Chi decide se uno sciopero si può fare
In rari casi può intervenire il governo, ma la competenza è della Commissione di garanzia (e quanto è vero che si sciopera sempre di venerdì?)
Dalla scorsa settimana è in corso una polemica intorno allo sciopero indetto da CGIL e UIL per venerdì 17 novembre. Il dibattito è iniziato quando la Commissione di garanzia, cioè l’autorità che per legge ha il compito di vigilare sui modi e sui tempi di convocazione degli scioperi, ha diffuso una delibera approvata il giorno prima secondo cui le associazioni sindacali coinvolte avrebbero violato la normativa in vigore, invitandole a rimodulare gli orari e le modalità di convocazione dello sciopero.
Dopo la delibera, contestata dai sindacati, è intervenuto il ministro dei Trasporti Matteo Salvini. La Lega, il partito di cui Salvini è segretario, ha pubblicato sabato un comunicato in cui si diceva sicura che la CGIL «ridurrà la mobilitazione o la rimanderà». Poi domenica ne ha pubblicato un altro in cui accusava la CGIL di ignorare «perfino l’ABC delle mobilitazioni», e aggiungendo: «Milioni di italiani non possono essere ostaggio dei capricci di Landini che vuole organizzarsi l’ennesimo weekend lungo». Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, poche ore dopo ha risposto così: «Forse Salvini, che in vita sua non ha mai lavorato, pensa al suo weekend […] Capisco il nervosismo, perché chi in campagna elettorale ha raccontato che avrebbe aumentato gli stipendi e che avrebbe cancellato la Fornero […] oggi di tutto questo non c’è traccia».
A decidere se uno sciopero si può fare, e in che modalità, è appunto la Commissione di garanzia, un organo formato da cinque membri scelti tra esperti del settore su indicazione dei presidenti della Camera e del Senato, dunque espressione della maggioranza parlamentare, e nominati con decreto del presidente della Repubblica. Tra questi ci sono Peppino Mariano, avvocato che fu consulente sulle materie del lavoro per Giorgia Meloni quando era ministra della Gioventù tra il 2008 e il 2011, e Luca Tozzi, avvocato ed ex consulente giuridico dell’attuale presidente della Camera Lorenzo Fontana quando era ministro della Famiglia, tra il 2018 e il 2019. L’attuale presidente della Commissione è Paola Bellocchi, docente di Diritto del lavoro, e gli altri membri sono il docente universitario Federico Ghera e l’economista Paolo Reboani, che è stato direttore generale del ministero del Lavoro e prima ancora fu consulente per ministri del Lavoro come Roberto Maroni e Maurizio Sacconi.
Anche il governo ha un margine per intervenire sugli scioperi, attraverso la cosiddetta “precettazione”, come viene chiamata la facoltà del presidente del Consiglio o di un ministro o del prefetto competente di imporre limitazioni a uno sciopero o vietarlo del tutto. Ma è un’eventualità piuttosto rara, e comunque per “precettare” c’è bisogno di un parere preventivo della stessa Commissione di garanzia.
Lunedì mattina la Commissione ha convocato nella sua sede al centro di Roma i responsabili di CGIL e UIL, per un confronto rispetto alla delibera pubblicata giorni fa. L’incontro è durato quasi due ore. Dopo un ulteriore consulto tra i suoi componenti, la Commissione ha ribadito le indicazioni contenute nella delibera: lo sciopero quindi non è stato vietato, ma i sindacati dovranno ridurne la durata per il settore dei trasporti, e indire lo sciopero dei Vigili del Fuoco in una fascia oraria diversa da quella che va dalle 9 alle 13.
La polemica riguarda in sostanza la legittimità dello sciopero convocato da CGIL e UIL. Il diritto allo sciopero è riconosciuto dall’articolo 40 della Costituzione, secondo cui questo diritto «si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano». Queste leggi sono mancate per decenni, però la Corte Costituzionale è più volte intervenuta sul tema tra il 1960 e il 1983, con sentenze che hanno riconosciuto come l’organizzazione e la partecipazione di uno sciopero non possa mai essere reato, neppure quando ha lo scopo di costringere le autorità a promuovere o a ritirare un certo provvedimento, a meno che lo sciopero stesso non sia diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale o a impedire il libero esercizio dei poteri dello Stato.
