La rivista che fu «internet prima di internet»
Tra gli anni '60 e '70 il "Whole Earth Catalog" di Stewart Brand diffuse sensibilità ambientaliste, conoscenze enciclopediche e istruzioni tecniche ispirando gente molto influente
A ottobre è stato pubblicato online un archivio che contiene quasi tutti i numeri del Whole Earth Catalog (il “Catalogo dell’intera Terra”), un famoso periodico di controcultura statunitense fondato dal biologo e scrittore statunitense Stewart Brand nel 1968. Il Whole Earth Catalog è ancora oggi ricordato e da qualcuno venerato perché è considerato l’anticipatore di alcune riflessioni e tendenze che sarebbero entrate a far parte nel discorso pubblico vent’anni dopo, con l’avvento di internet, dei motori di ricerca, delle enciclopedie libere e dei servizi di e-commerce. Fu stampato trimestralmente fino al 1971, quando le pubblicazioni furono interrotte, anche se negli anni successivi vennero realizzate a cadenza irregolare alcune edizioni speciali o celebrative: l’ultimo volume, Whole Earth Catalog: 30th Anniversary Celebration, fu pubblicato nel dicembre del 1998.
La rivista si chiamava così perché, oltre a ospitare saggi e articoli sui temi più disparati, catalogava e recensiva prodotti di ogni tipo, come libri, prodotti per l’igiene personale e per il campeggio, abbigliamento tecnico e attrezzi per il fai da te. Le schede che presentavano gli oggetti offrivano informazioni sui prezzi, sulle modalità attraverso cui contattare i venditori e anche suggerimenti su come farne il migliore utilizzo possibile al fine di, si leggeva nelle prime pagine di ogni nuova edizione del catalogo, «aiutare l’individuo a perfezionare la propria istruzione, trovare la propria ispirazione, modellare il proprio ambiente e condividere le proprie esperienze con chiunque fosse interessato».
Quando esperti di settore e giornalisti che si occupano di tecnologia parlano del Whole Earth Catalog nella maggior parte dei casi ne sottolineano la portata avveniristica, definendolo come una sorta di internet prima di internet. Inoltre, negli anni la rivista è stata citata come una fonte di ispirazione da diversi imprenditori del settore tecnologico. Ad esempio, nel suo famoso discorso pronunciato nel 2005 all’università di Stanford, il fondatore di Apple Steve Jobs la definì come «una specie di Google in formato tascabile, 35 anni prima che Google arrivasse».
In quel discorso Jobs pronunciò il celebre slogan «Stay hungry, stay foolish» («Siate affamati, siate folli»), diventato iconico e rappresentativo della sua filosofia: in origine, apparve proprio sulla quarta di copertina di Whole Earth Epilog, una raccolta di tutti i numeri del Whole Earth Catalog pubblicata nel 1974.
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Se il Whole Earth Catalog viene spesso paragonato a servizi come Google o Amazon è perché, pur se in forma cartacea, svolgeva una funzione tutto sommato simile. Alla fine degli anni Sessanta i motori di ricerca non esistevano ancora, e neppure le aziende di e-commerce: per i consumatori era difficile venire a conoscenza dell’esistenza di un determinato prodotto, così come essere sicuri di riceverlo in tempi ragionevoli, dato che il settore delle spedizioni non era efficiente come lo è oggi.
In un certo senso, il Whole Earth Catalog rispondeva alle loro esigenze: sfogliando la rivista i lettori potevano conoscere la storia di un particolare oggetto, ricevere una breve spiegazione del suo funzionamento, ottenere informazioni sul prezzo e sui produttori e avere la certezza di poterlo ottenere in modo semplice e veloce. Per entrare a far parte del Whole Earth Catalog, infatti, gli oggetti dovevano soddisfare alcune caratteristiche, ossia essere «utili», «funzionali all’istruzione indipendente», «di alta qualità o basso prezzo» e «facilmente ricevibili via posta».
La rivista è ricordata per il suo tono irriverente verso le istituzioni (definito solitamente “libertario”) e anche perché portava avanti molte istanze che sarebbero diventate di attualità soltanto anni dopo, su tutte l’importanza della disponibilità delle informazioni e della condivisione del sapere con il più ampio numero di persone.
A questo proposito, la giornalista del New Yorker Anna Wiener ha scritto che, ai tempi, il Whole Earth Catalog dava l’illusione di offrire «una visione per un nuovo ordine sociale» e che, per questo motivo, tra gli imprenditori della Silicon Valley il suo fondatore Stewart Brand è diventato «una sorta di diagramma di Venn umano [quelli che usiamo per rappresentare gli insiemi, ndr], celebrato per aver creato un ponte tra la controcultura hippie e la nascente industria dei personal computer». Il giornalista di tecnologia John Markoff ha scritto che Brand «ha coniato il termine “personal computer” ed è stato uno dei primi a immaginare cosa sarebbe diventata la tecnologia digitale».
