I comuni nel viterbese senza acqua potabile
Ronciglione e Caprarola la prendono dal lago di Vico, inquinato anche per via di un ex deposito militare e dei pesticidi usati nei noccioleti
di Angelo Mastrandrea
Chianello è una frazione di Ronciglione, un comune di poco più di ottomila abitanti in provincia di Viterbo. Una mattina di fine ottobre alcuni abitanti della località erano in fila davanti a un distributore a pagamento di acqua installato dal comune. Quando è arrivato il loro turno, hanno pagato in contanti o con una tessera ricaricabile, premuto il tasto «frizzante» o «naturale» e riempito le loro bottiglie che si erano portati da casa. L’acqua costa cinque centesimi ogni litro e mezzo e l’apparecchio non dà il resto. «Siamo costretti a pagarla due volte, quando ci arriva la bolletta e quando veniamo a prenderla qui», dice Raimondo Chiricozzi, un ex ferroviere in pensione che la compra al distributore o al supermercato perché con quella del rubinetto di casa sua non si fida a farci quasi niente: «A volte esce nerastra e puzza», dice.
L’acqua che arriva nelle case dei cittadini di Ronciglione e della vicina Caprarola, in tutto meno di 14mila abitanti, non è potabile. Viene prelevata a quindici metri di profondità nel vicino lago di Vico, un’antica caldera vulcanica in cui sono presenti grandi quantità di arsenico, una sostanza che si diluisce nell’acqua divenendo inodore, incolore e insapore, ma che a grandi dosi è dannosa per la salute. Il Dipartimento di epidemiologia della Regione Lazio spiega che se si beve per lungo tempo acqua che contiene quantità superiori ai limiti indicati dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), cioè 10 microgrammi per litro, esistono «documentati effetti negativi su riproduzione, malattie neurologiche, cardiovascolari, respiratorie, diabete e tumori». Le analisi periodiche svolte dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPA) e dall’ASL di Viterbo hanno trovato quantità di arsenico fino a 127 microgrammi per litro.
L’acqua del lago di Vico è inquinata anche dai metalli pesanti provenienti da un ex deposito di armi chimiche dell’esercito e che si trovano nei sedimenti del fondale, dai fertilizzanti e dai pesticidi utilizzati nei noccioleti della zona e, in misura minore, dagli scarichi degli stabilimenti turistici. Lo hanno stabilito le analisi dell’ARPA e dell’ASL di Viterbo, altre analisi realizzate da associazioni ambientaliste, ma anche le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione Europea, del TAR del Lazio, del Consiglio di Stato. E due ordinanze comunali mai revocate, una del 2012 a Caprarola e la seconda del 2015 a Ronciglione.
Nel 2018 l’ARPA ha analizzato in maniera approfondita e in punti diversi il fondale del lago, trovando nei sedimenti «valori anomali» di arsenico, di cadmio e di nichel. Ha ipotizzato tre possibili cause di contaminazione: il contesto geologico, quindi un’eventuale origine vulcanica dell’arsenico, «l’utilizzo di fitofarmaci e nutrienti in attività agricole, principalmente la coltivazione del nocciolo», gli «insediamenti turistico-residenziali» con i loro scarichi e infine «le attività svolte all’interno dell’ex magazzino materiali Difesa NBC [nucleare, batteriologico, chimico, ndr]» che fu attivo dalla fine degli anni Trenta ai primi anni Ottanta.
La Commissione Europea ha aperto una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia proprio per il caso dell’acqua di Ronciglione e di altri comuni del viterbese che hanno quantità elevate di arsenico nelle falde acquifere. A gennaio del 2023 ha rimandato il giudizio alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, sostenendo che «da molto tempo i livelli di arsenico e fluoruro nell’acqua potabile superano i valori parametrici stabiliti dalla direttiva sull’acqua potabile: ciò può danneggiare la salute umana, soprattutto quella dei bambini». Per risolvere il problema, la Regione Lazio ha fatto installare dei filtri per l’arsenico negli impianti di potabilizzazione, ma nonostante le misure adottate la quantità che finisce nell’acquedotto è considerata ancora troppo elevata. Il 7 settembre i giudici europei hanno condannato l’Italia per non aver «adottato i provvedimenti necessari per ripristinare la qualità delle acque destinate al consumo umano». I comuni interessati e citati nella sentenza sono Ronciglione, Bagnoregio, Civitella d’Agliano, Fabrica di Roma, Farnese e Tuscania, tutti in provincia di Viterbo.
