Le centrali idroelettriche devono oltre 100 milioni di euro alla Lombardia
Sono i canoni delle concessioni scadute da anni e non pagati dalle aziende energetiche che ora attendono dal governo lo sblocco dei rinnovi
di Isaia Invernizzi
Sono passati tredici anni da quando finì la concessione della centrale idroelettrica di Stazzona, in provincia di Sondrio, gestita dalla società energetica A2A. Ne sono passati nove dalla scadenza della concessione della centrale Belviso, sempre a Sondrio, gestita da Edison. Altre 16 concessioni sono scadute da molti anni tra le province di Brescia, Bergamo, Como, Milano. Da allora le aziende energetiche che gestiscono le centrali hanno pagato solo una minima parte dei soldi dovuti alla Regione Lombardia per i canoni di utilizzo dell’acqua e per le quote di compensazione sull’energia prodotta e venduta: in totale sono stati accumulati debiti per oltre 100 milioni di euro, che finora la Regione non ha mai chiesto.
È una vicenda all’apparenza intricata, ma che in realtà ricalca almeno in parte i problemi e le contraddizioni ormai note di altri settori, come la gestione delle concessioni balneari e delle licenze dei taxi. Anche se le centrali idroelettriche hanno un impatto diretto limitato sulla vita delle persone rispetto a spiagge e taxi, con una conseguente limitata percezione dei problemi nell’opinione pubblica, queste concessioni in realtà sono fondamentali nella politica energetica del paese.
Le centrali idroelettriche consentono di produrre energia elettrica sfruttando il flusso dell’acqua. Per farle funzionare vengono costruite dighe e canali lungo fiumi e torrenti in modo da formare laghi e bacini artificiali nei quali l’acqua può accumularsi. L’acqua viene poi convogliata in tubature, chiamate anche condotte forzate, che si trovano a valle. Le tubature portano l’acqua in una centrale idroelettrica dove serve a mettere in rotazione turbine collegate a generatori che producono energia elettrica e la immettono in rete.
Grazie alla capacità di conservare l’acqua nei bacini, le centrali idroelettriche possono aumentare o diminuire facilmente la produzione di energia elettrica – semplificando un po’, basta aprire di più o di meno il passaggio nelle condotte forzate – a seconda delle necessità, e lo possono fare molto più rapidamente rispetto ad altre centrali come quelle nucleari, alimentate a carbone o a gas naturale.
Secondi i dati diffusi da Terna, l’operatore che si occupa della gestione delle reti per la trasmissione dell’energia elettrica, in Italia ci sono 4.783 centrali idroelettriche per una potenza totale di 21,8 gigawatt, che corrispondono circa al 35 per cento della potenza di tutte le fonti rinnovabili in Italia. La grave siccità dello scorso anno ha inciso in modo significativo sulla produzione di energia idroelettrica in Italia: c’è stato un calo del 37,7 per cento rispetto al 2021 compensato dai buoni risultati ottenuti nei primi mesi del 2023.
Per produrre energia elettrica non basta investire milioni di euro nella costruzione di una centrale. Bisogna anche pagare un canone annuale alle Regioni per l’utilizzo dell’acqua pubblica, sfruttata prima di tornare nei torrenti, nei canali e infine nei fiumi. I canoni sono costituiti da una quota legata all’indice ISTAT che segue l’andamento del prezzo dell’energia: più il prezzo aumenta, più i canoni aumentano. Queste regole fanno parte delle concessioni che prevedono una serie di altri impegni come l’obbligo di mantenere la rete idrica efficiente e investimenti per migliorarla.
Le province hanno la competenza delle cosiddette “piccole derivazioni”, cioè gli impianti con una potenza media inferiore a 3 megawatt, mentre alle Regioni spetta il controllo delle concessioni per le “grandi derivazioni”, le centrali sopra i 3 megawatt.
La legge regionale della Lombardia, che da sola produce il 27 per cento dell’energia idroelettrica italiana, prevede una forma di compensazione calcolata sulla base dei valori orari di produzione di energia elettrica immessa nella rete e dei rispettivi prezzi orari di vendita. Questi parametri servono a calcolare la cosiddetta “monetizzazione dell’energia gratuita”, cioè una quota di energia che i concessionari devono dare come compensazione ai territori in cui si trovano le centrali. Siccome non è facile trasferire e controllare una quota precisa di energia, la compensazione avviene in denaro: ogni anno la Regione pubblica un documento con tutte le quote dovute da ogni centrale.
