Un tribunale sudcoreano ha condannato il Giappone a risarcire alcune donne costrette a prostituirsi dall’esercito giapponese durante la Seconda guerra mondiale

Lee Yong-soo, ex “donna di conforto” che secondo la sentenza dovrà essere risarcita, a una manifestazione patriottica sudcoreana nel 2017 (AP Photo/Ahn Young-joon, File)
Lee Yong-soo, ex “donna di conforto” che secondo la sentenza dovrà essere risarcita, a una manifestazione patriottica sudcoreana nel 2017 (AP Photo/Ahn Young-joon, File)

Un tribunale sudcoreano ha condannato il Giappone a risarcire un gruppo di 16 donne sudcoreane che durante la Seconda guerra mondiale furono costrette a prostituirsi dall’esercito giapponese. Fra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento il Giappone costrinse a prostituirsi nei bordelli per i militari centinaia di migliaia di donne di Taiwan e della Corea, al tempo sue colonie, ma anche dei territori occupati in Cina e nelle Filippine. La schiavitù sessuale delle cosiddette “donne di conforto” è uno dei punti di maggior conflitto fra il Giappone, Taiwan e la Corea del Sud.

La sentenza rovescia una decisione del 2021 di un altro tribunale sudcoreano, che sosteneva che il governo sudcoreano non potesse perseguire quello giapponese, che era tutelato dalla sua sovranità come stato indipendente all’epoca dei fatti. Il giudice che ha emesso la sentenza più recente ha stabilito invece che i reati commessi in Corea vanno perseguiti anche se a commetterli è stato un paese straniero. Il ministro degli Esteri giapponese, Yoko Kamikawa, ha detto che la sentenza viola la legge internazionale.

Nel 1965 il governo giapponese e la giunta militare che allora governava la Corea del Sud si accordarono per le riparazioni economiche per i crimini commessi dal Giappone nel periodo coloniale. Benché i giapponesi intendessero ripagare individualmente le vittime degli abusi, il governo sudcoreano li convinse invece a fornire la compensazione sotto forma di finanziamenti per la nascente industria del paese. Le vittime non ricevettero niente: per questo le sopravvissute e le associazioni che si occupano della vicenda continuano a chiedere che il governo giapponese offra loro dei risarcimenti.

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