I tanti modi con cui due governi possono mettersi d’accordo tra loro
Trattati, protocolli, memorandum d'intesa, scambio di lettere: la scelta è ampia e le definizioni stesse possono declinarsi in modo diverso
I rapporti tra diversi Stati, o tra gli Stati e gli organismi internazionali, vengono spesso regolati da accordi diplomatici, che però possono avere natura e valore assai diversi. La scelta di che tipo di accordo adottare è sempre molto delicata e importante, perché ne deriva il modo in cui il contenuto dell’accordo verrà attuato, quanto verrà coinvolto il parlamento nella ratifica, se l’accordo potrà essere modificato, sospeso o rinnovato. Inoltre è una scelta con un valore politico: se due governi decidono una forma di accordo più vincolante, dimostrano l’intenzione di rafforzare legami e relazioni. Viceversa, una formula di accordo meno rigida lascia maggiore libertà d’azione ai governi coinvolti, segno del fatto che non vogliono legarsi troppo l’uno all’altro.
Il trattato è lo strumento a cui si fa più spesso riferimento in questi casi. Cosa sia e come funzioni un trattato è abbastanza chiaro: lo stabilisce infatti la Convenzione di Vienna che è stata adottata nel 1969 ed è il principale testo di riferimento in materia. Un trattato è definito «un accordo internazionale concluso per iscritto tra Stati e regolato dal diritto internazionale». La Convenzione, che è appunto un trattato sul funzionamento dei trattati, non è però universalmente riconosciuta. Attualmente gli Stati che l’hanno ratificata o che hanno aderito in via definitiva sono 116, l’Italia lo ha fatto nel 1974. Altri 45 l’hanno sottoscritta senza ratificarla, e tra questi ci sono gli Stati Uniti. Altri paesi, come la Francia, non l’hanno neppure firmata.
Questo dimostra già come, pur in presenza di una disciplina di riferimento che fissa norme generali di diritto (la Convenzione), gli accordi diplomatici abbiano una natura assai mutevole: gli Stati che decidono di fare un accordo hanno una libertà molto ampia di definirlo come meglio credono, di rispettare determinate fonti del diritto internazionale oppure no. Non c’è insomma una prassi omogenea, e anche il lessico usato è piuttosto variegato.
Trattato
È senza dubbio la forma di accordo diplomatico più solida e vincolante. Può essere “multilaterale” se coinvolge più di due Paesi o istituzioni internazionali, come nel caso dei trattati che regolano il funzionamento dell’Unione Europea, oppure bilaterale, se i contraenti sono soltanto due. La Costituzione italiana prevede che il parlamento debba autorizzare con una legge di ratifica l’adozione di trattati internazionali. Talvolta, se due paesi già sono accomunati da un accordo di qualche tipo, e all’interno di questa loro cooperazione vogliono instaurare un legame ancora più stretto, possono aderire a un trattato di cooperazione rafforzata.
Italia e Francia ne fecero uno nel novembre del 2021, il cosiddetto “Trattato del Quirinale”, così chiamato perché è stato firmato dai presidenti Mario Draghi ed Emmanuel Macron nella sede della presidenza della Repubblica, alla presenza di Sergio Mattarella. Non fu un inedito, la Francia aveva firmato un trattato analogo, «sulla cooperazione e l’integrazione», con la Germania nel gennaio del 2019: il Trattato di Aquisgrana.
Peraltro il 22 novembre prossimo è previsto un importante viaggio della presidente del Consiglio Giorgia Meloni con alcuni ministri del suo governo: se il programma verrà confermato, andranno a Berlino per la firma di un “Piano d’azione”, che tuttavia sul piano giuridico è meno importante e vincolante di un trattato bilaterale.
Scambio di lettere
A un livello più basso del trattato in una ipotetica scala gerarchica degli accordi diplomatici, c’è lo scambio di lettere (scambio di note, in gergo). È meno articolato rispetto a un trattato tra due Stati, ma anche in questo caso l’accordo ha una natura vincolante. Il nome indica esattamente la procedura che viene seguita: uno dei due contraenti invia una lettera, a cui l’altro risponde con un atto che riproduce per intero la nota ricevuta e vi si dichiara d’accordo. Ovviamente alla base di questo scambio di lettere c’è un lavoro diplomatico precedente, che prepara e rende possibile la conclusione dell’intesa.
Memorandum d’intesa
Ci sono poi altre forme di accordo diplomatico meno vincolanti. Una di queste, e forse la più diffusa, è il “Memorandum d’intesa”, a cui talvolta ci si riferisce con l’acronimo inglese MoU (Memorandum of Understanding). È un accordo normato più che altro da prassi e convenzioni, e viene definito come la riproduzione scritta di precedenti intese definite a livello orale. Ma è una definizione piuttosto vaga. Il memorandum d’intesa è, più genericamente, lo strumento a cui di solito ricorrono due governi quando vogliono avviare una collaborazione politica o commerciale, ma senza darle caratteri troppo vincolanti. Ha certamente un valore politico significativo, ma è meno solido sul piano giuridico.
