La serie tv israeliana sul conflitto con Hamas

“Fauda” in questi anni è stata un successo e ha ricevuto apprezzamenti per aver scelto una prospettiva non scontata, anche se non piace a tutti

Un attore sul set di “Fauda”. (AP Photo/Oded Balilty)
Un attore sul set di “Fauda”. (AP Photo/Oded Balilty)

Lo scorso 9 ottobre, due giorni dopo l’attacco senza precedenti di Hamas contro Israele, l’attore e sceneggiatore israeliano Lior Raz ha pubblicato un video da Sderot, la più grande città israeliana al confine con la Striscia di Gaza, dove era andato per assistere la popolazione civile e «prelevare due famiglie». Raz ha anche annunciato di essersi arruolato come volontario di “Brothers in Arms”, organizzazione fondata all’inizio dell’anno per protestare contro la riforma del sistema giudiziario proposta dal primo ministro Benjamin Netanyahu e composta da riservisti provenienti da varie unità delle Forze di difesa israeliane (IDF).

Riportando la notizia, il Wall Street Journal ha parlato di un caso di «arte che imita la vita»: Raz è infatti il coideatore e uno degli attori più importanti di Fauda, una serie di grande successo internazionale che narra le vicende di un gruppo di ufficiali dell’intelligence israeliana impegnati in operazioni antiterrorismo. Nelle ultime settimane si è parlato spesso di Fauda, anche perché altri attori che recitano nella serie, come Tzachi Halevi, Idan Amedi e Yaakov Zada ​​Daniel, hanno deciso di arruolarsi come riservisti e sono partiti per il sud del paese.

Fauda (parola che in arabo è traducibile come “caos”) va in onda su Netflix dal 2016: finora sono state prodotte quattro stagioni, e ne è stata annunciata una quinta a settembre. Nel corso degli anni la serie ha ottenuto diversi riconoscimenti, tra cui due premi Ophir dell’Accademia israeliana del cinema. Fauda è inoltre la serie di maggior successo nella storia della rete satellitare israeliana Yes, e il New York Times l’ha inserita nella lista delle migliori serie internazionali del 2017.

La serie racconta le vicissitudini di alcuni agenti di un vero corpo speciale delle Forze di difesa israeliane, chiamato Mista’arvim e specializzato in operazioni sotto copertura. Chi fa parte di questa divisione viene addestrato per integrarsi all’interno delle comunità palestinesi, ed è quindi in grado di parlare un arabo molto fluente. In particolare, il gruppo che si vede in azione in Fauda prende ispirazione da una delle unità del Mista’arvim, chiamata “Duvdevan”, in cui lo stesso Raz aveva militato negli anni Novanta, prima di iniziare a lavorare nella televisione e nel cinema.

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Raz ha raccontato che la sua esperienza nell’esercito ha avuto una grande importanza nella scrittura di Fauda, così come il suo passato familiare: discende infatti da una famiglia di Mizrahi, termine con cui vengono identificate le comunità ebraiche di provenienza nordafricana o mediorientale. I suoi genitori emigrarono in Israele dall’Iraq (suo padre) e dall’Algeria (sua madre). Trascorse l’infanzia a Ma’ale Adummin, uno dei più grandi insediamenti israeliani in Cisgiordania e, di conseguenza, imparò l’arabo fin da piccolo, parlando con i suoi genitori e con gli amici di infanzia. Queste esperienze gli permisero di acquisire una delle competenze indispensabili per entrare a far parte di un corpo specializzato come il Mista’arvim, ossia la padronanza della lingua parlata a Gaza e nei territori palestinesi occupati.

Nella prima stagione di Fauda Doron Kabilio, il personaggio interpretato da Raz, assieme ai suoi compagni va alla ricerca di un leader dell’area militare del gruppo radicale palestinese Hamas, conosciuto come  “Abu-Ahmed” o “La Pantera”. L’antagonista della seconda stagione è invece Nidal al-Maqdisi, un militante dello Stato Islamico che crea una cellula dell’ISIS nei territori occupati. Nella terza la squadra di Kabilio entra sotto copertura a Gaza per salvare due ostaggi israeliani rapiti da Hamas, e nella quarta si mette sulle tracce di due ostaggi tra molteplici attacchi terroristici.

Nella realizzazione di Fauda, Raz ha collaborato con Avi Issacharoff, un rispettato giornalista israeliano che ha seguito come inviato sul campo gli eventi della Seconda intifada, la grande rivolta palestinese armata iniziata a Gerusalemme il 28 settembre del 2000 e che fu caratterizzata da attacchi contro israeliani e da attentati terroristici. In un’intervista data a NPR, Issacharoff ha raccontato che alcune delle sue esperienze come cronista in Cisgiordania e a Gaza sono diventate parte integrante della sceneggiatura di Fauda. Ad esempio, per lavorare alla caratterizzazione di Abu-Ahmed, il principale antagonista della prima stagione, Raz e Issacharoff hanno preso spunto dalla figura di Ibrahim Hamed, un comandante militare di Hamas in Cisgiordania che ordinò diversi attacchi suicidi agli inizi degli anni Duemila.

