La crisi dei “late night show” americani
Le trasmissioni serali in cui i comici intervistano le celebrità da anni perdono spettatori e non sanno come reinventarsi
A inizio novembre Stephen Colbert, presentatore di un seguito talk show serale che va in onda sulla rete statunitense CBS, ha annunciato che a partire dal 2024 la comica e attrice Taylor Tomlinson condurrà il nuovo programma After Midnight. Tomlinson andrà in onda subito dopo Colbert, nella fascia oraria che comincia a mezzanotte e trentasette minuti e che, fino allo scorso 27 aprile, era stata occupata dal Late Late Show condotto dall’attore britannico James Corden.
Tomlinson sarà l’unica donna a condurre un late night show, il tipico formato di talk show della tv americana in cui, in seconda serata, un conduttore che di solito ha una formazione da comico fa battute sull’attualità e intervista celebrità varie, accompagnato da una band che si occupa degli stacchi musicali. Probabilmente Tomlinson è stata scelta perché, negli ultimi mesi, Corden era percepito negativamente dal pubblico, soprattutto sui social, dove veniva spesso criticato per il suo stile di conduzione e anche per i ruoli interpretati in alcuni film, considerati da molti offensivi e stereotipati.
Affidare la conduzione di un late night show a un profilo come quello di Tomlinson, una donna giovane e con poca esperienza televisiva, è un fatto abbastanza inconsueto negli Stati Uniti. Nella storia di questo format televisivo, le donne che hanno avuto un ruolo del genere sono state pochissime: dopo l’attrice e comica Joan Rivers, che nel 1986 presentò un late night show di poche puntate sulla Fox, per più di trent’anni questi programmi sono stati condotti quasi esclusivamente da uomini.
In tempi più recenti le uniche eccezioni sono state quelle della comica Samantha Bee, che fino all’anno scorso conduceva il programma Full frontal with Samantha Bee (TBS), e della youtuber e cantante canadese Lilly Singh, che nel 2019 sostituì Carson Daly in uno show della fascia oraria notturna della NBC. Ai tempi, un po’ come sta accadendo a Tomlinson in questi giorni, Singh era stata percepita come il simbolo di una possibile “rivoluzione” dei late night show. La scelta di affidare un programma tradizionalmente maschile a una donna di origini asiatiche, dichiaratamente bisessuale e senza un passato televisivo consolidato alle spalle fu considerata coraggiosa e lungimirante: venne interpretata come un tentativo, da parte della NBC, di intercettare un pubblico più giovane e poco interessato ai late night show.
Come Tomlinson, anche Singh sembrava la figura giusta per provare a rinnovare un format televisivo che, da anni, viene considerato anacronistico e monotono da parte sempre crescente del pubblico americano. Il programma, però, andò in onda soltanto per due stagioni: Singh non riuscì mai a pareggiare gli ascolti mediamente registrati da Daly negli anni precedenti, e nel 2021 la trasmissione fu cancellata.
I talk show serali sono uno dei formati più longevi e di successo della televisione mondiale, e nacquero negli Stati Uniti negli anni Quaranta. Conduttori come Ed Sullivan, Johnny Carson e Steve Allen definirono i canoni del talk show serale negli anni Cinquanta e Sessanta, ospitando star del cinema, della musica e della cultura popolare, e fissando nell’immaginario collettivo elementi come la scrivania del conduttore, la band e gli stacchetti musicali, i monologhi comici introduttivi, le risate del pubblico in studio.
Negli anni Ottanta i talk show serali statunitensi diventarono più simili a quelli che conosciamo oggi grazie ai programmi di David Letterman, Jay Leno, Larry King e Arsenio Hall, e dagli anni Novanta in poi i programmi e i conduttori aumentarono notevolmente. Sono storicamente trasmissioni economiche per le reti televisive, che garantiscono facilmente molte ore di programmazione e un rendimento di solito costante in termini di ascolti. È un genere diffuso anche in altri paesi, con formule un po’ diverse, ma è tipicamente americano: in Italia nel tempo diverse reti hanno provato a riproporlo, di solito senza grande successo in termini di ascolti.
