La guerra tra Israele e Hamas è un problema per la politica estera europea
Per ora è stata inconcludente e soprattutto poco efficace: c'entrano le divisioni interne e alcune debolezze strutturali
A quasi un mese dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas, l’Unione Europea non è ancora in grado di dare una risposta e un messaggio unitari alla crisi e alle violenze, e sembra ancora piuttosto divisa e indecisa su quali misure adottare (diplomatiche, politiche, economiche). Questa indecisione si è mostrata piuttosto chiaramente la settimana scorsa, quando il Consiglio Europeo, cioè la riunione dei principali capi di stato e di governo dell’Unione, aveva discusso per quasi due giorni su un comunicato comune che alla fine era risultato poco incisivo. Ma è piuttosto evidente anche in termini più generali: al momento l’Unione Europea e i suoi stati membri sono di fatto esclusi dalle trattative più importanti, a cui partecipano soprattutto gli Stati Uniti e alcuni paesi arabi.
Questa divisione e scarsa rilevanza dell’Unione Europea sulla guerra tra Israele e Hamas è un passo indietro rispetto agli ultimi anni, quando l’Unione era riuscita a mostrarsi relativamente unita nel sostegno all’Ucraina contro l’invasione della Russia. Era anche riuscita ad approvare ampi aiuti sia economici sia militari e a impostare una politica energetica incisiva per fare a meno del gas naturale importato dalla Russia. La guerra tra Israele e Hamas, invece, ha evidenziato le differenze di approccio tra i paesi membri, che hanno portato a divisioni e perfino ad alcune polemiche.
La scarsa efficacia dell’Unione Europea sulla questione israelo-palestinese dipende da vari elementi strutturali. Anzitutto le divisioni nella politica estera dei paesi membri. Con un certo livello di semplificazione, si può dire che nell’Unione è presente un gruppo di paesi che è più solidale nei confronti della causa palestinese, pur senza negare il diritto di Israele a esistere e a difendersi: tra questi ci sono Spagna, Portogallo, Irlanda, Svezia. Dall’altra parte c’è un gruppo di paesi che invece è più allineato con le posizioni di Israele: tra questi ci sono Austria, Ungheria, Repubblica Ceca, Romania e Bulgaria. Molti dei paesi più filoisraeliani dell’Unione fanno parte dell’Europa dell’est, e la loro posizione si spiega tra le altre cose come un tentativo di compiacere gli Stati Uniti, storici alleati di Israele.
C’è poi un gruppo di paesi più grandi, tra cui Francia, Germania e Italia, che cerca di mantenere una posizione quanto più possibile equilibrata, anche se con alcune distinzioni che dipendono dai governi, e con un dibattito interno piuttosto movimentato.
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L’altra ragione per cui l’influenza dell’Unione Europea è relativamente scarsa è che dal 2003 l’Unione ha designato Hamas come un’organizzazione terroristica. Anche questa designazione, peraltro, fu oggetto di grosse polemiche all’interno dell’Unione, perché fu inizialmente annullata da alcuni tribunali, poi ripristinata dal Consiglio Europeo e infine confermata in maniera definitiva dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea soltanto nel 2017, quasi 15 anni dopo la decisione iniziale.
Questa designazione ha fatto sì che, a partire dal 2003, le istituzioni europee interrompessero qualsiasi contatto con Hamas e con le autorità che governano la Striscia di Gaza. Anche altri paesi che considerano Hamas un’organizzazione terroristica, come gli Stati Uniti, non hanno contatti diretti con Hamas, ma mantengono una stretta relazione con alcuni paesi arabi che possono assumere un ruolo di mediazione (per esempio il Qatar). La diplomazia europea, invece, è molto meno influente nella regione. Anche nei confronti di Israele, benché i rapporti economici siano molto floridi, l’influenza politica dell’Unione è tutto sommato ridotta, e il governo israeliano ha sempre considerato gli Stati Uniti come il suo principale interlocutore.
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Le uniche decisioni comuni prese finora sulla questione dall’Unione Europea sono quelle uscite dal Consiglio Europeo del 26 e 27 ottobre, che tra discussioni e trattative piuttosto estenuanti ha preso due iniziative principali. La prima è quella di chiedere che Israele faccia delle «pause umanitarie» ai bombardamenti sulla Striscia di Gaza per consentire l’ingresso degli aiuti. La decisione di usare la parola «pause» al plurale e non al singolare era stata contrattata in maniera estenuante, per rimarcare il fatto che si tratta di interruzioni rapide e non di un cessate il fuoco, che da alcuni paesi era visto come una negazione del diritto di Israele a difendersi.
La seconda decisione è stata di convocare una «conferenza di pace internazionale» che coinvolga israeliani e palestinesi e vari paesi della regione, e che possa porre le basi di una convivenza pacifica e duratura. L’idea di per sé è ambiziosa e notevole. Il problema è che, come ha spiegato Politico, a una settimana dall’annuncio ancora non è stato fatto nessun passo concreto. Nessun funzionario dell’Unione ha parlato ancora dell’iniziativa con i corrispettivi israeliani, che a Politico hanno detto: «Non possiamo dire che parteciperemo [alla conferenza] perché non sappiamo ancora di che si tratta». Anche i portavoce della Commissione hanno detto di non avere alcun tipo di informazione su questa conferenza.
Il principale sostenitore dell’iniziativa è stato Pedro Sánchez, il primo ministro spagnolo che nelle ultime settimane è stato tra i maggiori sostenitori di un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e di grandi iniziative di pacificazione. Secondo alcune persone sentite da Politico, però, l’impegno di Sánchez sarebbe più rivolto a ottenere il favore dell’opinione pubblica spagnola che a iniziative concrete di pace. Sánchez da alcuni mesi è in trattativa con alcune forze di sinistra per formare un nuovo governo dopo le elezioni di luglio, e mostrarsi più vicino alla causa umanitaria palestinese è un modo per ottenere il consenso dei potenziali alleati.
All’inizio del suo mandato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen aveva detto che la sua Commissione sarebbe stata «geopolitica», intendendo con questo termine una maggiore attività e influenza nelle grandi questioni mondiali.
Ma la guerra tra Israele e Palestina, al contrario, si va ad aggiungere ad altre grandi questioni in cui l’azione dell’Unione si sta mostrando inconcludente. Tra le altre cose, sono fermi i negoziati tra Serbia e Kosovo, patrocinati dall’Alto commissario per la politica estera Josep Borrell, e negli scorsi mesi l’Europa è stata piuttosto inefficace durante la guerra tra Armenia e Azerbaijan, nella quale l’Azerbaijan ha riconquistato il Nagorno Karabakh, cacciando dalla regione decine di migliaia di persone di etnia armena.