ripete spesso che la consigliera più importante è sua moglie, Emilia Romano, originaria di Napoli e conosciuta negli anni in cui l’attuale presidente della Camera era deputato della Lega al Parlamento Europeo, dove lei lavorava già da tempo come funzionaria. I due si sono poi sposati con un matrimonio celebrato con doppio rito religioso: canonico e tridentino, seguendo cioè i dettami stabiliti dal Concilio di Trento nel 1570, che prevede tra l’altro la messa in latino.

Festa della Repubblica, le celebrazioni del 2 giugno a Roma (Roberto Monaldo/LaPresse)

Al suo credo religioso Fontana resta molto legato anche da presidente della Camera, e conserva l’abitudine di andare a messa ogni giorno, al mattino presto. Ha dovuto invece rinunciare almeno in parte ad andare allo stadio per vedere l’Hellas Verona, la squadra principale della sua città.

La discrezione pubblica di Fontana è coniugata però a un importante ruolo politico nella Lega, di cui è tuttora uno dei tre vicesegretari. D’accordo con Salvini ha mantenuto anche la carica di responsabile Esteri, una funzione che nel partito è da anni fonte di tensione interna.

A maggio del 2023 Salvini ha convocato due Consigli federali a breve distanza l’uno dall’altro, per decidere cosa fare in vista della campagna elettorale delle europee del 2024 e con che alleanze presentarsi. Tra i massimi dirigenti del partito c’era chi, come Giorgetti o Molinari, proponeva un cambio di direzione significativo, abbandonando Identità e Democrazia, il gruppo di estrema destra euroscettico di cui la Lega fa parte dal 2019 al Parlamento Europeo, e prendendo le distanze da alcuni alleati particolarmente imbarazzanti. L’obiettivo era di avvicinarsi ai partiti moderati del centrodestra europeo e in particolare al Partito Popolare (PPE).

Fontana si è opposto. Secondo lui bisognava mostrarsi coerenti e mantenere la stessa rete di amicizie storiche con i partiti europei della destra più radicale, rete peraltro che lui per primo aveva contribuito a creare. Alla fine ha prevalso la sua linea, Salvini ha deciso di confermare l’appartenenza politica al gruppo in cui la Lega è rimasta negli ultimi anni, consolidando ancora di più il legame con la leader della destra francese, Marine Le Pen.