Facciamo troppe Commissioni parlamentari d’inchiesta?
Ne vengono proposte sempre di più, per ragioni più che altro politiche: come funzionano e a cosa servono
Il 17 ottobre la Camera ha approvato, con 282 voti a favore e nessun contrario, l’istituzione di una Commissione d’inchiesta sulla strage del Moby Prince, il traghetto che il 10 aprile del 1991 andò a fuoco al largo di Livorno dopo una collisione con la petroliera Agip Abruzzo. Nell’incidente morirono 140 persone. È la terza Commissione d’inchiesta sulla strage: nel 2015 era stata costituita al Senato, nel 2021 alla Camera. Ora per la terza legislatura consecutiva, sempre in formato monocamerale, è stata di nuovo creata a Montecitorio, sede appunto della Camera dei Deputati.
Al momento le Commissioni d’inchiesta alla Camera sono tre, e ce ne sono altre tre costituite al Senato. Poi ci sono quelle bicamerali, composte cioè sia da deputati sia da senatori, e sono tre anche loro.
Le Commissioni parlamentari d’inchiesta sono spesso al centro dell’attenzione dei giornali e del dibattito politico. Sono istituti previsti dall’articolo 82 della Costituzione, che assegna a queste commissioni «gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria» nell’esercizio delle indagini per cui sono state formate. Possono essere monocamerali, nel caso in cui vengano costituite da un solo ramo del parlamento attraverso una semplice deliberazione, oppure bicamerali e costituite in seguito all’approvazione di una specifica legge. In entrambi i casi, la loro composizione viene decisa dai presidenti di Camera e Senato insieme ai vari gruppi parlamentari, tenendo conto proprio delle proporzioni dei partiti presenti in parlamento, garantendo la massima rappresentanza possibile anche alle formazioni più piccole.
Il parlamento si avvale di queste commissioni fin dall’inizio della fase repubblicana. La prima Commissione d’inchiesta fu istituita il 12 ottobre del 1951: fu creata con l’obiettivo di indagare «sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla», e fu presieduta dal deputato socialdemocratico Ezio Vigorelli. In quella stessa prima legislatura, sempre nel 1951, a dicembre, venne istituita anche la Commissione d’inchiesta «sulla disoccupazione», presieduta dal deputato Roberto Tremelloni, anche lui socialdemocratico. Entrambe erano commissioni monocamerali costituite alla Camera. Nella seconda legislatura (1953-1958) venne istituita una sola Commissione d’inchiesta, con l’obiettivo di indagare «sulle condizioni dei lavoratori in Italia». Fu la prima bicamerale.
Le Commissioni parlamentari d’inchiesta sono state in totale 37 in 75 anni, contando sia quelle monocamerali che quelle bicamerali. Alcune sono state ricreate più volte, con lo stesso compito d’indagine, come nel caso del Moby Prince. Nella scorsa legislatura, tra il 2018 e il 2022, ne sono state istituite sette. Nella legislatura precedente, tra il 2013 e il 2018, ne sono state fatte sei su argomenti nuovi, mai indagati prima.
Nel complesso la tendenza è di un aumento progressivo, sempre più intenso, nel numero di Commissioni d’inchiesta. Il 29 giugno scorso c’è stato un dibattito in aula alla Camera per l’approvazione di una Commissione d’inchiesta sul caso del Forteto, la cooperativa toscana fondata nel 1977 da Roberto Fiesoli, condannato nel 1985 per atti di libidine violenta e corruzione di minori nei confronti degli ospiti della struttura. Durante la discussione il deputato del Partito Democratico Federico Fornaro ha denunciato una «proliferazione delle Commissioni d’inchiesta».
Nel corso di questa legislatura, quindi in un anno dal momento in cui il parlamento si è insediato, alla Camera sono state depositate 34 proposte per costituire di una Commissione parlamentare d’inchiesta, alcune delle quali presentate da parlamentari appartenenti a gruppi diversi ma riferite alle stesse materie d’indagine. Al Senato le proposte su cui è in corso una procedura di valutazione sono 4. Altre, come quella sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, sono già state votate nelle commissioni competenti, ma non ancora dall’aula (anche perché una proposta identica è stata presentata anche alla Camera, e da due diversi gruppi parlamentari). Ovviamente non tutte le proposte vengono approvate nel corso della legislatura, anzi, la maggior parte non ha alcun esito. Tra il 2018 e il 2022 in parlamento vennero depositate 64 proposte, a fronte di 7 Commissioni d’inchiesta effettivamente costituite.
Questo numero così elevato di proposte ha ragioni più che altro politiche, ma non solo. In parte c’entra anche il desiderio di contribuire alla ricerca della verità su grandi casi di cronaca irrisolti (l’omicidio di Simonetta Cesaroni, la scomparsa di Denise Pipitone) o su eventi ancora oscuri della storia d’Italia (la loggia massonica P2, il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, l’affare Telekom-Serbia, il “Piano Solo”). E in parte si vuole tentare di indagare sulle ragioni di radicati problemi sociali, come i femminicidi, la violenza di genere, il degrado delle periferie urbane. Ma soprattutto, proporre la creazione di Commissioni d’inchiesta serve ai deputati e ai senatori per mostrare al proprio elettorato e al proprio territorio di riferimento il loro impegno su questioni che a quell’elettorato e a quel territorio sono particolarmente care.
