La Corte Suprema degli Stati Uniti ha adottato per la prima volta un codice di condotta
Dopo uno scandalo che aveva coinvolto il giudice Clarence Thomas, accusato di essersi fatto pagare viaggi di lusso da un imprenditore
Lunedì la Corte Suprema degli Stati Uniti ha pubblicato per la prima volta un codice di condotta per i suoi nove giudici. I giudici federali dei tribunali di grado inferiore avevano già un codice etico dal 1973, ma la Corte Suprema non aveva ancora stabilito le proprie regole esplicite e questo, secondo i giudici, aveva portato a un «malinteso» per cui alcuni di loro si consideravano liberi da qualsiasi indicazione.
Il codice è contenuto in un documento di quattordici pagine, che comprende cinque direttive di carattere etico che i giudici della Corte Suprema dovrebbero seguire: sono direttive piuttosto vaghe nella forma che invitano ad esempio i giudici a «sostenere l’integrità e l’indipendenza della magistratura», svolgere i propri compiti «in modo equo, imparziale e diligente» e «astenersi dall’attività politica».
La necessità di un codice di questo tipo è diventata palese nell’ultimo anno, dopo che un’inchiesta del giornale online ProPublica aveva scoperto che uno dei giudici della Corte, Clarence Thomas, avrebbe accettato per oltre 20 anni viaggi di lusso pagati dall’imprenditore miliardario Harlan Crow, che è anche un importante finanziatore del Partito Repubblicano. Successive inchieste avevano rivelato anche, ad esempio, che Crow avesse acquistato una casa dove viveva la madre di Thomas e avevano incluso rivelazioni, sebbene di portata minore, su altri membri della Corte.
Nonostante questa notizia sia interpretata come un passo avanti, il codice è stato criticato perché non contiene alcun meccanismo di applicazione. I giudici dovranno scegliere autonomamente di rispettarne “regole e principi”, che riguardano ad esempio le circostanze in cui dovrebbero ritirarsi dalla partecipazione a un caso per conflitto d’interessi. Come spiega Devon Ombres, direttore per i tribunali e la politica legale del Center for American Progress, il documento «utilizza la parola “dovrebbe” per indicare la condotta dei giudici 51 volte, ma le parole “deve” o “non può” non compaiono nel testo».