Come mai sulle spiagge della Cornovaglia compaiono dei pezzi di Lego
Erano su una nave che perse parte del suo carico nel 1997 a causa di un'onda anomala: dopo più di 26 anni se ne trovano ancora
Il 13 febbraio del 1997 un’onda anomala alta più di 8 metri fece inclinare di oltre 45 gradi una grossa nave cargo che si trovava a circa 35 chilometri da Land’s End, la punta più occidentale della Cornovaglia, la penisola nel sud-ovest dell’Inghilterra. La nave si chiamava Tokio Express, era diretta a New York e a causa dell’onda perse 62 dei container che aveva a bordo, tra cui uno che conteneva 4.756.940 pezzi di Lego di varie forme.
Questo evento fu soprannominato “the Great Lego Spill” (il grande sversamento di Lego) e a causa della dispersione di una tale quantità di pezzetti di plastica in mare è anche considerato il peggiore disastro ambientale legato ai giocattoli. Da allora, anche se sono passati più di 26 anni, di tanto in tanto i pezzetti di Lego finiti in mare continuano a comparire sulle spiagge della Cornovaglia, in particolare dopo le tempeste.
Ironicamente molti di questi pezzetti sono a tema marino, come polpi, zattere e pinne, e c’è chi passa buona parte del suo tempo a cercarli per raccoglierli, catalogarli o collezionarli, oppure semplicemente per ripulire le spiagge dalla sporcizia. La storia ricorda quella delle paperelle di plastica che per anni furono ritrovate sulle spiagge di continenti diversi dopo che il container che le conteneva cadde da una nave cargo che stava attraversando l’Oceano Pacifico nel 1992.
La più attiva di queste persone è probabilmente Tracey Williams, un’ambientalista che vive in Cornovaglia e fa avanti e indietro sulle spiagge della zona da anni per scovare i pezzetti di Lego e documentarli. Cominciò un po’ per hobby, ha raccontato di recente, ma ormai per lei è diventato un lavoro a tempo pieno.
Sappiamo esattamente quanti sono i pezzi di Lego dispersi in mare perché nel 1997 l’oceanografo Curtis Ebbesmeyer chiese all’azienda cosa conteneva di preciso il container, ha detto Williams. Tra gli altri, c’erano 520.541 mattoncini verdi, 28.700 gommoni gialli, 52mila eliche rosse, 33.427 draghi neri, 4.200 polpi neri, 514 draghi verdi e più di 15mila squali, ma anche accessori di altre forme, come fiori e spade. Finora non è mai stato trovato nessuno squalo.
Oltre a tenere conto di cosa è riuscita a raccogliere, Williams condivide le foto e i commenti di chi come lei li cerca sulla pagina “Lego Lost at Sea” (i lego persi nel mare), che tra Facebook, Instagram e Twitter ha circa 150mila follower. Di recente Williams ha anche pubblicato un libro sul tema.
Dei quasi 5 milioni di mattoncini a bordo, poco più di 3,1 erano sufficientemente leggeri da riuscire a galleggiare fino a raggiungere nel giro di poco tempo le spiagge inglesi, disse la BBC nel 2014. Quelli che troviamo oggi sono sia quelli che sono rimasti a galla, sia quelli che prima erano andati a fondo e poi sono tornati in superficie grazie alle correnti, ha detto Williams a Live Science.
Oltre a lei, ci sono anche turisti, volontari e attivisti che si battono contro l’uso della plastica che cercano e raccolgono i Lego restituiti dal mare dopo oltre 26 anni. Uno di questi è Rob Arnold, che vive nella zona di Whitsand Bay e dice di aver raccolto negli anni 25 milioni di pezzetti di plastica e microplastiche dalle spiaggia della Cornovaglia, assieme a un gruppo di persone. Tra questi ci sono più di mille pezzi di Lego, tra cui 240 paia di pinne da sub.
Qualche anno fa un’attivista dell’associazione ambientalista Cornish Plastic Pollution Coalition, Delia Webb, aveva spiegato al sito di notizie Cornwall Live che sulle spiagge della zona tende a finire un po’ di tutto per via della forma della penisola e delle correnti marine. La plastica che per un motivo o per l’altro finisce in mare, come i pezzetti di Lego del 1997, giunge a riva in condizioni quasi perfette, visto che è estremamente resistente, ma prima di arrivarci è un grosso pericolo perché gli animali marini rischiano di ingerirla. È uno dei motivi per cui la sua associazione cerca di tenere le spiagge pulite e per cui, a detta di Webb, è «un tipo di inquinamento di cui bisogna occuparsi, esattamente come dei rifiuti lasciati in giro».
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I quotidiani ritrovamenti di rifiuti in plastica sulle spiagge hanno originato progetti analoghi in tutto il mondo. In Italia da alcuni anni Enzo Suma, una guida naturalistica pugliese di 41 anni, ha avviato un progetto chiamato Archeoplastica, che si dedica alla raccolta di reperti in plastica risalenti a 40, 50 o addirittura 60 anni fa, spesso sbiaditi o ricoperti di molluschi, ma perlopiù rimasti intatti. Le storie di alcuni suoi ritrovamenti, ricostruite con approccio storico o giornalistico, circolano spesso online, come successo per esempio alle centinaia di flaconi di ketchup di produzione americana che erano stati ritrovati tra Brindisi e Lecce lo scorso inverno.