Il governo italiano vuole aprire due centri italiani per migranti in Albania
Ma il “protocollo d'intesa” firmato da Giorgia Meloni e dal primo ministro albanese è poco chiaro, e un testo definitivo dell'accordo non c'è
Lunedì la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il primo ministro albanese Edi Rama hanno firmato a Roma un “protocollo d’intesa” tra Italia e Albania per condividere in parte la gestione dell’immigrazione. In una dichiarazione congiunta alla stampa, Meloni e Rama hanno detto che l’Albania metterà a disposizione dell’Italia due aree del proprio territorio per la realizzazione di due strutture per l’accoglienza dei migranti. Meloni ha spiegato che le strutture saranno allestite e gestite dall’Italia, a proprie spese e sotto la propria giurisdizione.
Non si conoscono i dettagli del protocollo d’intesa: in generale, il piano sembra piuttosto confuso e in alcuni punti potenzialmente problematico per le leggi italiane ed europee che regolano il diritto all’asilo.
Le due strutture potranno accogliere fino a un massimo di tremila persone contemporaneamente, e tra queste non potranno esserci minori, donne incinte e altre persone considerate vulnerabili. Una di queste strutture verrà realizzata nei dintorni del porto di Shengjin, circa 70 chilometri a nord di Tirana, dove si svolgeranno le procedure di sbarco e di identificazione: la stessa area dovrebbe ospitare anche un centro di prima accoglienza per i migranti che chiederanno asilo.
A Gjader, venti chilometri più a nord e nell’entroterra, verrà invece allestita una struttura che svolgerà funzioni analoghe a quelle dei Centri di permanenza per i rimpatri (CPR). In questo secondo centro dovrebbero andare solo le persone sommariamente ritenute non in possesso dei requisiti per la richiesta del diritto d’asilo: il problema in questo caso è che per le leggi italiane ed europee i richiedenti asilo possono essere trattenuti in strutture governative solo in casi eccezionali, mentre Meloni ha lasciato intendere che la prassi sarà questa per tutte le persone ritenute non idonee (anche qui, con un procedimento ancora da definire). L’Albania collaborerà con le sue forze di polizia per la sorveglianza e la sicurezza all’esterno di queste strutture.
«L’accordo che noi firmiamo oggi disegna la cornice politica e la cornice giuridica di questa nostra nuova collaborazione, poi all’accordo dovranno ovviamente seguire tutti i provvedimenti normativi conseguenti, le attività necessarie a predisporre in territorio albanese le strutture», ha detto Meloni, secondo cui l’obiettivo è rendere questi centri operativi a partire dalla primavera del 2024. L’accordo infatti non è ancora stato del tutto definito, secondo l’ufficio stampa di Palazzo Chigi al testo stanno ancora lavorando diplomatici e consiglieri giuridici dei due governi.
Inoltre, secondo funzionari della presidenza del Consiglio, il protocollo non si applicherà ai migranti che sono già sbarcati in territorio italiano, ma a quelli che saranno soccorsi da navi italiane della Guardia di Finanza, della Guardia Costiera o della Marina Militare dopo l’entrata in vigore. Tuttavia non è ancora chiaro come queste navi potranno far sbarcare prima in Italia solo donne incinte e minori, per poi portare in Albania il resto delle persone a bordo delle navi fino al porto di Shengjin, che dista circa due giorni di navigazione dalle coste siciliane. Obbligare le navi delle autorità italiane a fare avanti e indietro peraltro lascerebbe sguarnite le acque territoriali italiane, a meno di potenziare in maniera consistente risorse e mezzi della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza.
Meloni ha detto che nelle intenzioni del governo il limite massimo di capienza di queste due strutture, calcolato in tremila persone, dovrebbe essere su base mensile, e che grazie alle procedure accelerate introdotte dal governo si potranno esaminare in 28 giorni le richieste di asilo dei migranti: quindi nel corso di un anno nelle strutture da realizzare in Albania potrebbero transitare fino a 36mila persone.
Il riferimento di Meloni è a un'indicazione contenuta in un recente decreto interministeriale (lo stesso che ha introdotto la cosiddetta "cauzione") che fissa a 28 giorni la durata massima per il trattenimento di un richiedente asilo nei centri preposti (i "Centri per le procedure accelerate di frontiera"). Al momento, però, i tempi medi per le procedure di verifica delle richieste d'asilo sono molto più lunghi di 28 giorni, e ancora più lunghe sono le procedure per il rimpatrio: e sono tempi estremamente difficili da accorciare, anche perché l’esame delle richieste d’asilo è una procedura delicata e da svolgere con estrema attenzione.
Dall'inizio dell'anno in Italia sono sbarcate oltre 145.300 persone, secondo i dati ufficiali del ministero dell'Interno: sono i dati più alti da diversi anni a questa parte. Fin dal suo insediamento il governo Meloni ha preso diverse misure per scoraggiare l'ingresso di richiedenti asilo nel territorio italiano, via mare e via terra, e fatto un controverso accordo con la Tunisia per respingere con la forza i migranti che cercano di raggiungere l'Italia partendo dalle coste tunisine.