Le ultime analisi dell’ARPA del Lazio e dell’ASL di Viterbo sono del 2 novembre e hanno registrato valori non superiori alla soglia dei 10 microgrammi per litro sia nell’acqua che proviene dal lago di Vico che in quella prelevata da un’altra falda sul vicino monte Fogliano.
Nei mesi di maggio e giugno alcune zone del lago si sono inoltre colorate di rosso a causa di una fioritura di alghe anomala. Era già accaduto ad aprile e a settembre del 2022 e l’ARPA, nei dati sulla balneabilità dei laghi laziali, aveva denunciato «elevati valori di cianobatteri», organismi unicellulari, chiedendo al comune di informare la popolazione. L’associazione ambientalista Legambiente ha prelevato diversi campioni di acqua in tre punti del lago. Dalle analisi è risultata una scarsità di ossigenazione «causata dalla forte presenza di azoto e fosforo derivanti dal modello circostante di coltivazione intensiva».
Percorrendo le stradine sconnesse e a tratti sterrate che girano intorno al lago per 24 chilometri, si attraversa un’unica grande foresta di noccioli disposti in file ordinate. I noccioleti arrivano fin quasi dentro l’acqua e risalgono verso le colline. Gran parte delle nocciole coltivate qui viene poi venduta alla multinazionale dolciaria Ferrero. Fino a qualche anno fa la coltivazione della nocciola tonda gentile tipica del viterbese si alternava con altre produzioni, lungo la collina c’erano molti castagneti. Più in basso, nell’area del bacino che dal 1992 è riserva naturale regionale, c’erano frutteti e campi di ortaggi. Da quando nel 2018 la Ferrero ha annunciato di voler aumentare la quota di nocciole italiane nei propri prodotti, a partire dalla Nutella, tutti gli agricoltori locali hanno convertito le colture e molti imprenditori hanno investito nell’acquisto di grandi terreni, convertendo in noccioleti 21.700 ettari di campi agricoli.
Le coltivazioni circondano per due terzi il lago di Vico e ne occupano l’intero bacino fino alla riva. All’inizio di novembre la raccolta era finita e per strada non si incontrava nessuno. I campi erano recintati e su alcuni alberi gli agricoltori avevano cartelli con l’indicazione dei trattamenti effettuati e dei pesticidi utilizzati.
Appena fuori da Ronciglione ci sono alcuni stabilimenti turistici con spiagge che costeggiano il lago per otto chilometri e mezzo. Più avanti, lontana dalla strada e nascosta dalla vegetazione, c’è un’ex base militare che si estende su 36 ettari. Qui, durante il regime fascista, venivano prodotte armi chimiche, in particolare l’iprite, meglio conosciuta come “gas mostarda”, utilizzata dall’esercito italiano in Etiopia contro le popolazioni locali. Nel Dopoguerra rimase solo il deposito NBC finché non venne dismesso negli anni Ottanta. La base rimase abbandonata fino al 1996, quando avvenne un incidente che coinvolse un ciclista, e il ministero della Difesa decise di fare una bonifica.
Nel 2020 un giornale locale, Tusciaweb, pubblicò alcune foto che mostravano lo stato di abbandono dell’area, con tubi rotti che perdevano liquido nero. L’ARPA analizzò le acque e i sedimenti del lago in corrispondenza dell’ex deposito militare, trovando valori di zinco, di tetracloroetilene (un solvente chimico) e di altre sostanze al di sopra dei limiti di legge. Il ministero della Difesa ha ripreso la bonifica e a marzo del 2023 si è conclusa la pulizia del primo lotto, che si estende per un ettaro e mezzo ai bordi del lago. Il sindaco di Ronciglione, Mario Mengoni, ha chiesto al ministero della Difesa che al termine dei lavori l’ex magazzino sia restituito al Comune e destinato a «progetti con finalità sociale».
