Si fa presto a dire “alleati strategici”
Italia e Germania firmeranno un accordo per diventarlo, ma il Trattato del Quirinale con la Francia mostra come non sia così facile se manca la volontà politica
Mercoledì a Berlino la presidente del Consiglio Giorgia Meloni firmerà insieme al cancelliere Olaf Scholz un Piano d’azione, un accordo diplomatico che rafforza la cooperazione strategica tra Italia e Germania. La firma arriverà al termine di un incontro molto complesso, a cui saranno presenti anche vari ministri dei due governi che terranno alcuni incontri bilaterali. Ci saranno anche riunioni tra i rappresentanti delle due associazioni di industriali, la BDI tedesca e la Confindustria italiana, per ribadire l’importanza dei legami commerciali e l’interconnessione tra i settori produttivi dei due paesi.
Soprattutto per i tedeschi, il Piano d’azione servirebbe a far diventare Italia e Germania “alleati strategici”, oppure “partner strategici”, come si dice spesso in questi casi: cioè due paesi che si ritengono centrali e prioritari nel rispettivo sistema di alleanze internazionali. In realtà, come dimostra il Trattato del Quirinale con la Francia, spesso non bastano gli accordi diplomatici se manca la volontà politica.
I contenuti del Piano d’azione con la Germania verranno resi pubblici solo dopo la firma del patto. Si sa invece che i settori su cui Italia e Germania intendono rafforzare la cooperazione sono cinque: politica estera, di sicurezza e difesa; politiche dell’Unione Europea e sullo stato di diritto; crescita e competitività; transizione ecologica e sviluppo di energie rinnovabili; cultura e società civile. Verranno poi creati tre formati di collaborazione più specifica, uno che vedrà la partecipazione dei ministri di Esteri e Difesa dei due paesi, per definire e perseguire obiettivi strategici e di sicurezza comuni; uno sulle materie economiche, al quale parteciperanno i due ministri dell’Economia e delle Finanze; infine uno sulla gestione dei flussi migratori, di competenza dei due ministri dell’Interno.
Nei giorni scorsi è emersa una certa differenza di approccio tra le diplomazie tedesca e italiana. Hans-Dieter Lucas, ambasciatore tedesco arrivato a Roma da pochi mesi, nei giorni scorsi ha parlato della grande importanza che la Germania attribuisce a questo accordo, soffermandosi sull’opportunità di approfondire la collaborazione su settori strategici come l’aerospazio, la produzione di automobili e l’intelligenza artificiale. Funzionari dell’ufficio diplomatico di Palazzo Chigi tendono invece a ridimensionare la portata dell’accordo, ribadendo che in ciascuno dei campi d’azione citati andranno definite in seguito delle strategie condivise, e che la natura di questo accordo è meno vincolante di quella di un trattato.
Il riferimento è appunto al Trattato del Quirinale, un accordo di cooperazione rafforzata tra Italia e Francia firmato da Mario Draghi ed Emmanuel Macron a Roma nel novembre del 2021. I collaboratori di Meloni specificano che al momento non c’è nessuna intenzione di arrivare a firmare un trattato analogo con la Germania.
Già negli scorsi mesi fonti diplomatiche tedesche avevano fatto capire l’intenzione della Germania di intensificare i lavori preparatori alla firma del Piano d’azione, mentre la risposta italiana è sempre stata molto più cauta. Del resto c’era un percorso tracciato già dal predecessore di Meloni, Draghi, che credeva molto nella necessità di rafforzare i legami diplomatici con Francia e Germania e che non a caso, dopo aver firmato il Trattato del Quirinale, si era impegnato a imbastire le trattative che avrebbero dovuto portare in tempi rapidi alla definizione di un accordo ugualmente ambizioso con Scholz. Nell’agenda di Draghi era già stata fissata una data, il 13 ottobre del 2022, giorno in cui durante un viaggio a Berlino si sarebbe dovuta firmare una dichiarazione d’intenti. Poi però la crisi di governo e le elezioni anticipate hanno rimandato tutto quanto.
Nel frattempo la Germania ha firmato un altro Piano d’azione, con la Spagna, nell’ottobre del 2022 e poi, in vista della visita fatta da Meloni a Berlino nel febbraio scorso, ha tentato di recuperare il lavoro diplomatico avviato ai tempi del governo Draghi. In quell’occasione, tuttavia, non ci fu alcun concreto sviluppo, il governo italiano ha deciso di riprendere effettivamente le trattative solo nel giugno scorso. Poi, dopo altri cinque mesi, siamo arrivati alla firma.