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Nel suo libro From Counterculture to Cyberculture Fred Turner, giornalista e docente del Dipartimento di Storia dell’Università di Stanford, racconta alcune delle intuizioni alla base della fondazione del Whole Earth Catalog, come ad esempio la fascinazione di Brand per il movimento hippie e per i riti culturali delle popolazioni native americane. In particolare, Turner sostiene che Brand decise di fondare la rivista perché aveva notato che un numero sempre più grande di persone stava lasciando le città per andare ad abitare in alcune delle comuni (comunità autogestite) che stavano nascendo in New Mexico e in California agli inizi degli anni Sessanta.
Da qui l’idea di creare una sorta di manuale per autodidatti, che potesse aiutare gli abitanti di queste comuni ad acquisire le nozioni essenziali per «portare avanti la [loro] propria istruzione, trovare la [propria] ispirazione, modellare il [proprio] ambiente e condividere la [loro] avventura con chiunque fosse interessato». La rivista era infatti divisa in sette sezioni: “Understanding Whole Systems” (Capire i sistemi generali), “Shelter and Land Use” (Abitazioni e uso del territorio), “Industry and Craft” (Industria e artigianato), “Communications” (Comunicazione), “Community” (Comunità), “Nomadics” (Nomadismo) e “Learning” (Apprendimento, la sezione dedicata i libri).
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Brand si laureò in Biologia all’Università di Stanford nel 1960. Dopo una breve esperienza nell’esercito degli Stati Uniti, studiò design al San Francisco Art Institute ed entrò a far parte dell’USCO, un collettivo artistico newyorkese, sviluppando un certo interesse verso le sostanze psichedeliche, in particolare l’LSD.
Nel libro Whole Earth: The Many Lives of Stewart Brand, Markoff racconta di quando, nel 1966, Brand si fece promotore di una bizzarra protesta contro la NASA, che ai tempi non aveva ancora diffuso nessuna delle foto della Terra vista dallo spazio (nonostante ci fossero già alcuni satelliti in orbita). Per diffondere il suo messaggio, Brand portò avanti una campagna eccentrica, distribuendo agli ingressi di alcune delle più prestigiose università degli Stati Uniti (Berkeley, Stanford, Columbia, Harvard e MIT) delle spille personalizzate con la scritta: «Perché non abbiamo ancora visto una fotografia intera della Terra?».
Il primo numero della rivista, che presentava in copertina la frase «Access to tools» («Accesso agli strumenti»), uscì nell’autunno del 1968. Costava 5 dollari, era composto da 64 pagine di grande formato e nella foto di copertina presentava proprio una foto della Terra scattata da un satellite, che nel frattempo nel 1967 era stata diffusa dalla NASA.
Nell’editoriale iniziale veniva spiegata la motivazione della scelta del titolo, ossia fare sì che il lettore potesse «trovare la propria ispirazione, modellare il proprio ambiente e condividere la propria avventura con chiunque sia interessato». Alla presentazione delle varie sezioni seguivano le recensioni di una lunga serie di prodotti, come mappe, libri illustrati di geografia, anatomia e architettura, utensili da lavoro, foto di oggetti, abbigliamento, riviste scientifiche e di yoga, con i relativi prezzi e le informazioni sui produttori. La sensazione era quella di sfogliare una rivista dedicata al mondo del fai da te, anche se la forma e le illustrazioni all’interno ricordavano più una fanzine di fantascienza, una rivista compilata da appassionati di una certa materia e rivolta ad altri appassionati.
Nel 1974 Brand fondò CoEvolution Quarterly, una rivista simile al Whole Earth Catalog, ma più focalizzata sulla scienza e sulle invenzioni e indirizzata a un pubblico più elitario e istruito. Nel 1985 partecipò inoltre alla fondazione di Well, una delle più vecchie comunità virtuali tuttora attive.
Con l’avvento di internet e dei primi motori di ricerca, l’interesse nei confronti del Whole Earth Catalog è calato progressivamente. Il fondatore di Wired Kevin Kelly ha vissuto da vicino l’ascesa e la fine del Whole Earth Catalog: iniziò a lavorarci agli inizi degli anni Ottanta, quando fu assunto da Brand come correttore di bozze, e continuò a collaborare con lui come editor del CoEvolution Quarterly. Nel 2008, parlando della portata innovativa della rivista, Kelly disse che «per quel nuovo movimento controculturale, l’informazione era un bene prezioso. Negli anni ’60 non c’era internet; non c’erano 500 canali via cavo». In quel contesto, raccontò Kelly, il Whole Earth Catalog rappresentava uno strumento preziosissimo e, tra le altre cose, «un ottimo esempio di contenuto generato dagli utenti, senza pubblicità, prima di internet. Fondamentalmente, Brand ha inventato la blogosfera molto prima che esistesse qualcosa come un blog».
Inoltre, secondo il docente di storia dell’università del Nevada Andy Kirk, il Whole Earth Catalog contribuì ad anticipare anche diversi temi dell’ambientalismo contemporaneo, «creando una nuova comunità di pensatori e attivisti che hanno inventato quella che oggi è nota come “sostenibilità”» e «collegando natura selvaggia e tecnologia, campagna e città, cultura e natura in un modo non convenzionale per l’epoca».