Il nuovo e combattivo governo spagnolo
È stato scelto dal primo ministro Pedro Sánchez in un contesto di forte scontro con l'opposizione, soprattutto per l'amnistia promessa agli indipendentisti catalani
Lunedì Pedro Sánchez, il primo ministro spagnolo appena nominato, ha presentato il suo nuovo governo, che sarà composto da 10 ministri e 12 ministre, quasi tutte persone a lui fedeli e quasi tutti politici di professione: di fatto, nel nuovo governo spagnolo non ci sono ministri tecnici. Questa composizione di persone fedeli e politicamente esperte, secondo i media spagnoli, è stata pensata per affrontare quella che per il Mundo, quotidiano di centrodestra, sarà una «guerra totale» con l’opposizione.
Il governo di Sánchez è nato con alcune grosse debolezze. È un governo di minoranza (sostenuto dall’esterno da una serie di partiti regionali) ed è un governo di coalizione, composto dal Partito Socialista di Sánchez e da Sumar, una coalizione di piccoli partiti della sinistra radicale. Può godere di una maggioranza di appena tre deputati, ed è stato nominato tra enormi proteste dell’opposizione, soprattutto dopo la decisione di presentare una legge sull’amnistia per gli attivisti indipendentisti catalani.
Tutti questi fattori fanno sì che la legislatura appena cominciata possa essere estremamente turbolenta: Sánchez rischia di avere problemi sia da un’opposizione estremamente agguerrita sia dagli alleati esterni (come i partiti indipendentisti catalani), ciascuno dei quali ha ampie possibilità di ricatto vista la maggioranza molto ristretta in parlamento.
Per questo, Sánchez ha scelto di nominare un governo molto compatto (anche se ampio, 22 ministri sono tanti per gli standard spagnoli), in cui tutti i ministri hanno esperienza politica e gli sono personalmente fedeli. Tutti i giornali hanno sottolineato come la scelta dei ministri sia stata fatta personalmente da Sánchez, e come lui abbia un controllo molto stretto su quello che succede nella sinistra spagnola.
Il País ha raccontato che la scelta del governo era stata già fatta sabato, e che il giorno stesso Sánchez aveva personalmente telefonato a tutti i ministri, annunciando la nomina ma ordinando di non dire niente ai media fino all’annuncio ufficiale, pena l’esclusione dall’esecutivo. Per due giorni nessuno ha parlato. «È stato un modo di mettere alla prova la discrezione di ciascuno dei membri del governo», ha detto poi uno di loro.
Il governo è composto da quattro vice prime ministre tutte donne, tra cui ci sono Nadia Calviño, che è anche ministra dell’Economia, e Yolanda Díaz, la leader di Sumar che è anche ministra del Lavoro. Il ministero della Giustizia, che sarà molto contestato perché sarà quello che dovrà portare avanti e applicare la legge sull’amnistia per gli indipendentisti, è stato dato a Félix Bolaños, che è forse il politico più fedele a Sánchez e che è sempre stato messo in posizioni molto vicine al primo ministro.
Dal governo sono state escluse tutte le correnti del Partito Socialista che si oppongono a Sánchez (che comunque negli ultimi anni si sono molto indebolite) ed è stato escluso anche Podemos, lo storico partito della sinistra radicale spagnola che mesi fa era entrato nella coalizione di Sumar. La dirigenza di Podemos, però, è da tempo in polemica con Yolanda Díaz e con la leadership di Sumar.
Questo governo con ranghi così ristretti servirà anzitutto ad affrontare una legislatura in cui i rapporti tra governo e opposizione non sono mai stati così distanti e polemici.
Nella politica spagnola, benché lo scontro politico sia sempre piuttosto duro, è difficile che maggioranza e opposizioni chiudano i canali di comunicazione. Praticamente in tutte le legislature, sia quelle in cui governava il centrodestra sia quelle in cui governava il centrosinistra, è successo che l’opposizione negoziasse ed eventualmente votasse assieme al governo sulle grandi questioni che riguardano le istituzioni e lo stato.
Questa volta, ha scritto il Mundo, Pedro Sánchez e Alberto Núñez Feijóo, il leader del Partito Popolare che è la principale forza di centrodestra, non si parlano, e lo stesso vale per i rispettivi collaboratori. Né pubblicamente né in privato. La ragione principale riguarda la legge sull’amnistia per gli indipendentisti catalani, che per la destra è un affronto alla costituzione e all’unità dello stato spagnolo. Un funzionario del Partito Popolare che ha voluto rimanere anonimo ha detto al Mundo: «Finché ci sarà l’amnistia, non ci saranno accordi».
D’altro canto, anche il Partito Socialista al momento non sta facendo grossi passi per il dialogo, ed entrambi gli schieramenti danno per scontato che non ci saranno comunicazioni almeno per i prossimi mesi.
Questo clima di contrapposizione totale è rischioso soprattutto per il governo, che potrebbe facilmente essere danneggiato dai ricatti dei suoi alleati, soprattutto indipendentisti. Durante il dibattito per l’investitura di Sánchez, Alberto Núñez Feijóo, il leader del centrodestra, ha detto al primo ministro: «Quando sarà tradito dall’indipendentismo, non mi venga a cercare».