Negli anni Dieci, nonostante il ritiro di molti conduttori storici della tv americana, una nuova generazione di comici permise alle principali reti di mantenere il formato senza grandi rivoluzioni. Stephen Colbert, Jimmy Fallon, Jimmy Kimmel, Conan O’Brien, Jon Stewart e Trevor Noah hanno costruito format apprezzati e con delle proprie unicità, che almeno fino all’elezione di Donald Trump avevano garantito buoni ascolti. Da allora, e ancora di più dopo la pandemia, i late night show hanno perso costantemente spettatori, entrando in una crisi che praticamente nessuno ha saputo invertire.
Il calo degli ascolti ha determinato anche una diminuzione degli introiti che questi programmi erano in grado di generare fino a qualche anno fa. Secondo le stime pubblicate da Kantar, una società che si occupa di fornire dati sui ricavi pubblicitari, nei primi sei mesi del 2022 le entrate generate dai talk show notturni sono diminuite del 19% rispetto al primo semestre dell’anno prima, passando da 301 a 253 milioni di dollari.
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Recentemente, i late night show hanno peraltro attraversato un ulteriore periodo di difficoltà a causa dello sciopero che la Writers Guild of America, l’associazione che rappresenta oltre 11mila sceneggiatori che lavorano a Hollywood, ha portato avanti per 148 giorni, dal 2 maggio al 27 settembre. Lo sciopero aveva coinvolto anche gli autori e le autrici che si occupano della scrittura di alcuni dei late night show che vanno in onda sulle emittenti statunitensi più famose, come il Late Show with Stephen Colbert (CBS), il Jimmy Kimmel Live! (ABC) e il Tonight Show Starring Jimmy Fallon (NBC). Dopo un periodo di sospensione le trasmissioni sono ripartite lo scorso 9 ottobre, ma con dati di ascolto poco esaltanti: nel giorno del ritorno in onda il late night show più visto negli Stati Uniti è stato quello di Colbert, con circa due milioni e 700mila spettatori. Quattro anni fa gli spettatori che seguivano il programma erano mediamente almeno un milione in più, peraltro in un contesto in cui si parlava già frequentemente di “crisi dei late night show”.
Anche le vicende che hanno riguardato alcuni presentatori americani hanno contribuito a intaccare la reputazione dei late night show. Ad esempio, a settembre Jimmy Fallon aveva fatto parlare di sé per per via di alcune accuse che gli erano state rivolte da alcuni ex e attuali collaboratori, che stridevano con l’immagine di conduttore televisivo gioviale e sempre allegro a cui era associato. Stando alle loro testimonianze, raccolte da Rolling Stone, Fallon avrebbe creato un clima di lavoro «tossico», intimidito le persone che lavorano con lui attraverso minacce di vario tipo e sottoposto diversi dipendenti a delle «umiliazioni». Peraltro, gli ascolti di Fallon sono in calo da molto tempo: nel 2014, quando debuttò come presentatore del Tonight Show, riusciva a catalizzare l’attenzione del pubblico raggiungendo picchi di 14 milioni di spettatori. Negli anni successivi il suo seguito diminuì progressivamente, fino a scendere sotto la soglia del milione di spettatori nel 2019.
I late night show hanno avuto poco successo anche su quelle piattaforme di streaming che hanno provato a inserirli nel loro catalogo. Ad esempio, negli ultimi anni Netflix ne ha creati di propri, affidandoli a conduttori e conduttrici di esperienza come Chelsea Handler, Hasan Minhaj, Michelle Wolf e Joel McHale, ma in tutti i casi sono stati così poco seguiti che, alla fine, i produttori hanno deciso di abbandonare il formato. Anche Hulu, un servizio di streaming attivo negli Stati Uniti, ha tentato di proporre al pubblico un suo late night show condotto dalla famosa comica Sarah Silverman, ma il programma è stato cancellato dopo soli 21 episodi.