A volte, poi, il fatto che le Commissioni d’inchiesta vengano spesso politicizzate innesca dei conflitti istituzionali. Come si è visto, infatti, la Costituzione riconosce alle Commissioni d’inchiesta le stesse prerogative della magistratura, ma un’interpretazione troppo estensiva di questo principio ha generato qualche cortocircuito di recente.
Per esempio nel luglio scorso la Camera ha approvato l’istituzione di una Commissione d’inchiesta bicamerale sulla gestione della pandemia da coronavirus, fortemente voluta da Italia Viva di Matteo Renzi. Chi aveva avuto ruoli apicali durante le prime fasi della pandemia, come Giuseppe Conte e Roberto Speranza, non l’ha presa bene e ne sono seguite forti polemiche. Tre settimane dopo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in un intervento pubblico, ha parlato di «iniziative di inchieste con cui si intende sovrapporre attività del parlamento ai giudizi della magistratura», dicendo che queste «si collocano al di fuori del recinto della Costituzione e non possono essere praticate».
Pochi giorni dopo, il governo ha espresso la volontà di restringere il mandato d’indagine assegnato a questa Commissione d’inchiesta, e di modificare la proposta di legge istitutiva nel momento in cui questa sarebbe arrivata al Senato.
Non è il primo caso in cui il Quirinale ha ritenuto d’intervenire in questo ambito. Nel marzo del 2019 Mattarella promulgò la legge che istituiva una Commissione bicamerale d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario. Contestualmente, però, il capo dello Stato inviò una lettera pubblica ai presidenti di Camera e Senato segnalando come nel testo della legge si definissero poteri d’indagine eccessivamente ampi. «Queste indicazioni, così ampie e generali, non devono poter sfociare in un controllo dell’attività creditizia, sino a coinvolgere le stesse operazioni bancarie, ovvero dell’attività di investimento nelle sue varie forme», scrisse Mattarella.
Le Commissioni d’inchiesta hanno la facoltà di convocare e «audire» (cioè ascoltare e interrogare) membri delle istituzioni in carica o decaduti, persone informate sui fatti, studiosi e in generale chiunque possa contribuire ad approfondire la conoscenza di un evento o di un fenomeno. La maggior parte di queste sedute sono pubbliche, a volte però il presidente della Commissione può decidere che l’audizione in corso sia particolarmente delicata, e in quel caso le sedute (o parti di quelle sedute) avvengono in segreto: cioè non vengono trasmesse in diretta streaming sui canali del parlamento e il resoconto non viene poi reso pubblico.
Al termine della legislatura, o comunque nel momento in cui la Commissione dovesse aver ritenuto esaurito il suo mandato, viene pubblicata una relazione in cui si riassumono i lavori svolti e le ricerche fatte. Quelle relazioni servono talvolta come documenti conclusivi dell’indagine, altre volte vengono prese come base da cui ripartire nella legislatura successiva per proseguire l’inchiesta: possono essere considerate il principale risultato concreto del lavoro delle commissioni, insieme al fatto di portare all’attenzione pubblica determinati argomenti. Al di fuori di questo le conseguenze non sono mai state molte.
Un caso esemplare in questo senso è la Commissione d’inchiesta istituita nella scorsa legislatura sul caso di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso nel 2016 in Egitto. Ci furono due anni di audizioni e dibattiti, vennero svelati alcuni atti giudiziari fino ad allora rimasti riservati e si chiarirono alcuni punti della vicenda, che fu ricostruita con precisione nella relazione conclusiva che la Commissione approvò. Tuttavia la possibile soluzione suggerita da più parti durante i lavori della Commissione, cioè ricorrere alla giustizia internazionale, è stata puntualmente scartata dai governi italiani, perché comporterebbe citare in giudizio direttamente l’Egitto.
Per la Commissione Antimafia bisogna fare un discorso a parte. È una normale Commissione d’inchiesta bicamerale, ma per ragioni storiche e politiche ha una prevalenza su tutte le altre. Pur non essendo prevista dalla Costituzione, da decenni si è consolidata una prassi per cui viene istituita all’avvio di ogni legislatura, con una legge specifica. Fu istituita per la prima volta nel dicembre del 1962, e senza una scadenza predefinita, come «Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia» col compito di «proporre le misure necessarie per reprimere le manifestazioni ed eliminare le cause» del fenomeno mafioso. Da allora in poi è stata sempre rinnovata, sia pure con mandati e prerogative che nel tempo sono un po’ cambiati, fino ad oggi con l’eccezione del decennio tra il 1973 e il 1983.
Spesso, nel racconto giornalistico, si accomunano alle Commissioni d’inchiesta anche altri due organismi bicamerali, che però hanno funzioni e compiti diversi, e la cui esistenza è disciplinata da leggi che non vanno approvato a ogni legislatura. Uno è il COPASIR, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica: quello, cioè, che vigila sostanzialmente sui servizi segreti. Si tratta di un organo composto da cinque deputati e cinque senatori, istituito con la legge 187 del 2007 che ha ridefinito l’architettura della nostra intelligence. Il Comitato si rinnova integralmente a ogni legislatura e ha un ampio potere d’indagine su materie riservate, e le sue sedute sono quasi sempre coperte da segreto. A presiederlo è, per prassi, un esponente delle opposizioni.
La stessa prassi vige per la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, abitualmente chiamata Commissione di vigilanza. È stata istituita da una legge del 1975, nel contesto della riforma della RAI. È composta da venti deputati e venti senatori, in maniera da garantire una rappresentanza proporzionale a tutti i gruppi. La Commissione ha il compito di vigilare sulla gestione dei servizi televisivi e radiofonici pubblici.
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