In Serbia si tornerà a votare a dicembre
Il presidente Aleksandar Vučić ha sciolto il parlamento dopo meno di due anni: da mesi le opposizioni organizzano grandi manifestazioni, mentre il Kosovo continua a essere un problema
La Serbia terrà domenica 17 dicembre elezioni anticipate: il presidente Aleksandar Vučić mercoledì ha sciolto il parlamento a meno di due anni dalle ultime elezioni, vinte dal suo partito, il Partito Progressista serbo (di destra e nazionalista) che governa il paese dal 2012. La decisione di Vučić arriva dopo mesi di proteste e manifestazioni molto partecipate contro il governo e il presidente, iniziate a maggio in seguito a un attacco armato contro una scuola che causò la morte di 18 persone, di cui la metà bambini. Le opposizioni si unirono nel movimento “Serbia contro la violenza” per chiedere leggi più severe contro la vendita di armi e per denunciare una cultura popolare di esaltazione della violenza che secondo alcuni è molto presente a vari livelli della società serba.
Ma Vučić e il suo partito devono gestire anche un’altra questione irrisolta, quella delle dispute territoriali con il Kosovo, paese che non ha mai riconosciuto ufficialmente dopo la proclamazione d’indipendenza dallo stato serbo del 2008. Secondo molti osservatori la scelta di sciogliere il parlamento è anche un tentativo di Vučić di prendere tempo sulla questione del Kosovo, in un periodo in cui le tensioni sono tornate a essere elevate e le pressioni per un riconoscimento da parte dell’Europa consistenti.
Vučić domina la politica serba da un decennio. Ha 53 anni e un passato da nazionalista radicale: era ministro durante l’amministrazione di Slobodan Milošević che fu accusato di crimini contro l’umanità e pulizia etnica. Nel 2014 era diventato primo ministro e dal 2017 è il presidente del paese. Nel 2022 è stato rieletto con ampio margine.
Anche se il presidente in Serbia ha poteri soprattutto formali, in questi anni Vučić grazie al suo ruolo è riuscito a consolidare enormemente il controllo esercitato dal proprio partito sulla politica e sulla società serba. Le tv e i giornali, sia pubblici sia privati, sono pieni di persone vicine a Vučić, che usa una retorica simile a quella di altri governi autoritari dell’Europa orientale sui diritti dei migranti e della comunità LGBT+. Le opposizioni accusano il presidente serbo e il suo partito di comprimere la libertà di opinione e gli spazi dell’opposizione e alcuni denunciano che il governo avrebbe legami con le gang criminali responsabili di violenze, estorsioni e traffici illegali in varie zone del paese. Vučić ha formalmente lasciato la presidenza del partito a maggio, ma continua ad avere un’influenza decisiva.
Secondo i sondaggi il partito di governo SNS mantiene ancora la maggioranza relativa nel paese con il 44 per cento dei consensi. Per governare dovrà però probabilmente cercare un’alleanza con i partiti ultranazionalisti e filorussi, che dovrebbero arrivare complessivamente all’11 per cento dei voti.
La Serbia da anni mantiene una politica di equidistanza fra l’Unione Europea, a cui appartengono o aspirano quasi tutti i paesi della penisola balcanica, e la Russia, con cui ha tradizionalmente importanti legami culturali ed economici. A oggi è l’unico paese in Europa a non imporre sanzioni economiche alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina (insieme alla Bielorussia, alleata del regime di Putin).
La scorsa settimana le opposizioni hanno invece annunciato che presenteranno liste uniche, riproponendo il nome “Serbia contro la violenza”: la coalizione comprenderà formazioni di centro, di sinistra, ambientaliste ed europeiste, oltre ad alcune nuove formazioni nate durante questi mesi di mobilitazione e proteste. I sondaggi stimano questo blocco intorno al 38 per cento dei voti.
La decisione di indire nuove elezioni arriva due giorni dopo la vista in Serbia della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che ha ribadito le condizioni necessarie per permettere un avvicinamento della Serbia all’Unione Europea: approvazione delle sanzioni contro la Russia, misure per combattere corruzione e crimine organizzato, riforme dell’economia e del sistema giudiziario, adesione a politiche di salvaguardia dell’ambiente, più garanzie di rispetto dei diritti umani.
La questione prioritaria resta comunque la “normalizzazione” delle relazioni del paese con il Kosovo, che la Serbia continua a considerare ufficialmente come parte del proprio territorio. In seguito agli scontri di fine settembre, quando un gruppo armato serbo aveva assediato un monastero in Kosovo, e alla segnalata concentrazione di truppe serbe vicino ai confini, Stati Uniti e Unione Europea hanno organizzato la scorsa settimana una mediazione. Avrebbe dovuto portare alla firma di un accordo per costituire un’Associazione di comuni a maggioranza serba in Kosovo (che avrebbero avuto una certa quota di autonomia), in cambio di un riconoscimento “di fatto” da parte della Serbia dell’autonomia del paese. Dopo gli incontri però Vučić non ha firmato alcun testo.