Il dibattito su Israele e Palestina in Germania è diverso
Per via della rielaborazione collettiva fatta sulla Shoah la difesa di Israele è più trasversale e riguarda anche la sinistra
In molte parti del mondo nelle ultime settimane sono state organizzate manifestazioni di sostegno agli israeliani o ai palestinesi dopo l’attacco senza precedenti compiuto da Hamas contro Israele il 7 ottobre e i successivi bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza. La guerra in corso ha rianimato un dibattito pubblico che è notoriamente tra i più vivi e sentiti del mondo, e che in quest’occasione, vista la gravità e l’eccezionalità della situazione, sta producendo contrapposizioni particolarmente violente.
Nelle discussioni su Israele e Palestina spesso l’opinione pubblica nei paesi occidentali si divide in fazioni che sostengono con intransigenza l’una o l’altra parte. Le posizioni e argomentazioni sono complesse e stratificate, e ci sono sfumature ed eccezioni, ma storicamente a difendere la causa palestinese è la sinistra, per via dell’impegno contro le varie forme di colonialismo, a cui riconduce la fondazione o almeno lo sviluppo del moderno stato di Israele. Le posizioni a sinistra spaziano infatti da chi nega che Israele sia uno stato legittimo e chi invece si limita a rifiutare le sue politiche espansionistiche ai danni della popolazione palestinese e dei suoi territori. La destra e il centrodestra internazionali invece sono generalmente molto perentori nella difesa di Israele. Il centrosinistra normalmente è a sua volta solidale con Israele e ne sostiene il diritto all’esistenza, anche se di solito con minore bellicosità rispetto alla destra e con più attenzioni alle ragioni della popolazione palestinese.
Ma in Germania il dibattito su Israele e Palestina è diverso, perché a causa della Shoah, il genocidio degli ebrei europei compiuto dal regime nazista nella Seconda guerra mondiale, c’è un sentito e trasversale senso di responsabilità nei confronti di Israele e si fa molta attenzione alle manifestazioni contemporanee di antisemitismo, a cui però spesso sono ricondotte anche le critiche alle politiche israeliane. La rielaborazione collettiva delle colpe tedesche nello sterminio degli ebrei ha fatto sì che oggi, a livello istituzionale e politico ma non solo, la sinistra tedesca sia più nettamente schierata in difesa di Israele rispetto agli altri paesi europei.
Diverse manifestazioni organizzate in Germania in difesa della causa palestinese sono state vietate, cosa che ha provocato proteste e malumori anche perché si ritiene che il paese ospiti la più grande comunità palestinese europea, più di 100mila persone secondo le stime. La comunità si considerava politicamente discriminata anche prima del conflitto attuale, per via di precedenti divieti all’attivismo. I divieti di manifestare nelle città tedesche e gli arresti di molte persone che lo hanno fatto sono stati contestati tra gli altri anche da un gruppo di artisti e scrittori ebrei che vivono nel paese, secondo cui per scoraggiare eventuali giustificazioni dell’attacco di Hamas è stata proibita anche la possibilità di protestare contro l’intervento militare di Israele. A Berlino, dove vive la maggior parte della comunità palestinese tedesca, alle scuole è stata perfino data la possibilità di vietare agli studenti di indossare le kefiah, i copricapi usati anche come sciarpe e considerati un simbolo della Palestina.
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz è stato il primo capo di stato europeo ad andare in visita in Israele dopo l’attacco del 7 ottobre e in quell’occasione ha ripetuto una cosa detta per la prima volta nel 2008 dalla sua predecessora Angela Merkel: che la sicurezza e l’esistenza di Israele sono «Staatsräson», “ragione di stato” per la Germania, cioè un interesse prioritario per lo stato tedesco.