Secondo i calcoli della Regione, negli ultimi tre anni i gestori delle centrali idroelettriche hanno pagato soltanto 51 milioni di euro in monetizzazione, circa il 40 per cento dei 130 milioni dovuti. Molti concessionari non hanno pagato perché sostengono che la legge regionale sia sbagliata e per questo hanno presentato un ricorso al tribunale amministrativo regionale (TAR). In attesa del pronunciamento dei giudici, i 79 milioni di euro dovuti non sono stati ancora pagati.
In Lombardia, inoltre, sono scadute 18 delle 74 concessioni per lo sfruttamento di “grandi derivazioni’. La legge regionale dice che, alla scadenza della concessione, chi gestisce le centrali deve dare un canone aggiuntivo per continuare a sfruttare l’acqua in deroga. Anche in questo caso molti concessionari hanno fatto ricorso contro la legge, respinto dai giudici: in seguito alla sentenza sono stati pagati i canoni aggiuntivi degli anni 2021, 2022 e 2023, ma non i 25 milioni di euro dovuti tra il 2011 e il 2019.
Tra monetizzazione dell’energia gratuita e canoni aggiuntivi, i concessionari – i principali sono A2A, Edison e Italgen – devono circa 100 milioni di euro alla Regione, per la precisione 104.
Il 60 per cento dei ricavi viene assegnato alle province, il 100 per cento alla sola provincia di Sondrio, quasi totalmente montana: i soldi servono per investimenti pubblici. «Queste aziende hanno concessioni che durano decenni, hanno diminuito la forza lavoro e gli investimenti nelle centrali idroelettriche, hanno costi bassi e utili spaventosi sulla vendita dell’energia e per giunta da più di 10 anni non pagano quanto dovuto», sintetizza Jacopo Scandella, consigliere regionale del PD che dopo aver ottenuto i dati relativi ai mancati pagamenti ha chiesto alla giunta di intervenire al più presto nell’interesse delle province.
Massimo Sertori, l’assessore regionale all’Utilizzo della risorsa idrica, dice che tutto è rimasto in sospeso perché la Lombardia ha atteso per 18 anni le linee guida che lo Stato avrebbe dovuto definire già nel 1999. Soltanto nel 2019, con una nuova legge che ha trasferito la competenza dallo Stato alle Regioni, si è potuto iniziare una procedura per la riassegnazione, tuttavia ancora ferma.
La legge prevede che entro la fine del 2023 le concessioni scadute vadano messe a gara, adeguandosi alle normative europee. Tra le altre cose, questo è un obiettivo inserito nella legge sulla concorrenza, approvata nel 2022 e inserita nel PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza con cui il governo spiega come intende spendere i finanziamenti che arriveranno dall’Unione Europea.
Nelle ultime settimane il governo ha discusso e rimandato più volte l’approvazione di una modifica al rinnovo delle concessioni previsto dalla legge sulla concorrenza. Secondo le bozze e le dichiarazioni del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, la modifica consentirebbe alle Regioni di riassegnare le concessioni scadute al concessionario uscente con un accordo sui canoni e sugli investimenti. In questo modo si potrebbero evitare le gare.
Non è un passaggio semplice proprio per via degli obiettivi inseriti nel PNRR, e non è un caso che a fermare questa modifica sia stato Raffaele Fitto, il ministro per gli Affari europei che ha la delega al piano. Il conflitto con il PNRR e il rischio di compromettere le trattative con la Commissione Europea per la concessione delle prossime rate hanno bloccato il provvedimento, almeno per ora.
I sostenitori della proposta di modifica sostengono che l’Italia sia già piuttosto aperta alla concorrenza rispetto ad altri paesi: in Francia la durata delle concessioni è tra i 30 e i 40 anni, in Spagna può arrivare fino a 75 anni, in Portogallo fino a 70, addirittura 90 in Austria. In Italia durano dai 20 ai 30 anni.
«Secondo noi la proposta del ministero è giusta e speriamo che venga approvata presto», dice l’assessore Sertori. «La possibilità di fare un accordo ci permetterebbe di velocizzare i rinnovi e sbloccare investimenti stimati in 15 miliardi di euro per tutto il paese. In ogni caso prima di rinnovare qualsiasi concessione devono essere sanati i contenziosi». Sertori conferma quindi che i concessionari dovranno pagare i 100 milioni di euro arretrati prima di iniziare qualsiasi trattativa con la Regione. Se il governo non approverà nessuna modifica entro la fine dell’anno, invece, dovranno essere fatte le gare. Il rischio, dice il consigliere del PD Scandella, è che il pagamento dei 100 milioni di euro e la fine dei contenziosi vengano utilizzati dalle aziende energetiche come potere negoziale per ottenere accordi favorevoli sui nuovi canoni.
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