Ancora una canzone dei Counting Crows

Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
I dischi che ho comprato in quella svendita a Vicenza di cui dicevo la settimana scorsa avevano le loro etichette coi prezzi da scontare appiccicate sopra il cellophane: ho comprato solo edizioni molto nuove, di quelle di questi anni, di maggior qualità, cartone più spesso, vinile anche, e protezione di cellophane. E quindi le etichette erano abbastanza indolori da staccare, anche se non proprio di quelle più facili. Il distacco delle etichette dai dischi ha tutta una sua lunghissima storia di fatiche e sofferenze, aggravate dalle diverse scelte dei negozianti. Ho alcune copertine drammaticamente rovinate da fallimentari tentativi di staccare etichette del prezzo fornite di colle criminali. A un certo punto scoprii persino l’esistenza di estesi dibattiti e di prodotti dedicati, di alterna efficacia. Ma tra le mille doti dei negozianti di dischi, ci sono un paio di difetti che hanno reso imperdonabili alcuni di loro: certe antipatie spocchiose di alcuni di loro (ma provateci voi ad avere a che fare coi clienti dei negozi di dischi, risponderanno loro con qualche ragione) e le etichette criminali.
La rete televisiva americana PBS trasmette stasera un documentario sulla famigerata “war on disco”, culminata nel famigerato evento in cui allo stadio di Chicago furono fatte esplodere centinaia di dischi: storia in cui mi imbatto spesso ultimamente, sia nel documentario sui Bee Gees che in quello su Netflix che si chiama La dinastia del baseball (tutti e due molto belli, l’avevo già detto qui).