Mangiamo molto più avocado
Dal 2015 il consumo in Italia è quadruplicato: i frutti arrivano quasi tutti dall'estero, anche se la produzione italiana sta aumentando
Negli ultimi anni in Italia, così come in molti altri paesi occidentali, il consumo di avocado è aumentato in modo significativo. L’avocado è un alimento molto più conosciuto rispetto al passato grazie alla diffusione di piatti etnici come la salsa guacamole e soprattutto il poke, un piatto di pesce crudo tipico delle Hawaii che quasi sempre contiene l’avocado oltre a riso, edamame, mango, ravanelli, semi di sesamo e salsa di soia.
L’apertura delle cosiddette pokerie e la conseguente maggiore richiesta di avocado sono state assecondate dai distributori di frutta e verdura che hanno aperto nuovi canali di importazione: secondo i dati di Tridge, una piattaforma che analizza l’andamento del commercio mondiale di frutta e verdura, nel 2022 in Italia il valore delle importazioni di avocado ha toccato i 106 milioni di euro, oltre il 300 per cento in più rispetto al 2015. L’Italia ha raggiunto il nono posto nella classifica mondiale delle importazioni di avocado, dietro a Stati Uniti, Paesi Bassi, Francia, Spagna, Germania, Canada, Regno Unito, Giappone, e davanti alla Cina.
Gli avocado sono frutti tropicali autoctoni dell’America centrale, dove si sa che vengono coltivati da circa 2.500 anni. Sono diffusi in particolare nel Messico, che ancora oggi è il loro principale produttore. Se ne coltiva molto anche in Colombia, Perù, Indonesia, Repubblica Dominicana, Kenya, Brasile, Haiti, Vietnam e Cile.
Secondo uno studio della FAO, l’agenzia ONU per l’agricoltura e l’alimentazione, l’avocado è il frutto tropicale che ha registrato la crescita di produzione maggiore negli ultimi decenni. È quintuplicata dagli anni Ottanta e si stima che nel 2032 raggiungerà i 12 milioni di tonnellate, il triplo rispetto al 2010.
Quasi tutti gli avocado consumati in Italia sono della varietà Hass, cioè quella con la buccia scura e rugosa e la polpa burrosa, di un verde tendente al bianco. Questa varietà deriva da un innesto che non funzionò su una singola pianta cresciuta a metà degli anni Venti del Novecento nella piccola tenuta dell’uomo da cui prendono il nome, un postino della California, Rudolph Hass.
Come le noci e l’olio d’oliva, anche l’avocado è un alimento ricco di grassi monoinsaturi, considerati “buoni” perché favoriscono la sostituzione del colesterolo LDL presente nel sangue (che causa infarti e ostruzioni vascolari) con un tipo di colesterolo che non rappresenta invece una fonte di pericolo per l’organismo. Tuttavia l’avocado è molto calorico: un solo frutto contiene 240 calorie, più di una barretta Mars. Mangiarne in grandi quantità con l’illusione di proteggere cuore e apparato circolatorio può portare a un aumento di peso, più controproducente degli effetti degli acidi grassi.
Uno dei maggiori importatori di avocado in Italia è Conor, un’azienda di Bologna legata al sistema delle cooperative, che rifornisce soprattutto i ristoranti con 64 magazzini distribuiti in quasi tutte le regioni.
Dario Guidi, direttore commerciale di Conor, ha detto al Sole 24 Ore che il 70 per cento dell’ortofrutta acquistata dalle pokerie è costituita da avocado e che il mercato si è stabilizzato solo nel 2023 dopo la crescita notevole avvenuta nei due anni precedenti. Soltanto Conor negli ultimi cinque anni ha decuplicato le importazioni di avocado passando da 48mila a 450mila chili. Per il 2023 l’azienda prevede di superare i 500mila chili venduti.
Il processo di importazione dall’estero è lungo e costoso. I frutti vengono raccolti acerbi perché devono viaggiare almeno 30 giorni per attraversare l’oceano. Vengono conservati a temperature basse e costanti, tra i 3 e i 4 gradi. Quando arrivano in Italia vengono portati in magazzini dove maturano prima di essere distribuiti ai mercati ortofrutticoli, ai supermercati e ai fruttivendoli. Sono pronti quando la polpa è morbida: in questo modo chi li acquista può mangiarli subito o comunque aspettare pochi giorni.
Le emissioni causate dal trasporto degli avocado sulle grandi navi merci non sono l’unico problema ambientale legato alla coltivazione di questo frutto. Soprattutto in Messico, l’espansione delle piantagioni di avocado è stata rapida e massiccia, e ha causato la progressiva deforestazione di una parte significativa di foreste tropicali: negli ultimi 10 anni circa 100mila ettari di foreste messicane sono state disboscate per coltivare avocado.
Le piante, inoltre, hanno bisogno di molta acqua, una caratteristica che ha avuto conseguenze sull’approvvigionamento idrico di molte zone del paese e ha portato a deviare fiumi e canali. I guadagni ottenuti dalla vendita degli avocado hanno anche attirato le attenzioni della criminalità organizzata, che ha iniziato a estorcere denaro ai produttori.
I costi elevati delle importazioni, l’aumento della richiesta e la buona redditività dell’avocado hanno convinto molti agricoltori italiani a sperimentarne la coltivazione. Le prime piccole piantagioni risalgono agli anni Sessanta, ma soltanto negli ultimi dieci anni si è sviluppato un mercato interno con nuove filiere e marchi. Giorgio Mannino, presidente dell’ANGA di Catania, l’associazione dei giovani agricoltori legata a Confagricoltura, fa parte della sesta generazione alla guida della Tenuta Mannino. Oltre a produrre vino e olio, negli ultimi anni l’azienda ha dedicato tre ettari di terreni alla coltivazione dell’avocado. Una di queste piantagioni si trova in contrada Sciarelle, a 400 metri di altezza sul versante meridionale dell’Etna, in Sicilia.
Mannino coltiva due varietà, la Bacon e la Hass. Gli alberi della varietà Bacon, più robusti, servono a proteggere dal vento gli alberi di Hass che sono più fragili: in questo modo i frutti non cadono a terra e non si colpiscono tra loro, evitando ammaccature e graffi. La coltivazione in terreni vulcanici, ricchi e fertili, dà ai frutti un sapore più intenso e con una consistenza più burrosa rispetto a quelli importati dall’estero. Il consumo dell’acqua, inoltre, è molto simile a quello richiesto per le piante di agrumi, ma rispetto ad arance, clementine e mandarini, il guadagno è decisamente maggiore: le arance si vendono all’ingrosso a 35 centesimi al chilo, gli avocado a 3,5 euro al chilo.
Soprattutto in Sicilia, l’ampliamento delle piantagioni di avocado è stato favorito anche dal cambiamento delle condizioni meteorologiche. «Senza entrare nel campo delle discussioni sul cambiamento climatico, è innegabile che qui oggi ci sono 30 gradi e siamo a novembre», dice Mannino. «Il processo di tropicalizzazione è abbastanza avviato: fa molto più caldo in estate e le piogge sono più intense. Diversi agricoltori lo hanno capito e sono stati lungimiranti: dopo aver piantato gli alberi servono almeno cinque anni per avere una produzione consistente di frutti».
Al momento per la produzione italiana è complicato fare concorrenza alle importazioni dall’estero. Per competere servirebbero più piantagioni e investimenti anche nella comunicazione. «Bisogna far percepire l’importanza della zona di provenienza del frutto che si sta comprando», continua Mannino. «I frutti sono più buoni, viaggiano molto meno rispetto a quelli comprati all’estero e fanno sviluppare le economie locali».