In tempi recenti l’Italia ha firmato un memorandum d’intesa con la Cina sulla Belt and Road Initiative, nota anche come “Via della Seta”. Fu voluto dal primo governo di Giuseppe Conte, sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle, e in particolare dal ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro Luigi Di Maio, che all’epoca era anche il leader del M5S. Fu lui a firmare il memorandum nel marzo del 2019. E fu una scelta controversa, visto che l’Italia fu il primo paese fondatore dell’Unione Europea a firmare un simile accordo con la Cina ed è tutt’ora l’unico paese del G7 ad averlo fatto.
L’adesione italiana a questo progetto politico e commerciale ha peraltro generato tensioni diplomatiche con alleati storici come gli Stati Uniti. Anche per questo il governo Meloni ha annunciato che non verrà rinnovato il memorandum, che ha durata di cinque anni e si rinnova automaticamente a meno che uno dei due contraenti non comunichi la volontà di recedere con almeno 3 mesi d’anticipo rispetto alla scadenza. La data limite, per l’Italia, è dunque il 23 dicembre. Meloni ha lasciato intendere che sarà il parlamento a doversi esprimere in tal senso con una seduta dedicata, al momento non ancora fissata.
È un memorandum d’intesa anche un altro accordo italiano controverso, quello con le autorità libiche finalizzato a ridurre i flussi di migranti diretti in Italia dalla Libia. Il memorandum prevede, tra l’altro, la fornitura di attrezzatura e mezzi tecnici e militari alla guardia costiera libica, accusata da diverse associazioni non governative di pratiche illegali, abusi e torture ai danni degli stessi migranti. L’accordo venne firmato nel febbraio del 2017 dal presidente del Consiglio italiano dell’epoca, Paolo Gentiloni, e dall’allora presidente del Consiglio presidenziale libico, Fayez Serraj. Ha una durata triennale e una procedura di rinnovo automatico che è già scattata due volte: l’ultima nel febbraio scorso, quando la validità del memorandum è stata prorogata fino al 2026.
Protocollo
L’Italia ha adottato proprio questo strumento per definire l’intesa con l’Albania sulla gestione dei migranti. Viene utilizzato quando si vogliono integrare o definire meglio alcuni accordi non particolarmente vincolanti già esistenti, e che dunque possono essere modificati o ampliati senza correggere i testi originari. Nel caso specifico Italia e Albania avevano già firmato un “Trattato di amicizia e collaborazione” nel 1995, e un protocollo tra i rispettivi ministeri dell’Interno per collaborare nel contrasto al terrorismo e alla tratta di esseri umani nel 2017. A sua volta, il protocollo può essere integrato da ulteriori regolamenti o accordi specifici. Ed è proprio ciò che è avvenuto con l’accordo sui migranti con l’Albania: questa integrazione presenta ancora vari punti non ancora definiti, su cui il testo del protocollo prevede che si intervenga in seguito con ulteriori disposizioni.
Concordato
È un tipo di accordo tra governi che può avere diverse forme e declinazioni: con questo nome si può definire sia un Trattato sia un’intesa meno vincolante. Il concordato è di solito lo strumento a cui ricorre la diplomazia dello Stato vaticano per definire accordi con altri Paesi o istituzioni internazionali.
Dichiarazione, dichiarazione congiunta e altri accordi
Di solito la dichiarazione congiunta viene utilizzata al termine di un incontro internazionale, quando i partecipanti vogliono fissare le conclusioni delle riunioni. Serve per evidenziare la comunanza d’intenti, ma può contenere anche passaggi sul fatto che questa comunanza, riguardo ad aspetti specifici, non sia stata raggiunta. In questi casi si può adottare anche un “atto finale”, allo stesso scopo.
Con il termine “dichiarazione”, però, ci si riferisce spesso anche a documenti emanati da istituzioni o organizzazioni internazionali nei quali si fissano norme generali, a cui i vari Stati aderenti decidono di adeguarsi accogliendo o ratificando l’atto. In questo senso, la dichiarazione è simile alla convenzione.
Formalmente fu una dichiarazione anche uno degli accordi più rilevanti degli ultimi decenni, di cui si è tornati a parlare dopo l’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre scorso e i successivi combattimenti che hanno rianimato il conflitto in queste settimane. Gli accordi di Oslo tra Israele e Palestina furono infatti una “Dichiarazione di principi sulle intese per un auto-governo ad interim”, firmata a Washington da Yitzhak Rabin e Yasser Arafat il 13 settembre del 1993. La firma fu preceduta da uno scambio di lettere.
Ci troviamo quindi di fronte a una dichiarazione, arrivata al termine di uno scambio di lettere, definita tradizionalmente accordi: dimostrazione del fatto che il lessico utilizzato in diplomazia sia mutevole, e dipenda anche da scelte estemporanee e arbitrarie da parte dei singoli governi o delle istituzioni internazionali coinvolte. Nel tentativo di indicare i nomi dei vari possibili accordi, nel 2013 il ministero della Difesa italiano pubblicò alcune linee guida dove venivano elencati 13 diversi tipi di accordo suddivisi in 10 categorie. Il dipartimento federale degli Affari esteri svizzero, nel 2015, ne ha individuate addirittura 29. Tra questi ci sono accordi anche molto laschi, come la lettera d’intenti o il cosiddetto modus vivendi, che definiscono un’intesa temporanea.
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