Lo sciopero dei lavoratori di Amazon a Castel San Giovanni, per il Black Friday
Uno dei centri più importanti d'Italia, in provincia di Piacenza, ha aderito alla protesta globale per chiedere migliori condizioni di lavoro
La maggior parte dei 400mila pacchi in consegna al magazzino di Amazon a Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza, per il cosiddetto Black Friday del 24 novembre sono rimasti sugli scaffali. La merce di ogni genere ordinata via internet da migliaia di clienti in tutto il Nord Italia non è uscita dallo stabilimento perché i lavoratori che avrebbero dovuto prelevarla dagli scaffali, impacchettarla e spedirla ai centri di smistamento, che poi organizzano le consegne dirette ai clienti, hanno deciso di scioperare, rallentando le consegne in tutte le regioni settentrionali, anche se Amazon ha fatto sapere di voler «mantenere i tempi di consegna ai clienti per la giornata del Black Friday e per le giornate successive».
Lo stabilimento di Castel San Giovanni è il primo hub aperto da Amazon in Italia, cioè un centro di distribuzione: fu costruito su un’area di 30mila metri quadrati e inaugurato il 27 ottobre del 2011. Con il tempo si è allargato e nel 2014 ha sostituito il vecchio magazzino con uno nuovo di 75mila metri quadrati. Anche le persone che ci lavorano sono aumentate. All’inizio erano circa 600, ora invece ci lavorano 1.700 operai, tra facchini che caricano e scaricano la merce dai furgoni, stowers che la mettono sugli scaffali, pickers che la prelevano in base agli ordini dei clienti, addetti ai pacchi, agli imballaggi e alla spedizione. Nei periodi di picco degli ordini via internet, come il Black Friday o sotto Natale, la manodopera quasi raddoppia facendo ricorso a contratti a termine stipulati da quattro agenzie interinali.
Anche gli autisti dei furgoni che portano la merce, in gran parte dipendenti di aziende in appalto, non consegneranno per l’intera giornata i pacchi già pronti, poiché lo sciopero coincide con quello dei trasporti e di altre categorie deciso dai sindacati CGIL e UIL. Si sono associati allo sciopero anche i 150 dipendenti di Amazon Fresh a Milano, che preparano le consegne di frutta, pasta, scatolame e verdura da far arrivare nelle case dei clienti entro una o due ore dall’acquisto online, a seconda della tariffa scelta.
I lavoratori di Castel San Giovanni protestano innanzitutto contro una proposta di aumento dello stipendio che considerano «inaccettabile» rispetto ai guadagni dell’azienda e all’aumento dell’inflazione. Alla fine di settembre, a un tavolo nazionale con i sindacati confederali, Amazon aveva proposto un aumento salariale del tre per cento lordo, in totale 45 euro lordi al mese, ai 18mila dipendenti dei 54 depositi italiani. A Castel San Giovanni però, a causa di detrazioni legate al contratto applicato nello stabilimento, l’aumento si riduce a poco più di un terzo, vale a dire 17 euro lordi. Per questo motivo gli operai avevano già scioperato una prima volta l’11 ottobre, una seconda il 17 ottobre e una terza il 7 novembre, sostenuti da tutti i sindacati. Quello del Black Friday, proclamato solo dalla Filcams-CGIL e dall’UGL, un sindacato di destra, è il quarto sciopero in meno di due mesi.
«Abbiamo chiesto un aumento degli stipendi più consistente e di portare i buoni pasto da 7 a 8 euro, di avviare una discussione su un sistema di welfare aziendale e una maggiore attenzione ai problemi di salute e di sicurezza, ma l’azienda non ne ha voluto discutere, hanno detto no a tutte le nostre richieste», dice Roberto Brambilla, un sindacalista della Filcams-CGIL di Milano che ha partecipato alle trattative. Amazon sostiene di aver rifiutato le proposte dei sindacati perché ha già aumentato gli stipendi a Castel San Giovanni dal primo ottobre con una «procedura interna di revisione dei contratti» che ha portato «la retribuzione di ingresso a 1.765 euro, cioè circa il 7 per cento in più rispetto a quanto previsto dal contratto collettivo nazionale». Sul tema della sicurezza, la multinazionale dice di aver investito, nel 2022, «circa 7 milioni di euro» e di aver erogato «oltre 400mila ore di formazione».
A Castel San Giovanni viene applicato il contratto dei lavoratori del commercio, mentre negli altri magazzini di Amazon si applica quello dei trasporti. Le cifre menzionate sono lorde, corrispondono a circa 1.250 euro netti in busta paga.
I lavoratori però ritengono che Amazon potrebbe concedere molto di più. «Durante la pandemia non ci siamo fermati mai e l’azienda ha fatto utili da record grazie al nostro lavoro, ora chiediamo che redistribuisca una parte dei guadagni ai lavoratori per far fronte all’aumento del costo della vita», dice Beatrice Moia, una dipendente del centro.