All’inizio di ottobre il Consiglio di Stato ha stabilito che i cittadini di Ronciglione e di Caprarola avrebbero diritto all’acqua potabile. I giudici amministrativi hanno accolto un ricorso presentato dalla Lega italiana protezione uccelli (LIPU) e da ClientEarth, un’associazione di legali esperti in questioni ambientali con sede a Bruxelles, che hanno contestato la violazione delle direttive europee sui nitrati, sulla conservazione degli habitat naturali e sull’acqua potabile, appunto. I giudici amministrativi hanno imposto alla Regione di adottare «tutte le misure idonee a prevenire e contrastare il fenomeno delle fioriture algali», di preparare «uno specifico piano per la gestione di eventuali fenomeni massivi di proliferazione algale, e di farne un altro «entro 60 giorni» per «garantire la tutela delle acque destinate al consumo umano».
Vicino al distributore di Chianello c’è una fontanella pubblica che prende l’acqua da un pozzo vicino, chiamato Capranica, che alimenta anche altre fontane e un terzo delle abitazioni di Ronciglione. Fino a qualche mese fa, c’era la fila di persone con bidoni e taniche che venivano a fare la scorta di acqua pulita. Ora invece non c’è nessuno. A qualche centinaia di metri di distanza, i rubinetti che si trovano davanti al pozzo sono deserti e abbandonati.
È così da quando, a maggio del 2023, la Talete, che è la società che gestisce gli impianti di potabilizzazione del lago di Vico e i servizi idrici in metà dei comuni del viterbese, l’ha fatta analizzare e ha trovato una percentuale di uranio superiore ai 30 microgrammi per litro, che è il limite massimo stabilito da una direttiva europea del 2020. Ulteriori controlli commissionati dal comune hanno confermato la contaminazione, di origine naturale, e il sindaco Mengoni ha emesso un’ordinanza in cui ha dichiarato non potabile l’acqua estratta dal pozzo di Chianello. A luglio la giunta regionale ha stanziato 200mila euro per costruire un impianto che filtri l’uranio e la renda di nuovo utilizzabile. Secondo Mengoni «i lavori dovrebbero cominciare tra novembre e dicembre» e intanto, a Ronciglione, l’unica acqua potabile è quella che si può prendere ai tre distributori dell’acqua comunali.
Per rispettare le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione Europea e del Consiglio di Stato, la Regione Lazio vorrebbe trovare una falda alternativa al lago di Vico. Sta progettando di costruire una conduttura dalle sorgenti del Peschiera, in provincia di Rieti, utilizzando 90 milioni di euro provenienti in parte dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per il resto da altri progetti europei.
Alla Talete, che dovrà gestirla, pensano che questa soluzione risolverà una volta per tutte il problema. «Anche se i costi per la realizzazione sono ingenti, si tratta di un’infrastruttura che in trent’anni si ripagherà perché risparmieremmo sulla manutenzione dei filtri per l’arsenico e degli impianti di potabilizzazione», dice il direttore Giancarlo Daniele. A Ronciglione i cittadini sono divisi: alcuni sono convinti che bisogna trovare una soluzione che consenta di non dover dipendere dal lago di Vico, altri sono scettici perché pensano che si possano trovare delle fonti alternative più vicine.
Nel frattempo la Talete, che gestisce gli impianti di potabilizzazione dell’acqua del lago di Vico, rischia però di fallire. La società, che ha come azionista di maggioranza al 21 per cento il Comune di Viterbo ed è partecipata da tutti gli altri comuni a cui fornisce l’acqua, non ha i soldi per fare investimenti e per rinnovare gli acquedotti, che hanno una dispersione idrica che si avvicina al 50 per cento. Nel 2022 ha chiesto dall’Autorità di regolazione per l’energia (ARERA) un aumento delle bollette dell’acqua, ma non è ancora stato concesso e così «l’indebitamento finanziario cresce e riusciamo a garantire solo l’ordinaria amministrazione», dice Daniele.