Il rafforzamento della cooperazione tra Italia e Germania viene considerato da molti analisti internazionali come decisivo per riequilibrare una sorta di asimmetria diplomatica. Nel gennaio del 2019 Macron e Angela Merkel firmarono un accordo molto importante, il Trattato di Aquisgrana, che fu il primo esempio di cooperazione rafforzata tra Stati membri dell’Unione Europea, e definì ancora di più una dinamica già di fatto consolidata, quella per cui a dettare l’indirizzo della politica europea sono appunto Francia e Germania. Lo stesso Trattato di Aquisgrana è servito un po’ come modello per il Trattato del Quirinale, ma una delle sue conseguenze è che la Francia di fatto è diventata l’unico paese europeo ad avere accordi così importanti con due grandi Stati membri. La definizione di un analogo trattato tra Italia e Germania rimedierebbe, almeno sulla carta, questo squilibrio.
Ma in effetti un trattato di cooperazione rafforzata sancito sulla carta non vale di per sé a rafforzarla davvero, quella cooperazione, se poi manca la volontà politica di farlo. Proprio il Trattato del Quirinale è un buon esempio in questo senso: è stato ratificato in via definitiva dal Senato nel luglio del 2022, ma resta tuttora da attuare in molte sue parti operative.
Poco prima della crisi di governo che ci fu proprio a luglio del 2022, lo staff di Draghi aveva preso contatti con l’Eliseo, sede della presidenza della Repubblica francese, per ospitare un esponente del governo francese in un Consiglio dei ministri a Palazzo Chigi alla ripresa dei lavori, in autunno. Questo in accordo con una disposizione contenuta all’articolo 11 del Trattato, secondo cui almeno una volta ogni tre mesi un ministro italiano e uno francese avrebbero dovuto alternarsi nel prendere parte a un Consiglio dei ministri dell’altro paese. Dalla ratifica parlamentare del Trattato è trascorso un anno e mezzo, e questo scambio di ministri non è mai avvenuto (a differenza di quel che accade tra Francia e Germania, dove succede con puntualità come previsto dal Trattato di Aquisgrana).
È un dettaglio, che però spiega bene come non basti la firma di un trattato a sopperire alla mancanza di intesa politica. Tra Meloni e Macron, nonostante la costante opera di mediazione da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, non c’è mai stata grande sintonia. A dividerli c’è soprattutto la questione migratoria, fin da quando si è insediato il governo. Da un lato e dall’altro, le questioni internazionali sono state usate spesso per ragioni di politica interna.
Un’altra delle ragioni che spiega almeno in parte perché i rapporti tra i due sono sempre piuttosto tribolati è che Meloni, per Macron, rappresenta una sorta di corrispettivo italiano di Marine Le Pen, la leader di estrema destra che è la sua principale avversaria in Francia.
Invece Meloni e il suo partito, Fratelli d’Italia, sono storicamente diffidenti nei confronti della Francia. Prima che il Trattato del Quirinale venisse firmato, Meloni ne parlò come di uno scandalo che si sarebbe consumato di fronte al presidente della Repubblica Mattarella. Il dibattito parlamentare che precedette il voto di ratifica fu l’occasione per importanti deputati e senatori di FdI per rilanciare tesi infondate secondo cui l’Italia avrebbe regalato pezzi di mare alla Francia, o secondo cui i francesi avrebbero modificato a loro vantaggio i confini del Monte Bianco con l’assenso del centrosinistra.
Nel dicembre scorso, nel corso della conferenza stampa di fine anno, Meloni glissò sulle domande che riguardavano il Trattato del Quirinale, ammettendo di non avere ancora avuto modo di approfondirlo, e si disse convinta che l’accordo non fosse ancora operativo. Nel corso del primo anno del suo governo, Meloni non è mai parsa interessata a trovare una convergenza con la Francia su alcune questioni di politica comunitaria, neppure su quelle in cui ci sono punti di interesse maggiori, come ad esempio la riforma del Patto di Stabilità. In questi mesi la solidità dei rapporti tra Francia e Germania è spesso venuta meno, come non succedeva da decenni, eppure il governo italiano ha preferito mantenere l’intesa con il cosiddetto blocco di Visegrad, formato dai paesi dell’Est europeo guidati in gran parte da governi sovranisti e di destra radicale.
Per fare un altro esempio, il viaggio di Meloni a Parigi dello scorso giugno, un atto consueto per un presidente del Consiglio italiano appena entrato in carica, ha richiesto mesi di preparazione, e la presidenza del Consiglio ha più volte rimandato il tutto. In questo contesto, Italia e Francia hanno perseguito i propri interessi senza nessuna coordinazione anche sui settori citati come strategici nello stesso Trattato del Quirinale.
Sull’industria militare il governo Meloni ha deciso di puntare sul Global Combat Air Programme, comunemente chiamato Tempest, un progetto finalizzato allo sviluppo di aerei da combattimento di sesta generazione che si basa sull’accordo tra Giappone, Regno Unito e Italia stessa, senza la partecipazione di altri paesi europei. Nel Trattato del Quirinale c’è l’impegno dei due paesi verso un reciproco sostegno diplomatico a livello internazionale: eppure la Francia ha deciso di sostenere la candidatura dell’Arabia Saudita e non dell’Italia per l’assegnazione dell’Expo 2030, a cui sono candidate Riyad e Roma.