I sindacati chiedono anche che sia affrontata la questione della salute dei lavoratori. «Il lavoro è ripetitivo come una catena di montaggio, le patologie al tunnel carpale, al collo o alla schiena non si contano e quando si tratta di stilare il foglio che registra il malessere i manager fanno pressione perché non si scriva che è correlato al lavoro», dice ancora Moia, che come delegata sindacale si è occupata anche della sicurezza sul lavoro all’interno del centro di distribuzione. I lavoratori denunciano la «pressione psicologica» che, secondo loro, l’azienda esercita nei loro confronti, con controlli costanti e continue «contestazioni disciplinari», spesso per «motivi futili». Brambilla la definisce «una pratica da anni Cinquanta, finalizzata a intimidire i dipendenti».
Secondo i sindacati le condizioni dei lavoratori sono migliorate rispetto a qualche anno fa, quando Amazon non riconosceva le organizzazioni sindacali nei suoi magazzini. Le prime proteste a Castel San Giovanni cominciarono nel 2017, all’epoca arrivarono gli ispettori del lavoro per verificare il rispetto delle norme di sicurezza e dei contratti. Nel 2020 Amnesty International disse che Amazon «ostacola i diritti dei lavoratori a organizzarsi e investe ingenti risorse nel loro controllo». Il 15 settembre del 2021 le due parti firmarono al ministero del Lavoro un protocollo in cui riconoscono che «le relazioni industriali rappresentano un valore in sé».
L’accordo, voluto dall’allora ministro del Lavoro Andrea Orlando, del Partito Democratico, prevede «momenti di confronto periodico sulle problematiche del settore e-commerce, anche in funzione del futuro rinnovo del contratto nazionale di lavoro; momenti di confronto preventivo sulle strategie di sviluppo aziendale e di investimento negli ambiti territoriali; verifica delle opportunità di formazione professionale continua per gli addetti ai singoli settori». Secondo i sindacati, il controllo e la pressione psicologica sui dipendenti, soprattutto con gli algoritmi che verificano il rispetto dei tempi di lavoro e delle consegne, sono però rimasti e provocano in molti dipendenti ansia e attacchi di panico.
Il 23 novembre un gruppo di lavoratori di Castel San Giovanni è partito per Coventry, una città che si trova 153 chilometri a nord di Londra, vicino a Birmingham, per partecipare a una manifestazione davanti a un centro di distribuzione dove a gennaio del 2023 c’era stato il primo sciopero dei lavoratori di Amazon nel Regno Unito. La protesta per il Black Friday è stata indetta dal sindacato UNI Global Union e fa parte di una campagna globale intitolata «Make Amazon pay» («Facciamo pagare Amazon»). Vi partecipano 80 sindacati, ong e associazioni ambientaliste di tutto il mondo, da Greenpeace a Tax Justice Network. Le organizzazioni contestano ad Amazon di sfruttare intensivamente i lavoratori, di reprimere i sindacati, di aver aumentato le emissioni di CO2 del 18 per cento nel 2022 e di non pagare tasse sui profitti: nel secondo trimestre del 2022 l’azienda ha dichiarato 121 miliardi di dollari di ricavi e nel 2021 ha ricevuto in Europa un miliardo di euro di crediti d’imposta su 55 miliardi di vendite.
I sostenitori della campagna sostengono che per costringere Amazon a concedere più diritti ai lavoratori siano necessarie proteste in diversi paesi. «È un’azienda internazionale e reagisce agli scioperi in un paese facendo affidamento sui centri di distribuzione in un altro», aveva detto a Wired in occasione dello sciopero di gennaio André Scheer, segretario del sindacato tedesco dei Verdi. «Uno dei motivi per cui non riusciamo a dialogare con la dirigenza italiana è perché le strategie vengono decise dall’alto, a livello globale o di macroregione, che nel caso dell’Italia è il sud Europa, e loro non possono fare altro che applicarle», spiega Brambilla.
Amazon replica di aver creato «milioni di buoni posti di lavoro», di aver contribuito a «creare e sostenere centinaia di migliaia di piccole imprese in tutto il mondo». Dice di essere «l’azienda che acquista più energia rinnovabile al mondo» e di avere come obiettivo «un livello di emissioni nette di carbonio pari a zero entro il 2040, con miliardi già investiti nella riduzione degli imballaggi, nell’energia pulita e nei veicoli elettrici».
Nel giro di pochi anni ha investito 16,9 miliardi di euro in Italia, aprendo decine di centri di distribuzione e di smistamento. Nei due anni della pandemia di Covid sono passati da 28 a 51, una distribuzione sempre più capillare. Nel 2021 l’AGCM, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato nota più comunemente come Antitrust, ha condannato Amazon a pagare 1,1 miliardi di euro per abuso di posizione dominante: secondo l’AGCM ha favorito il proprio servizio di logistica sulla sua piattaforma web, danneggiando gli altri operatori. Amazon ha fatto ricorso e il procedimento è ancora in corso.
Oggi i centri logistici sono 54 in tutta Italia, conteggiando i centri di distribuzione, i centri di smistamento, i depositi di smistamento e i centri di distribuzione Urbana Amazon Fresh. I soli centri di distribuzione sono attualmente 10. A questi vanno aggiunti la sede della società a Milano, un call center a Cagliari, alcuni centri di archiviazione dati di Amazon Web Services (AWS) e depositi più piccoli costruiti nelle grandi città per garantire una maggiore velocità nella consegna della merce ordinata.