Quanto costa candidarsi alle elezioni
I partiti chiedono fino a 50mila euro per i posti più sicuri, alle politiche, mentre alle prossime europee le campagne elettorali saranno a carico dei candidati
Fare politica costa, e tra le spese più consistenti che chi fa politica deve sostenere c’è quella necessaria a finanziare le proprie elezioni al parlamento italiano o europeo. Da un lato infatti ci sono i costi legati all’allestimento della campagna elettorale, alla promozione della propria immagine, al farsi pubblicità; dall’altro c’è quasi sempre anche una cifra che il singolo candidato o candidata deve corrispondere al partito per garantirsi un posto sicuro, o comunque vantaggioso, nelle liste elettorali. Non esiste una cifra standard, ciascun partito fissa le proprie regole a cui bisogna attenersi. Si va da cifre irrisorie o addirittura nulle, come nel caso del Movimento 5 Stelle o di Italia Viva, fino a contributi che arrivano anche a 30mila o 50mila euro, come nel caso di Fratelli d’Italia o del Partito Democratico.
Queste cifre furono chieste per una candidatura alle elezioni politiche che si svolsero nel settembre del 2022, valide per un seggio alla Camera o al Senato. Per le europee del giugno prossimo bisogna fare un discorso diverso. Non tutti i partiti hanno già definito una cifra e regole precise, ma la maggior parte sta adottando il principio per cui ai candidati o alle candidate viene chiesto solamente di finanziarsi in maniera autonoma la campagna elettorale, senza ulteriori versamenti. Del resto alle europee, più che la posizione in lista, conta il numero di preferenze che ciascun candidato raccoglie: è dunque comprensibile che i partiti tendano a non chiedere soldi per la candidatura, visto che l’esito dipende poi in gran parte dalla capacità del singolo di raccogliere consenso su di sé.
Le elezioni europee avvengono secondo una ripartizione territoriale molto ampia: i collegi in cui è divisa l’Italia sono appena cinque, e quindi chi ambisce a ottenere molte preferenze deve fare campagna in un’area vastissima, con conseguenti spese considerevoli. Sono cifre variabili, ovviamente, anche a seconda dell’impegno che la persona candidata decide di sostenere, ma che possono essere quantificate in diverse decine di migliaia di euro, talvolta anche più di 100mila. Bisogna stampare manifesti e volantini, noleggiare gli spazi pubblicitari; affittare locali per organizzare convegni e comizi, pagare la sede del proprio comitato elettorale; vanno pagate le società di consulenza d’immagine e per la comunicazione, e poi i viaggi, gli alloggi, l’invio di materiale agli elettori, le cene e gli altri eventi elettorali, senza tralasciare i costi crescenti delle campagne sui social network.
Inoltre alcuni partiti hanno deciso di chiedere un contributo una tantum ai parlamentari nazionali già eletti, per finanziare la macchina organizzativa e propagandistica della campagna per le europee: la Lega, ad esempio, pretende da deputati e senatori 30mila euro.
Infine ci sono dei contributi mensili che i parlamentari devono versare nelle casse del partito. Anche in questo caso le cifre possono variare molto, ma nel complesso sono andate crescendo negli ultimi anni. Anche per effetto dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, nel 2013, i movimenti politici possono di fatto contare solo sulle donazioni dei privati o sul due per mille, una quota dell’imposta personale IRPEF che ciascun cittadino o cittadina può decidere di devolvere a un partito anziché allo Stato. Di conseguenza il contributo dei propri parlamentari, o di chi parlamentare vuole diventare, diventa decisivo.
Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni, alle elezioni politiche del 2022 chiese 30mila euro a chi volesse ottenere una candidatura in posizione favorevole all’elezione alla Camera o al Senato. Ci sono infatti collocazioni che offrono garanzie di successo, o comunque buone possibilità: per esempio i posti in cima ai listini proporzionali, o le candidature in collegi uninominali sicuri, cioè in quei territori dove il partito o la coalizione sono particolarmente forti. Per coloro che scelsero di candidarsi in condizioni meno vantaggiose, FdI chiese di versare quegli stessi 30mila solo a seguito dell’effettiva elezione. Dopo un anno, tuttavia, non tutti i deputati e senatori hanno provveduto a saldare il conto, secondo la dirigenza del partito.
Per quanto riguarda le europee, invece, Fratelli d’Italia chiede mille euro al mese fissi ai parlamentari eletti per sostenere le attività del partito, e imporrà ai candidati di finanziarsi con i propri soldi la campagna elettorale.