Uno dei meriti che vengono riconosciuti a Raz e Issacharoff è di essere riusciti a raccontare il conflitto israelo–palestinese in un modo accessibile per il pubblico generalista. Una parte di critica elogia anche il tono imparziale della serie e il suo sforzo di rappresentare in maniera realistica le due parti coinvolte nel conflitto, dando risalto alle violenze a cui vengono sottoposti i palestinesi nelle zone di occupazione israeliana – un aspetto che emerge soprattutto nella prima stagione, ambientata in Cisgiordania. I personaggi palestinesi in tutte le stagioni sono sfaccettati e lontani dalle macchiette a cui sono generalmente ridotti nelle produzioni israeliane, e buona parte della serie peraltro è girata in arabo, cosa che costringe il pubblico israeliano a usare i sottotitoli. In un articolo pubblicato sul New York Times, David M. Halbfinger ha scritto che, proprio per queste caratteristiche, la serie ha faticato ad avere successo in Israele.

La giornalista dell’Atlantic Yasmeen Serhan ha spiegato di avere apprezzato Fauda perché, pur essendo una serie israeliana pensata per essere vista dal pubblico israeliano, «non ignora la prospettiva palestinese». Secondo Serhan, gli ideatori della serie hanno avuto l’accortezza di evitare stereotipizzazioni, seppure con qualche limite: «Sebbene riesca meglio della maggior parte delle serie e dei film nel descrivere alcuni aspetti del conflitto, [Fauda, ndr] non può rappresentare accuratamente ogni prospettiva – un limite ammesso anche dai suoi stessi ideatori – e per questo motivo a volte mi ha fatto urlare contro lo schermo».

C’è anche chi la pensa diversamente: nel 2018, parlando della seconda stagione di Fauda, la giornalista israeliana Rachel Shabi scrisse che, malgrado gli sforzi di imparzialità, tutto sembrava «narrato in modo schiacciante da un punto di vista israeliano». Secondo Shabi l’occupazione israeliana non si vede «da nessuna parte: non c’è muro, né insediamenti o coloni, né demolizioni di case, solo pochi piccoli checkpoint e nessuna delle brutalità quotidiane della vita sotto occupazione», e i palestinesi vengono rappresentati in Fauda come «dei fanatici violenti senza una causa politica».

In un articolo pubblicato sul quotidiano progressista israeliano Haaretz nel 2020, lo scrittore e attivista palestinese George Zeidan espresse un giudizio ancora più duro, definendo Fauda un «incitamento antipalestinese». In particolare, Zeidan scrisse che «quando ne hanno la possibilità, gli sceneggiatori di Fauda presentano i militari israeliani come persone dotate di principi, soffermandosi sulla loro profonda preoccupazione per la sicurezza dei civili di Gaza», ma evitano di mostrarli «mentre sparano o uccidono donne o bambini palestinesi».

Critiche sono arrivate anche dagli attivisti del movimento BDS (Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni), la principale campagna globale per il boicottaggio di Israele, che hanno parlato di Fauda come di «uno strumento di propaganda israeliana anti-araba» che «glorifica i crimini di guerra dell’esercito israeliano contro il popolo palestinese».

Secondo il giornalista palestinese Ziyad Abul Hawa, uno dei difetti di Fauda è quello di non avere coinvolto nessuna maestranza palestinese nel processo creativo. «Se gli sceneggiatori sono tutti israeliani non importa quanto siano buone le intenzioni, perché non verrà mai mostrato in modo realistico ciò che sta accadendo nelle aree palestinesi. Ho sentito che hanno studiato e fatto ricerche, ma c’è comunque bisogno di una persona palestinese costantemente con loro, che dica loro cosa è realistico e cosa non lo è».

Un momento delle riprese di “Qabdat al Ahrar” nella Striscia di Gaza. (Fatima Shbair/Getty Images)

In ogni caso, Fauda ha riscosso un certo successo anche in diversi paesi arabi: ad esempio, a gennaio, quando è stata pubblicata la quarta stagione su Netflix, è entrata nella top 10 delle serie più viste in Giordania, Turchia, Marocco ed Emirati Arabi Uniti, e anche in Libano e in Qatar (due paesi che non hanno rapporti diplomatici con Israele). Nel 2021 una società di produzione con sede a Gaza decise di girare una serie presentata come la risposta palestinese a Fauda, intitolata Qabdat al Ahrar (“Il Pugno dei Liberi”), con protagonisti alcuni guerriglieri di Hamas. La serie fu trasmessa sulla locale Al-Aqsa TV e su altre reti arabe nel 2022.