Il più grande lago del Sud America non era così secco da decenni
Il livello delle acque del Titicaca è ai minimi, e questo complica la vita delle comunità boliviane e peruviane che ci abitano
Con una superficie di oltre 8.300 chilometri quadrati, il lago Titicaca è il lago più grande del Sud America; si trova sulle Ande, al confine tra Bolivia e Perù, ed è considerato un posto sacro dalle popolazioni autoctone, per le quali è la principale risorsa per la pesca, l’agricoltura e l’allevamento. Negli ultimi due anni il livello delle acque del lago però ha subìto uno dei cali peggiori di sempre a causa di una prolungata siccità, dell’aumento delle temperature e di periodi di pioggia sempre più corti: la situazione sta mettendo a rischio l’ecosistema della zona, ma anche il sostentamento delle persone che ci vivono.
Il Titicaca separa la regione di Puno, in Perù, dal dipartimento boliviano di La Paz a un’altitudine di oltre 3.800 metri. È formato da due grossi bacini separati da uno stretto largo meno di un chilometro: il lago Grande (o lago Chucuito), che ha una profondità massima di 284 metri, e il Pequeño (o Wiñaymarka), che si trova nella parte sud-est e ha una profondità massima di 40 metri. Il problema è che dal 2000 il livello delle acque è progressivamente calato, prosciugando soprattutto le sponde boliviane, dove la profondità è minore.
In condizioni stabili il lago si trova a un’altitudine di 3.812 metri sul livello del mare, ma secondo le misurazioni effettuate nella stazione idrica di Muelle, in Perù, lo scorso 2 novembre le acque si erano abbassate a 3.808, quattro metri in meno della norma, e 74 centimetri in meno rispetto allo scorso primo aprile. All’inizio di ottobre la profondità misurata a Huatajata, in Bolivia, era di 2,92 metri: sette centimetri in meno rispetto al minimo storico registrato nel 1996, ha detto all’agenzia di stampa spagnola EFE John Chura, addetto del dipartimento di idrologia del Servizio meteorologico e idrologico boliviano. Sono i livelli più bassi dal 1984, l’anno in cui cominciarono i controlli periodici del dipartimento.
Rita Suaña, che ha 48 anni ed è una delle leader della popolazione indigena degli Uros, ha detto al Guardian che questa è la prima volta che vede il lago in queste condizioni da quando è nata. Juan Ramos, il presidente dell’associazione dei trasporti turistici del lago, ha detto che solo dal 31 ottobre al 10 novembre le acque sono scese di 4 centimetri, vale a dire che ogni giorno sono evaporati 33,5 milioni di metri cubi di acqua. Al molo turistico di Puno il lago si è ritirato di circa 60 metri, e molte barche, anche turistiche, non si riescono a spostare, ha spiegato Ramos. Nicasio Calsin, un pescatore e guida turistica che vive sull’isola di Amantaní, che fa parte del Perù, dice che se il livello delle acque non si ristabilirà in quella zona «non resterà niente, né lavoro, né agricoltura».
Con acque così poco profonde per pescare bisogna spingersi più al largo. La siccità però ha effetti anche sulle coltivazioni, come quelle di quinoa e patate, con il risultato che alcuni hanno ritardato la semina per il timore di perdere i raccolti. Alcuni Aymara e Quechua hanno dovuto cominciare a scavare pozzi per dar da bere alle mucche, alle pecore e ai maiali che normalmente mangiano e bevono sulle rive del lago; in più, l’80 per cento dei circa 160 chilometri quadrati della principale pianta autoctona della zona (la totora, Schoenoplectus californicus) si è rinsecchita, e i pascoli sono stati spostati altrove, ha spiegato Víctor Apaza, il presidente della riserva del lago.
Gli Uros invece hanno altri problemi ancora.
Circa 2mila di loro vivono su piccole isole artificiali costruite proprio con le canne di totora, che funzionano come specie di “case” galleggianti che si possono spostare come chiatte. Mentre prima gli Uros si spostavano dalle isole alla riva in barca, adesso che il lago è in secca devono compiere lunghi tragitti a piedi, spesso portandosi dietro il pesce e i manufatti da vendere o scambiare. Inoltre lo strato di totora a contatto con l’acqua marcisce molto in fretta, e quindi una o due volte al mese bisogna aggiungerne continuamente in superficie, solo che in queste condizioni trovarla è più difficile.
Un recente studio basato su dati degli ultimi settant’anni ha mostrato che la causa principale del problema sembra essere l’aumento delle temperature, che provoca un calo dell’umidità, accelera lo scioglimento dei ghiacciai sulla sommità delle montagne e fa evaporare più in fretta l’acqua del lago e degli affluenti che lo alimentano. Negli ultimi decenni è stato osservato che il periodo delle piogge (quello tra dicembre e marzo) è sempre più breve. Tra il 2022 e il 2023 poi ha piovuto più o meno la metà rispetto alla media, probabilmente a causa dell’influenza del cosiddetto “El Niño”, l’insieme di fenomeni atmosferici che si verifica periodicamente nell’oceano Pacifico e influenza il clima di gran parte del pianeta, ma soprattutto quello del Sud America e del Sud-Est asiatico.
La situazione del Titicaca dovrebbe migliorare non appena ricomincerà a piovere un po’ di più. Secondo Sixto Flores, direttore del servizio meteorologico e idrologico nazionale della regione di Puno, è comunque difficile che la situazione si ristabilisca a breve anche perché finora non ha piovuto molto, motivo per cui si pensa che il livello del lago continuerà ad abbassarsi almeno fino a dicembre. La commissione peruviana incaricata dello studio del Niño ritiene inoltre che il fenomeno continuerà ad avere effetti fino all’autunno del 2024.
La grande siccità degli ultimi mesi ha avuto effetti anche su altre aree della Bolivia, dove 105 comuni hanno dichiarato lo stato di emergenza per la crisi idrica in corso. Secondo i dati comunicati dal governo, l’emergenza riguarda più di 485mila famiglie e sta creando preoccupazioni per la sicurezza alimentare e la fornitura idroelettrica in alcune delle città più grandi del paese, tra cui Potosí, Sucre e Tarija.
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