Chi sono i prigionieri palestinesi in Israele
Le persone arrestate per aver minacciato la sicurezza di Israele sono migliaia, e il loro numero è aumentato dopo l'attacco del 7 ottobre
Venerdì è cominciata una tregua di quattro giorni tra Israele e Hamas, la prima dall’inizio della guerra. Fra gli obiettivi concordati della tregua c’è anche la liberazione di alcuni ostaggi israeliani rapiti da Hamas durante l’attacco del 7 ottobre, in cambio di quella di alcuni prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Venerdì c’è stata la prima operazione di questo tipo: il gruppo radicale palestinese Hamas ha liberato 24 persone rapite il 7 ottobre, Israele invece ha rilasciato 39 persone palestinesi detenute nelle sue carceri.
I detenuti palestinesi sono stati scelti all’interno di un elenco di 300 persone reso pubblico dal governo israeliano, che viene usato come punto di partenza dal primo ministro Benjamin Netanyahu e da altri membri del governo per decidere quali prigionieri far rientrare nell’accordo (lo scambio tra prigionieri e ostaggi è ripartito su vari giorni).
Dei 300 nomi di prigionieri palestinesi, 33 sono donne. I minorenni sono 124 e i maggiorenni sono 176; ma di questi, 146 hanno 18 anni esatti (dunque le persone con 19 anni o più sono soltanto 30). Il governo ha detto che nessun prigioniero accusato di omicidio è stato inserito nella lista, ma ci sono varie persone accusate di tentato omicidio e di altri crimini violenti, come tentato accoltellamento, sostegno al terrorismo e alcuni crimini meno gravi come lancio di pietre contro soldati israeliani. Una delle prigioniere più note presenti nella lista è Asra Jabas, una donna palestinese che fece esplodere una bombola di gas nella sua auto durante un controllo a un posto di blocco: un soldato israeliano fu ferito leggermente ma lei subì gravi ustioni, anche sul volto. È stata condannata a dieci anni di carcere.
Alcuni dei prigionieri inoltre sono detenuti senza processo, una pratica piuttosto usata da Israele che però è molto criticata dalle organizzazioni per i diritti umani.
La questione dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane esiste da decenni, ed è uno dei grandi problemi che rendono complicate le relazioni tra israeliani e palestinesi. Semplificando molto, Israele sostiene di essere costretto ad arrestare molte persone palestinesi a causa dell’ampiezza delle minacce contro la sua popolazione, mentre i palestinesi – assieme a varie associazioni per i diritti umani – condannano gli arresti come indiscriminati e illegali.
In particolare criticano la pratica della “detenzione amministrativa”, che prevede che una persona sospettata di un crimine sia arrestata e tenuta in prigione potenzialmente a tempo indefinito, senza che le siano comunicate le ragioni dell’arresto e senza che le autorità israeliane abbiano l’obbligo di presentare prove a suo carico.
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La quasi totalità degli arresti di palestinesi da parte di Israele avviene in Cisgiordania, dove il contesto di sicurezza e di controllo del territorio è estremamente complicato. La Cisgiordania è, agli occhi della comunità internazionale, un territorio palestinese, che dal 1967 è occupato (in varie forme ed estensioni) dall’esercito israeliano: questo farebbe delle persone arrestate da Israele dei prigionieri di guerra o, secondo altre definizioni, prigionieri politici. Israele rifiuta questa definizione, che in effetti è dibattuta e controversa anche tra gli esperti.
Israele inoltre mantiene un certo ruolo formale in Cisgiordania, conferito dagli accordi di pace di Oslo del 1993, che prevedevano che Israele e l’Autorità palestinese che governa parte della Cisgiordania collaborassero per mantenere la sicurezza sulla regione. Questa collaborazione è ancora in corso (anche se in varie circostanze l’Autorità palestinese l’ha interrotta). Israele sostiene dunque che i palestinesi arrestati siano una minaccia per la sicurezza degli israeliani. Non di rado le minacce sono decisamente concrete: gli arresti sono sempre aumentati in concomitanza con l’aumento della violenza e degli attacchi terroristici da parte di gruppi palestinesi.
Il problema è che molto spesso gli arresti sono indiscriminati e avvengono senza le necessarie garanzie legali. I prigionieri palestinesi, inoltre, sono quasi sempre giudicati da tribunali militari.
Dall’attacco contro i civili di Hamas del 7 ottobre il numero degli arresti compiuti dall’esercito israeliano è inoltre aumentato. Prima del 7 ottobre i prigionieri palestinesi erano 5.200 circa, mentre a inizio novembre erano più di 6.800 secondo l’ong israeliana HaMoked, che si basa su dati ufficiali dello stato. Il numero degli arresti è aumentato di pari passo con l’intensificarsi della repressione dell’esercito israeliano in Cisgiordania, in reazione agli attacchi di Hamas nel sud di Israele.
All’inizio di novembre, secondo HaMoked, nelle prigioni israeliane si trovavano 2.313 persone con una condanna già emessa e 2.321 persone formalmente accusate di un crimine e in attesa di giudizio. A queste, poi, si aggiungono 2.070 persone in “detenzione amministrativa”, cioè quella che è di fatto una carcerazione preventiva a tempo indeterminato. La detenzione amministrativa dovrebbe essere una misura rara e da applicare soltanto in condizioni di sospetti gravissimi per la sicurezza, ma da anni è ormai una pratica estremamente comune.
Le persone sottoposte a detenzione amministrativa sono imprigionate senza conoscere le accuse a loro carico, e dunque senza la possibilità di difendersi. In teoria i provvedimenti di detenzione amministrativa dovrebbero durare per sei mesi, ma quasi sempre sono rinnovati dai tribunali militari, anche per anni.
C’è poi una quarta categoria di prigionieri palestinesi, quella delle persone arrestate con l’accusa di essere «combattenti illegali», una categoria prevista da una legge israeliana del 2002 che identifica le persone che «compiono direttamente o indirettamente un atto ostile nei confronti dello stato di Israele». La categoria di «combattenti illegali» non esiste nel diritto internazionale, ed è molto contestata dalle ong. Le persone arrestate con quest’accusa erano 105 a inizio novembre, sempre secondo HaMoked.
Ai problemi legati alle garanzie legali dei prigionieri palestinesi si aggiungono le denunce, piuttosto numerose, di abusi e in alcuni casi anche di torture, che secondo alcuni resoconti sono aumentate dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre.
Dal 7 ottobre, al numero dei prigionieri palestinesi bisogna aggiungere quello dei 4.000 cittadini palestinesi della Striscia di Gaza che lavoravano in Israele con uno speciale permesso e che quando si è verificato l’attacco di Hamas si trovavano in Israele. Lo stato israeliano ha cancellato il permesso di lavoro di queste persone e le ha rinchiuse in alcune basi militari. Secondo alcune associazioni anche loro potrebbero essere considerate di fatto prigionieri.
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