Nel 1990, infine, venne approvata una legge che definisce nel dettaglio i limiti del diritto allo sciopero, individuati nella necessità di contemperare altri diritti fondamentali: quello alla tutela della salute, dell’igiene pubblica e della protezione civile, e poi il diritto ad avere servizi basilari come i trasporti pubblici urbani e uxtraurbani, le poste, le telecomunicazioni e l’informazione. Vennero introdotti anche alcuni principi che le associazioni devono rispettare, come il minimo preavviso e la necessità di tentare una risoluzione dei problemi attraverso una consultazione coi ministeri o con altre autorità oggetto delle rimostranze, prima di procedere alla mobilitazione.
La stessa legge costituì anche la Commissione di vigilanza, che deve appunto vigilare sul rispetto delle norme. Nel caso dello sciopero del 17 novembre i principi in discussione, richiamati dalla Commissione nella sua delibera, sono due. Da un lato c’è la cosiddetta “rarefazione oggettiva”, secondo cui deve passare un intervallo di tempo minimo tra la convocazione di due scioperi nello stesso settore. Secondo la Commissione questo non verrebbe rispettato nel settore del trasporto aereo (c’è già uno sciopero convocato per il 24 novembre dal sindacato FLAI), nel settore della raccolta dei rifiuti (i COBAS hanno indetto uno sciopero per il 24 novembre), e nei Vigili del Fuoco (c’è uno sciopero convocato per lo stesso 17 novembre da un altro sindacato, USB, tra le 9 e le 13).
L’altro principio in discussione è quello della “durata massima della prima azione”: in base a leggi dello Stato o a norme contenute nei contratti collettivi nazionali di riferimento, ogni volta che si proclama uno sciopero si deve rispettare una durata massima, che varia a seconda dei settori e delle professioni.
C’è poi la questione di che caratteristiche debba avere uno “sciopero generale”. Secondo la Commissione bisogna rifarsi a una delibera del 2003, approvata dalla stessa autorità insieme ai sindacati, in base alla quale uno sciopero è generale quando coinvolge la totalità dei settori in uno stesso momento. Da questo punto di vista, lo sciopero del 17 novembre non può essere considerato generale dal momento che non vi aderiranno alcuni delle principali associazioni del settore dei servizi energetici.
Sia la UIL che la CGIL hanno contestato questa interpretazione della delibera, ritenuta troppo rigorosa, e non è solo una questione linguistica: quando uno sciopero è generale, infatti, i limiti previsti dalla legge vengono in parte attenuati. E sulla mobilitazione del 17 novembre, per esempio, resterebbero validi i limiti sulla “rarefazione oggettiva”, verrebbero meno quelli sulla “durata massima della prima azione”. In ogni caso, le obiezioni di CGIL e UIL sono state rigettate dalla Commissione, che con una nota ufficiale ha confermato «il contenuto del provvedimento adottato in data 8 novembre».
Non è la prima volta che nasce una polemica politica tra il governo e la CGIL in vista di uno sciopero, succede ancora più spesso da quando Salvini è diventato ministro dei Trasporti, uno dei settori su cui l’incidenza degli scioperi è maggiore. In più di un’occasione Salvini ha fatto ricorso alla “precettazione”. A questo giro Salvini ha attaccato Landini per il fatto che la maggior parte degli scioperi, come nel caso del 17 novembre, vengono convocati di venerdì. Secondo il calendario messo insieme dalla Commissione di garanzia, tra ottobre e dicembre 2023 gli scioperi locali e nazionali convocati (escludendo quelli poi revocati) sono stati 135, di cui 57 indetti di venerdì, 56 di lunedì e 10 nei giorni prima o dopo i ponti dell’Immacolata e di Ognissanti. Su 135 scioperi, 123 sono contigui a giorni festivi.
I sindacati spiegano questo dato in base al principio per cui lo sciopero viene convocato con l’obiettivo di generare il maggior disagio possibile, così da dare risalto alle rivendicazioni di chi protesta e renderle più efficaci. La convocazione di scioperi a ridosso dei giorni festivi induce spesso molti lavoratori ad aderirvi strumentalmente: in questo modo i tassi di adesione aumentano, e questo dà maggiore peso negoziale ai sindacati.