Molti lavoratori di Gaza sono rimasti bloccati in Israele o in Cisgiordania
Sono diventati immigrati irregolari, ma non possono rientrare nella Striscia: molti vivono in campi profughi e centri di detenzione
L’undici ottobre, pochi giorni dopo gli attacchi di Hamas, il governo di Israele ha revocato i permessi di lavoro che autorizzavano l’ingresso in territorio israeliano ai palestinesi residenti nella Striscia di Gaza, circa 18.500. Il governo israeliano motivò la decisione citando motivi di sicurezza: la revoca fu improvvisa e seguiva l’immediata chiusura di tutti i varchi di confine fra Israele e la Striscia.
L’undici ottobre, quindi, alcune migliaia di abitanti di Gaza sono diventati immigrati irregolari dentro il territorio israeliano: la chiusura delle frontiere ha reso impossibile il loro rientro nella Striscia. Un mese dopo gran parte di quei lavoratori è ancora bloccata in Israele o in centri di detenzione e campi profughi in Cisgiordania, e le loro prospettive al momento non sono chiarissime.
Nonostante i continui bombardamenti, molti vorrebbero fare ritorno a Gaza per riunirsi con le proprie famiglie. Diversi giornali internazionali hanno raccolto testimonianze sul percorso che ha portato questi lavoratori fino ai sovraffollati campi in cui risiedono ora: molti hanno raccontato di essere stati picchiati da polizia ed esercito e di essere stati rinchiusi in celle senza spiegazioni né possibilità di avere contatti con familiari e avvocati.
Prima della guerra, lavorare in Israele era un obiettivo molto ambito per gli abitanti della Striscia di Gaza, dove il tasso di disoccupazione è superiore al 50 per cento e lo stipendio per lavoratori non qualificati raramente superiore ai 10 dollari al giorno. In Israele si riesce a guadagnare anche dieci volte tanto e a mantenere così la propria famiglia, a costo magari di trasferirsi in territorio israeliano per diverse settimane consecutive. Edilizia e agricoltura israeliane contavano molto sulla manodopera palestinese.
La revoca dei permessi di lavoro l’11 ottobre ha reso questi lavoratori immigrati irregolari. I padroni di casa che gli affittavano stanze e appartamenti sono diventati passibili di multe o condanne, se scoperti: quasi tutti hanno sfrattato i propri inquilini.
Nell’impossibilità di rientrare a Gaza, ad alcune migliaia di lavoratori, quasi tutti uomini, non restavano molte scelte: qualcuno si è nascosto a casa di amici o conoscenti, altri hanno cercato di entrare in Cisgiordania evitando i checkpoint, altri ancora si sono presentati spontaneamente alla polizia israeliana. Qui sono stati immediatamente arrestati per “immigrazione illegale”: secondo le testimonianze, raccolte fra gli altri dall’Economist, sarebbero stati privati dei pochi oggetti personali, chiusi in celle senza letti con altri 40-50 palestinesi e poi trasferiti bendati e ammanettati in un centro di detenzione militare gestito dalle autorità israeliane a Ramallah, in Cisgiordania. Non è chiaro, invece, quanti siano stati trattenuti in Israele.
HaMoked, una ong israeliana che si occupa di diritti umani e di detenuti palestinesi, ha stimato in 4mila i palestinesi detenuti in centri israeliani in Cisgiordania. Un funzionario dell’Autorità Palestinese, l’entità parastatale che governa la Cisgiordania, ha detto a Reuters che le persone detenute sono circa cinquemila.
Il trasferimento in Cisgiordania degli abitanti di Gaza non è stato concordato e coordinato con l’Autorità Palestinese, che solo in seguito ha organizzato dei campi profughi in università e palestre per chi era riuscito ad arrivare autonomamente (e quindi non detenuto): fra loro anche un centinaio di pazienti che erano in Israele a curarsi, e le loro famiglie.
Quasi tutti un mese dopo sono ancora bloccati in Cisgiordania. Molti hanno mogli, figli e famiglie a Gaza, in condizioni preoccupanti per i bombardamenti. Raccogliere notizie dei parenti e aspettare un trasferimento sono le esigenze principali.
A inizio novembre sono iniziati alcuni rimpatri da parte del governo israeliano. Alcune centinaia di abitanti di Gaza che lo hanno richiesto sono stati fatti rientrare nella Striscia attraverso il varco di Kerem Shalom, nel sud. Nella Striscia hanno trovato spesso condizioni simili a quelle lasciate in Cisgiordania (campi profughi, dipendenza da aiuti per cibo e necessità di base). Inoltre a Gaza, anche nel sud definito “sicuro” dall’esercito israeliano, i bombardamenti sono frequenti, ma molti dei lavoratori hanno comunque preferito stare insieme alle proprie famiglie.