Apple TV ha a sua volta investito in questo settore assoldando lo storico conduttore del Daily Show Jon Stewart, comico di culto negli Stati Uniti per il suo stile acuto e il suo orientamento politico di sinistra. Watch The Problem, il suo late night show su Apple Tv, è andato meglio di altri esperimenti analoghi, ma anche in questo caso i risultati sono al di sotto delle aspettative e il programma non ha acquisito una vera rilevanza nel dibattito pubblico americano. Rilevanza che invece, per esempio, ha ancora il comico inglese John Oliver, che conduce ogni domenica sera un programma di approfondimento su HBO e che però non segue la tradizionale formula della chiacchierata con un ospite, ma propone ogni puntata un monologo su una notizia diversa.
I problemi riguardano anche la minore resa di alcune caratteristiche tipiche dei late night show: ad esempio l’attenzione mediatica che il monologo iniziale, uno degli aspetti più rappresentativi di questi programmi, riusciva a catalizzare fino a qualche anno fa, quando i talk show notturni andavano in onda soltanto in televisione, non è replicabile nell’era dello streaming. Prima era un momento imperdibile da guardare in un momento preciso, oggi non ha una vera scadenza e può essere recuperato in qualsiasi momento.
Secondo Gavin Purcell, sceneggiatore che ha lavorato per anni al Tonight Show di Fallon, il calo di attenzione verso questi programmi sarebbe un’evoluzione naturale: fino a qualche anno fa, quando andavano in onda late night show famosi come quello di David Letterman, gli spettatori sviluppavano un legame diverso con il presentatore di turno, più profondo e in un certo senso “familiare”. Inoltre i late night show avevano pochissima concorrenza, e spesso rappresentavano l’unica alternativa di intrattenimento per gli spettatori che rimanevano svegli fino a tarda notte. Oggi l’offerta di contenuti è molto ampia e diversificata, e generare interesse attorno a programmi di questo tipo è diventato più difficile: invece di guardare un programma a un’ora prestabilita della giornata, il pubblico contemporaneo preferisce guardare ciò che vuole in qualsiasi momento.
Altri attribuiscono il calo di interesse per i late night show agli effetti del primo mandato di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti, quando i conduttori iniziarono a dedicare un’attenzione morbosa alla sua vita privata e politica. I programmi smisero di occuparsi dei temi che trattavano abitualmente, come le vicende di Hollywood e quelle dell’industria discografica, per concentrarsi eccessivamente sulla politica, in un periodo in cui l’attenzione mediatica verso Trump era già altissima. Di conseguenza, quando i late night show andavano in onda, i potenziali spettatori sceglievano di non guardarli, perché in larga parte ne avevano abbastanza di sentire parlare di Trump.
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Per rendere l’idea, una ricerca di Robert Lichter, professore di comunicazione politica e sociologia alla George Mason University di Fairfax, in Virginia, ha stimato che nel 2017 i presentatori dei late night show dedicarono a Trump più di 3.100 battute. Per fare un paragone, ricorda sempre Lichter, nel 1998, l’anno del cosiddetto “sexgate” (lo scandalo che coinvolse l’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton a causa della sua relazione con Monica Lewinsky, una stagista di 25 anni), le battute dedicate a Clinton furono “soltanto” 1.700. A subire le conseguenze della presidenza Trump fu soprattutto Fallon, che in una famosa intervista prima delle elezioni del 2016 scompigliò scherzosamente i capelli del futuro presidente degli Stati Uniti, allora in campagna elettorale. La gag non piacque a moltissimi telespettatori, e Fallon venne criticato per anni per aver tenuto un comportamento ritenuto troppo amichevole e accomodante verso Trump.