Negli ultimi anni in Cina migliaia di moschee sono state chiuse o demolite dal governo, secondo la ong Human Rights Watch
In Cina negli ultimi anni migliaia di moschee sono state chiuse o demolite dal governo, secondo un rapporto della ong Human Rights Watch (HRW). La Cina è ufficialmente un paese ateo, ma in teoria la libertà di culto dovrebbe essere garantita. Secondo il rapporto, a partire dal 2016 il governo cinese starebbe conducendo una campagna di “sinizzazione”, cioè diffusione forzata della cultura cinese, nelle regioni del nordovest del paese abitate da popolazioni in prevalenza musulmane, e in generale starebbe cercando di esercitare un controllo sempre maggiore sull’esercizio delle funzioni religiose, non solo islamiche.
Ufficialmente il governo sostiene di condurre una campagna di “consolidamento” delle moschee: in molti centri abitati vengono chiuse tutte le moschee tranne una. Le altre spesso vengono riaperte come centri culturali o spazi di lavoro. In molti altri casi le decorazioni e gli elementi architettonici più marcatamente islamici delle moschee, come cupole e minareti, sono stati sostituiti con altri più tipicamente cinesi, come le pagode. Il rapporto non è in grado di fornire numeri precisi, ma cita uno studio secondo cui un terzo delle moschee della regione del Ningxia sarebbe stato chiuso dal 2020 a oggi.
In Cina vivono 20 milioni di persone musulmane, principalmente nelle regioni nordoccidentali. Fra questi ci sono gli uiguri dello Xinjiang, contro i quali secondo alcuni resoconti il governo cinese starebbe portando avanti da anni abusi e violenze che alcuni, fra cui il governo statunitense, hanno classificato come genocidio. Il rapporto di Human Rights Watch si concentra sull’altro grande gruppo di musulmani che abitano in Cina, gli hui, che non sono etnicamente distinti dalla maggioranza dei cinesi e abitano prevalentemente nelle regioni di Gansu e Ningxia.