Dieci anni fa Euromaidan cambiò la storia dell’Ucraina
Le proteste portarono a un avvicinamento all'Europa e alla fuga del presidente filorusso, ma anche alla reazione militare della Russia
La sera del 21 novembre del 2013 alcune centinaia di persone si riunirono a Kiev, in piazza dell’Indipendenza (in ucraino Maidan Nezaležnosti), per protestare contro l’interruzione dei negoziati con l’Unione Europea per un importante patto commerciale. Era l’inizio del movimento che avrebbe portato alla rivoluzione del 2014, nota come Euromaidan: mesi di scontri provocarono la fuga del presidente filorusso Viktor Yanukovich e sembrarono sancire un allontanamento definitivo dell’Ucraina dall’orbita del regime russo di Vladimir Putin. La Russia reagì invadendo la Crimea e sostenendo i ribelli del Donbass, che proclamarono l’indipendenza delle province di Donetsk e Luhansk.
Esiste una continuità diretta fra quella manifestazione di piazza e l’attuale guerra, scatenata dalla nuova invasione dell’Ucraina da parte della Russia, nel febbraio 2022. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky l’ha sottolineata martedì definendo quella protesta «la prima controffensiva ucraina, contro il tentativo di rubare il nostro futuro europeo».
L’Ucraina nel novembre del 2013 stava per festeggiare il nono anniversario di un’altra rivoluzione, la rivoluzione “arancione”: nel 2004 Viktor Yanukovich aveva appena vinto le elezioni presidenziali superando Victor Yushenko, filo occidentale, in elezioni contestate per brogli. I manifestanti chiesero e ottennero nuove elezioni, vinte poi da Yushenko, che formò un governo di orientamento filo europeo guidato da Julia Tymoshenko, una delle protagoniste delle manifestazioni di piazza.
Poco meno di nove anni dopo però la svolta europeista dell’Ucraina era quasi stata archiviata: Yanukovich era tornato al potere vincendo le elezioni del 2009, Tymoshenko era in carcere. Nel 2011 era stata arrestata, processata e condannata per aver firmato un accordo con la Russia che fissava il prezzo dovuto dall’Ucraina per gli approvvigionamenti di gas naturale. L’accordo fu giudicato da molti svantaggioso per gli interessi ucraini e stipulato senza l’accordo del resto del governo. Alla fine di un processo molto contestato e controverso, Tymoshenko fu condannata a sette anni di prigione per abuso di potere.
Il 21 novembre 2013, dopo mesi di discussione, il governo ucraino decise di sospendere il processo di preparazione per la firma di un accordo di libero scambio con l’Unione Europea, che sarebbe dovuta arrivare sette giorni dopo. Nelle settimane precedenti la Russia aveva adottato atteggiamenti sempre più aggressivi per convincere l’Ucraina a rinunciare alla firma, spingendo invece per includere il paese in una propria unione doganale (che avrebbe coinvolto anche Bielorussia e Kazakistan), dai vantaggi economici limitati. L’Unione aveva inoltre vincolato la sua disponibilità a concludere l’accordo con l’Ucraina alla liberazione di Tymoshenko, ma proprio il 21 novembre il parlamento ucraino bocciò una legge che avrebbe permesso la liberazione della donna per andare all’estero a farsi curare un problema serio alla colonna vertebrale.
Quella sera i dimostranti si riunirono in piazza senza un vero coordinamento, ma attraverso un passaparola sui social network. La risposta dell’amministrazione cittadina fu di vietare ogni nuova manifestazione nelle zone centrali della capitale, ma ebbe il risultato opposto: tre giorni dopo le manifestazioni avevano fra i 50mila e i 100mila partecipanti, e nella piazza vennero organizzati presidi fissi, difesi da alcune centinaia di manifestanti. Vennero occupati anche alcuni uffici governativi. Petro Poroshenko, uomo d’affari ed ex ministro degli Esteri, oltre che proprietario di una televisione, fu fra i principali sostenitori delle proteste, anche a livello economico.
Il 29 novembre Yanukovich confermò la rinuncia al trattato con la UE, a inizio dicembre incontrò Putin, si accordò con il presidente russo su una serie di aiuti e alleanze economiche e commerciali e aumentò la repressione delle proteste che continuavano da settimane.
Il 20 febbraio fu il giorno più tragico, con quasi cento morti negli scontri di piazza: i manifestanti uccisi furono oltre 70, colpiti da cecchini che sparavano da alcuni palazzi intorno alla piazza: le responsabilità dirette non sono mai state completamente accertate, ma l’ordine di sparare sulla folla arrivò da esponenti del regime.
Nei due giorni seguenti il parlamento sfiduciò il governo di Yanukovich, che fuggì in Russia denunciando un “colpo di stato”. Fu nominato al suo posto, per qualche mese, Oleksandr Turchynov, fino alla celebrazione delle elezioni di giugno, che furono vinte al primo turno da Petro Poroshenko.
In totale nelle manifestazioni di Euromaidan morirono 108 manifestanti, 17 agenti di polizia e ci furono oltre 2.500 feriti: le proteste durarono 93 giorni, ma un gruppo ridotto di manifestanti continuò a mantenere i presidi in piazza fino ad agosto 2014, quando furono sgomberati anche con l’intervento del sindaco di Kiev, l’ex pugile Vitali Klitschko, uno dei protagonisti delle proteste nell’inverno precedente.
Putin definì la rivoluzione ucraina «un colpo di stato incostituzionale e una presa del potere militare», e poco dopo invase e occupò militarmente la Crimea. Contestualmente, le regioni (oblast) di Luhansk e di Donetsk, nell’area orientale del Donbass, uscirono dal controllo dello stato ucraino. La Russia sobillò, armò, aiutò e finanziò gruppi militari filo-russi anche nell’est dell’Ucraina, permettendo quindi ai ribelli del Donbass di prendere il controllo di parte del territorio.
Poroshenko rimase presidente fino al 2019: durante il suo mandato riavvicinò il paese all’Europa, finanziò campagne militari contro i ribelli del Donbass, favorì l’utilizzo della lingua ucraina, alimentò le privatizzazioni e finì in alcuni scandali di corruzione, un problema di lungo corso che l’Ucraina tuttora fatica a risolvere. Corse per la rielezione, ma fu sconfitto da Volodymyr Zelensky.
Oggi sia Poroshenko che Julia Tymoshenko fanno parte del parlamento ucraino, con posizioni piuttosto critiche nei confronti di Zelensky, ma allineate nello sforzo bellico dopo l’invasione della Russia. Yanukovich nel 2019 fu condannato da un tribunale ucraino a 13 anni di prigione per “alto tradimento”. Dal 2014 risiede in Russia, da dove ha tentato per vie politiche e ricorsi legali di rientrare nella vita politica ucraina. Nei primi giorni dell’invasione russa dell’Ucraina fu visto a Minsk, in Bielorussia. Secondo molte ricostruzioni effettuate in seguito l’esercito russo, che contava di arrivare a Kiev in pochi giorni, avrebbe avuto l’intenzione di reinstallarlo come presidente del paese.
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