C’è agitazione al Centro Pompidou
I dipendenti dello spazio espositivo parigino scioperano perché non sanno che fine faranno durante e dopo la lunga chiusura prevista tra il 2025 e il 2030
Nelle ultime settimane uno dei principali spazi espositivi e centri culturali di Parigi, il Centro Pompidou, è stato chiuso al pubblico per diversi giorni per uno sciopero indetto per chiedere maggiore chiarezza su cosa succederà a circa un migliaio di lavoratori durante la lunga chiusura, tra il 2025 e il 2030, prevista per permettere i lavori di ristrutturazione.
Progettato da Renzo Piano e Richard Rogers, il Centro Pompidou è uno degli edifici più visitati e riconoscibili di Parigi per via della decisione degli architetti di posizionare i tubi dell’acqua e i condotti dell’impianto di aerazione, colorati, all’esterno dell’edificio, così come per la scala mobile a tubo che si utilizza per entrare, esterna alla facciata. All’inizio del 2021 fu annunciato che sarebbe stato chiuso per tre anni, tra il 2023 e il 2026, per permettere lo svolgimento di diversi interventi di manutenzione, come l’ammodernamento degli impianti di aerazione e riscaldamento e la rimozione di alcuni elementi in amianto. Si tratta degli interventi più grossi sulla struttura dell’edificio dopo quelli realizzati durante la chiusura del 1997, che avevano permesso di ampliare lo spazio espositivo.
La scelta di chiudere completamente l’edificio, invece di tenerlo parzialmente aperto durante i lavori, era stata presa per ridurre i tempi e i costi dell’operazione. A ottobre del 2021 il neoeletto presidente del Centro, Laurent Le Bon, aveva spostato la data di chiusura al 2025 per permettere alle tantissime persone che arriveranno a Parigi per le Olimpiadi dell’estate del 2024 di visitarlo. In quell’occasione Le Bon aveva anche detto che l’idea di riuscire a completare i lavori entro tre anni, come previsto in precedenza dal governo, gli sembrava un po’ troppo ambiziosa, e aveva allungato il periodo di altri due anni, fino al 2030.
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Durante la chiusura i visitatori potranno comunque fruire di una parte dei servizi offerti dal Centro: i 400mila libri della Bibliothèque Publique d’Information, una delle più grandi biblioteche pubbliche della città, verranno temporaneamente ospitati in un edificio nel dodicesimo arrondissement, Le Lumière, mentre le opere attualmente esposte al Museo Nazionale d’Arte Moderna saranno spostate in altri musei parigini e francesi, e in alcuni casi all’estero.
Non è invece certo cosa succederà ai dipendenti del Centro: gli unici che sanno per certo dove lavoreranno in quel periodo sono i lavoratori della Bibliothèque e quelli dell’Istituto di ricerca e coordinamento in acustica/musica. Quasi mille altre persone – amministratori e personale di sala, ma anche restauratori e altri dipendenti – non sanno invece dove andranno a finire, e non sono nemmeno sicure che continueranno ad avere un lavoro a tempo pieno dal 2025.
Per questo, dal 16 ottobre alcuni dipendenti che fanno parte dell’Unione nazionale dei musei e dei beni immobili – che a sua volta fa parte della Confederazione generale del lavoro (CGT), uno dei cinque principali sindacati francesi – hanno indetto uno sciopero, costringendo alla chiusura dell’intero Centro per diversi giorni. Chiedono che il salario e i bonus dei dipendenti rimangano gli stessi anche durante il periodo di chiusura, e che sia assicurato loro che torneranno a lavorare al Centro Pompidou una volta riaperto.
La CGT ha detto di aver incontrato la direzione del Centro e alcuni rappresentanti del governo francese negli ultimi mesi per cercare di garantire che tutti i lavoratori mantenessero il proprio posto di lavoro, senza riuscire a ottenere risultati soddisfacenti né le garanzie scritte che stanno domandando. «Dopo numerosi incontri, il ministero della Cultura e la presidenza del Centre Pompidou non sono in grado di dirci quando, come e dove andranno i lavoratori, le collezioni del museo e tutte le attività che formano l’identità del Centro», ha detto il sindacato in un comunicato prima di annunciare una prima giornata di sciopero il 16 ottobre. «Questa mancanza di direzione ci costringe a scioperare per uscire da questa situazione di opacità». Due settimane dopo, il 5 novembre, il segretario generale del sindacato CFDT-Culture Alexis Fritche ha però detto a Le Monde che «la situazione è impantanata e non abbiamo ancora trovato una via d’uscita».
Per ora Le Bon ha promesso – non per iscritto – che «tutto il personale con contratto a tempo indeterminato e i dipendenti pubblici in servizio al momento della riapertura saranno reintegrati nei loro posti di lavoro o in posizioni corrispondenti alle loro competenze», e che nel frattempo il personale sarà riassegnato tra alcuni magazzini del nord di Parigi, la nuova filiale di Massy, la cui apertura è prevista per l’estate 2026, e il Grand Palais, altro enorme spazio espositivo parigino dove dal 2025 il Centre Pompidou potrà ospitare mostre in uno spazio di circa 2.800 metri quadrati.
Secondo il presidente del Centro si tratta già «di una proposta eccezionale e unica»: ha dato l’esempio del Pergamonmuseum di Berlino, «che resterà chiuso per 14 anni senza alcuna soluzione di questo tipo per i dipendenti». I sindacati rimangono però sospettosi per via del fatto che la dirigenza si è finora rifiutata di scrivere queste promesse in un documento vincolante.
Dopo la partecipazione iniziale di 209 persone allo sciopero, le proteste si sono ristrette a una quindicina di lavoratori, ma Le Monde scrive che tra i dipendenti del Centro circola comunque un malessere più ampio, legato soprattutto alla percezione che Le Bon non si interessi al loro futuro e non ascolti i loro consigli su questioni di cui sono esperti. Per esempio, Le Bon ha deciso che una parte dell’edificio – le gallerie sud, molto amate dai visitatori del Centro perché offrono una vista notevole sul resto della città – smetterà di essere uno spazio espositivo e verrà convertito un po’ in un centro commericale, un po’ in un ristorante. Secondo Le Monde, i dipendenti che si occupano delle mostre non sono stati inclusi nel processo decisionale.
Un altro esempio fornito da Le Monde è quello dei restauratori, che avrebbero più volte fatto presente che sarebbe meglio non spostare più volte le opere, data la loro fragilità. Al momento, invece, è previsto che le circa 100mila opere attualmente esposte o conservate nella sede centrale del Centre Pompidou saranno prima trasferite in diversi magazzini a nord di Parigi nel 2025, e poi nuovamente spostate nella nuova sede di Massy alla fine del 2026. I sindacati si chiedono perché fare due traslochi molto costosi, con il rischio di danneggiare le opere, quando si potrebbe posticipare di sei mesi la chiusura e spostare la collezione una sola volta.
Soltanto quest’anno diversi dipinti che il Centre Pompidou ha prestato a un museo di Shanghai sono stati danneggiati, un po’ negli spostamenti, un po’ per via di precauzioni insufficienti nel presentare le opere al pubblico da parte dell’istituto cinese. Sia il dipinto La Ville de Paris (1910-1912) di Robert Delaunay che Composition à la Main et aux Chapeaux (1927) di Fernand Léger sono stati danneggiati dopo che dei visitatori sono inciampati, cadendoci addosso perché il museo non li aveva protetti dietro a un vetro.
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