La Lega di Matteo Salvini chiese 20mila euro per le candidature ritenute sicure alle scorse politiche: nel caso di posti che offrivano meno garanzie, si contrattò un prezzo inferiore direttamente con i responsabili della tesoreria del partito. Gli eletti devono poi versare 3mila euro al mese fissi, più altri contributi straordinari.
A ottobre Salvini ha chiesto a deputati e senatori una donazione di 30mila euro finalizzata a finanziare la campagna per le europee. La richiesta è stata accolta con un certo malumore dai parlamentari, alcuni dei quali si sono lamentati del fatto che fosse impossibile reperire una cifra simile in tempi brevi. La deputata Laura Ravetto ha avviato sui social network una specie di concorso per raccogliere fondi: «Quello che contribuirà di più verrà con me in una redazione televisiva, il secondo farà un giro con me in parlamento, la terza o il terzo potranno mettere sui miei social un messaggio a loro discrezione». Anche il senatore Claudio Borghi ha promosso un’iniziativa di raccolta fondi con premi (tra i quali sono previsti anche dei falsi minibot, cioè dei falsi titoli di Stato di piccolo taglio, autografati dal senatore).
Ma ci sono anche altri metodi: i parlamentari di ogni partito hanno quasi sempre finanziatori di fiducia, imprenditori del territorio di riferimento che trovano utile sostenere un determinato politico sperando di garantirsi così una qualche tutela in futuro, o semplicemente perché ritengono che quel politico possa promuovere iniziative coerenti con i propri interessi. In ogni caso, secondo la norma in vigore dal 2019, i parlamentari hanno l’obbligo di rendere pubblici i finanziamenti superiori a 500 euro l’anno. Anche le donazioni fatte ai partiti, che godono peraltro di sgravi fiscali, sono pubblicamente consultabili sui rendiconti depositati alle presidenze di Camera e Senato.
Chi si candidò alle politiche del 2022 con Forza Italia ha dovuto donare al partito 10mila euro nel caso di candidature nei collegi uninominali, e 30mila per l’inserimento nei listini proporzionali con maggiore garanzia di vittoria. Anche in questo caso, secondo la dirigenza del partito, sono ancora tanti i parlamentari che non hanno saldato il conto, e a inizio ottobre sedici tra deputati e senatori non risultavano in regola riguardo all’obbligo di donare al partito 900 euro mensili. Per le elezioni europee Forza Italia non chiederà contributi diretti ai candidati e alle candidate, ma dovranno anche loro provvedere in proprio a finanziarsi la campagna elettorale.
Il Partito Democratico per le politiche del 2022 chiese il contributo maggiore: 50mila euro per le candidature ritenute sicure, da ripartire tra il partito nazionale (30mila euro) e quello della regione in cui avveniva la candidatura (20mila). Il segretario di allora, Enrico Letta, ricevette diverse segnalazioni secondo cui molti candidati stavano facendo ben poca campagna elettorale nei territori, tanto quelli certi dell’elezione quanto quelli senza speranze. Le candidature fatte a questo modo avevano generato appunto questa stortura: se ho la garanzia di ottenere comunque un seggio alla Camera o al Senato non aveva senso spendersi e spendere più dello stretto indispensabile, e lo stesso discorso valeva al contrario.
Oltre ai versamenti per le candidature, il PD ha chiesto poi agli eletti e alle elette circa 3mila euro al mese: un minimo di 500 euro al partito nazionale, 1.200 al provinciale e poi contributi vari ai circoli locali e alle segreterie regionali. In vista delle europee non è stato finora previsto alcun contributo obbligatorio.
Il Movimento 5 Stelle non chiese quote fisse per le candidature alle elezioni politiche, e lo stesso varrà per le europee. Ovviamente i candidati dovranno autofinanziarsi la campagna elettorale. Quanto ai contributi mensili, la cifra è di 2.500 euro per deputati e senatori: 500 euro finanziano fondi di utilità sociale, gli altri 2.000 servono a sostenere i costi di gestione del partito e il suo personale. A questa soluzione il M5S è arrivato solo di recente, dopo una diatriba connessa alle rendicontazioni delle spese e alle cosiddette “restituzioni” che aveva coinvolto il partito per anni, fin dal suo esordio in parlamento nel 2013.
Italia Viva di Matteo Renzi non chiede contributi ai candidati e alle candidate, né per le politiche né per le europee. I deputati e i senatori del partito non sono tenuti neppure al versamento di quote fisse mensili, ma contribuiscono alle spese in occasione di eventi particolari o iniziative politiche.
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