Trump ha provato a trasformare una testimonianza in un comizio
Nel processo per truffa di New York: il giudice si è irritato e ha cercato di limitarlo, con molta fatica
Donald Trump ha testimoniato lunedì a New York nella causa civile per truffa in cui è imputato insieme ai tre figli e ad altri dirigenti della sua azienda, la multinazionale Trump Organization. Trump doveva provare a spiegare presunte attività illecite nel periodo compreso tra il 2011 e il 2021, ma la sua deposizione si è presto trasformata nel tentativo di tenere un comizio politico, limitato a fatica dal giudice Arthur F. Engoron.
Trump è stato aggressivo, ha insultato i rappresentanti dell’accusa e ha attaccato il giudice, accusandolo di essere prevenuto. Ha risposto in modo evasivo alle domande aggiungendoci lunghe digressioni, ha esaltato le sue capacità imprenditoriali e sostenuto di essere oggetto di una persecuzione politica. Anche dal banco dei testimoni di una causa che potrebbe portarlo a un risarcimento da 250 milioni di dollari ha mantenuto la sua retorica invadente, usata per le esternazioni sui social network o durante i comizi elettorali. Il giudice di New York che gestisce il processo e dovrà emettere la sentenza ha provato a limitarlo. Il New York Times ha scritto: «Ha cercato di fare quello che Hillary Clinton, una serie di quotatissimi moderatori di dibattiti televisivi e persino i suoi avvocati non sono mai riusciti a ottenere: farlo smettere di parlare».
L’ex presidente e candidato alla presidenza nel 2024 ha quattro processi penali attualmente in corso: quello di New York è invece un processo civile. Secondo l’accusa, Trump, i suoi tre figli e i dirigenti dell’azienda avrebbero manipolato la valutazione degli immobili della società di famiglia, aumentandola di diversi miliardi di dollari per ingannare i finanziatori, i broker assicurativi e le autorità finanziarie, e ottenere così tassi migliori sui prestiti bancari e sulle polizze assicurative. La procura di New York ritiene che con queste pratiche illecite la società abbia guadagnato circa 250 milioni di dollari, che punta a recuperare con questa causa. Trump potrebbe anche essere condannato al divieto di intraprendere attività imprenditoriali nello stato di New York.
Durante la testimonianza ha ammesso di aver contribuito alla redazione dei documenti finanziari inviati alle banche (o supervisionato gli stessi), sminuendone però l’importanza e sostenendo che le banche stesse non si basassero particolarmente su quei documenti. Anche prima di essere chiamato a testimoniare Trump aveva presenziato ad alcune delle sedute del processo, confermando un particolare interesse per una causa che riguarda un tema per lui centrale: la difesa della sua immagine di uomo di successo basata sulle sue grandi possibilità economiche.
A questo riguardo in alcune delle sue risposte Trump ha sminuito la tesi dell’accusa di aver gonfiato le sue rendite, sostenendo che fossero invece sottostimate, perché non comprendono il «valore del mio brand personale»: «Sono diventato presidente grazie al mio brand. Ho venduto libri in una quantità che è incredibile grazie al mio brand». Una delle accuse è anche di aver sovrastimato le sue proprietà immobiliari: anche durante il processo Trump ha mostrato di non riuscire a limitare le esagerazioni. Parlando del suo appartamento nella Trump Tower ha prima indicato la grandezza corretta, mille metri quadri, ma poi durante la testimonianza la metratura è diventata 1.100 e poi 1.200.
Alcune digressioni non richieste per esaltare le sue proprietà hanno irritato il giudice: l’ex presidente ha parlato a lungo della sua residenza in Florida a Mar-a-Lago, definendola «incantevole, di lusso, un successo», e ha rivolto quella che i giornali statunitensi definiscono «un’ode appassionata» al campo da golf costruito vicino a Aberdeen, in Scozia: «È un’espressione artistica, il più grande campo da golf mai costruito». Quando Trump ha anche aggiunto che Aberdeen va considerata la «capitale europea del petrolio» il giudice Engoron è sbottato: «Irrilevante, irrilevante. Risponda alla domanda».
Soprattutto nella prima parte della giornata il giudice Engoron, 74 anni, si è mostrato molto infastidito dalla tendenza di Trump a dare lunghe risposte, molto evasive: «Risponda solo alle domande, nessun comizio per favore». Non ha ottenuto l’effetto desiderato e dopo un nuovo richiamo («Siamo in un’aula di tribunale, non in campagna elettorale») ha invitato il suo avvocato a «moderare il suo cliente». L’avvocato Kise ha rifiutato: «L’ex, nonché prossimo, Comandante in capo conosce le regole dell’aula e non ha bisogno di ulteriori istruzioni». A un certo punto Engoron ha anche minacciato di chiudere anzitempo la sua testimonianza, «deducendo il peggio» da ogni sua risposta non data. Poi nonostante le cose non fossero particolarmente cambiate ha mostrato meno rigidità, accogliendo le digressioni nel pomeriggio solo con qualche battuta e molte espressioni di fastidio.
Particolarmente riportato è stato un passaggio in cui a Trump veniva chiesto conto di documenti finanziari del 2021. Il candidato Repubblicano ha risposto: «La mia attenzione era concentrata sulla Cina, sulla Russia e sulla sicurezza del nostro paese». L’avvocato che lo stava interrogando gli ha ricordato che a quell’epoca non era più presidente: «È vero, non lo ero», ha abbozzato Trump.
Trump durante la giornata si è mostrato frustrato, irritato, ma anche orgoglioso, annoiato e distratto, si è più volte riferito alla procuratrice Letitia James come all’autrice di un «boicottaggio politico», ha definito il processo «folle, ingiusto, una truffa» e ha attaccato lo stesso giudice Engoron, che prima del processo si era pronunciato su una causa con rito abbreviato per l’accusa di frode fiscale: «Ha detto che sono un truffatore, e non sa niente di me!».
Ha più volte ripetuto di essere oggetto di un attacco politico, e in generale è sembrato utilizzare anche questo processo come un’occasione per mostrarsi vittima di un accanimento giudiziario guidato dalla volontà di affossarne le ambizioni politiche: «Spero che la gente stia vedendo», ha detto durante la testimonianza.
Questo atteggiamento sembra fin qui fare piuttosto presa sul suo elettorato: nonostante i numerosi processi in cui è impegnato, alcuni legati anche al tentativo di sovvertire il risultato delle elezioni e quindi le strutture democratiche, il suo consenso all’interno dell’elettorato Repubblicano sembra in crescita. Trump è oggi largamente in testa in tutti i sondaggi sulle primarie del Partito Repubblicano e un recente sondaggio del New York Times lo indica in vantaggio anche nei confronti di Joe Biden in alcuni degli stati chiave per l’elezione del presidente. Le elezioni presidenziali negli Stati Uniti saranno tra un anno quasi esatto, il 5 novembre 2024, e molte cose possono cambiare nel frattempo.
– Leggi anche: Le inchieste contro Donald Trump, in ordine