La vicinanza a Israele è un tema sostanzialmente condiviso da tutte le forze politiche tedesche, compresa la Linke, il principale partito di sinistra, che su questo tema si è sempre distinta dal resto della sinistra europea, generalmente vicina alla causa palestinese. Questa distanza di posizioni riguarda anche un movimento politico recente come Fridays for Future. Luisa Neubauer, l’attivista che guida il gruppo ambientalista in Germania, ha preso le distanze dalle iniziative di sostegno ai palestinesi del movimento internazionale, nella cui comunicazione i bombardamenti di Israele su Gaza sono definiti «un genocidio». Secondo un’interpretazione di cosa sia l’antisemitismo molto condivisa in Germania, accusare Israele di «genocidio» nei confronti dei palestinesi, o di «apartheid», è appunto una dichiarazione antisemita.
Wir nehmen die Entwicklungen im internationalen #FridaysForFuture Netzwerk sehr ernst. Unsere Distanzierung von antisemitischen Inhalten ist klar, ich setze mich persönlich für weitere Schritte ein. Mehr Details hier: https://t.co/RpRRccbnO3 pic.twitter.com/gp6ErSEISd
— Luisa Neubauer (@Luisamneubauer) October 28, 2023
«È molto difficile per i tedeschi definire il limite tra antisemitismo e critica a Israele», spiega Tonia Mastrobuoni, corrispondente da Berlino di Repubblica ed esperta di politica tedesca, «perché l’impegno per il “mai più” riferito alla Shoah e il sostegno incondizionato a Israele sono questioni esistenziali per la Germania, senza grandi sfumature tra i partiti».
Per questa ragione è successo più volte in passato che israeliani ed ebrei tedeschi critici nei confronti della politica israeliana fossero accusati di antisemitismo in Germania. Tra le manifestazioni vietate in queste settimane a Berlino per il timore che fossero pronunciati «slogan antisemiti» ce n’era anche una proposta dal gruppo “Jüdische Berliner*innen gegen Gewalt in Nahost”, “Ebrei berlinesi contro la violenza in Medio Oriente”. In una lettera aperta pubblicata dal quotidiano di sinistra Die Tageszeitung il 22 ottobre, più di cento intellettuali ebrei che vivono in Germania hanno «rifiutato l’equiparazione tra l’antisemitismo e qualunque critica dello stato di Israele».
Anche Felix Klein, commissario del governo tedesco per la lotta contro l’antisemitismo, un incarico creato da Merkel nel 2018, ha parlato in modo critico delle restrizioni alla libertà di espressione imposte con i divieti alle manifestazioni a sostegno dei palestinesi: «Mi preoccupano, perché manifestare è un diritto fondamentale».
La lettera pubblicata sulla Tageszeitung ricorda anche che la maggior parte degli attacchi antisemiti denunciati in Germania (ce ne sono stati vari nelle ultime settimane a Berlino) di cui si conoscono le motivazioni è commessa da persone con idee complottiste o di estrema destra. Sono invece minoritari, secondo le statistiche dell’Associazione federale tedesca per la ricerca sull’antisemitismo (RIAS), gli attacchi motivati da critiche a Israele (7 per cento nel 2022) o da idee legate all’estremismo islamico (meno dell’1 per cento nel 2022), come quello avvenuto domenica all’aeroporto russo di Machackala.
Nonostante questo negli ultimi anni in Germania l’antisemitismo è stato associato sempre più spesso agli immigrati di religione musulmana, anche in maniera strumentale, per opporsi all’accoglienza di richiedenti asilo e immigrati di religione musulmana. I politici di estrema destra di Alternative für Deutschland (AfD) hanno più volte dichiarato sostegno a Israele e si sono espressi contro l’antisemitismo descrivendolo come un fenomeno dovuto all’immigrazione, ma anche all’interno dell’Unione Cristiano-Democratica (CDU), il principale partito conservatore tedesco, quello di Merkel, è stata fatta quest’associazione.
L’attenzione all’antisemitismo fa parte del grosso lavoro di rielaborazione delle responsabilità tedesche nei confronti degli ebrei portato avanti dopo la Seconda guerra mondiale, prima soprattutto nella Germania Ovest. Invece i rapporti tra la storia tedesca e la situazione dei palestinesi nella loro terra d’origine, così come in Germania, dove molti vivono in condizione di apolidia, sono stati molto meno analizzati.
Uno dei pochi studi sull’argomento è il saggio del 2020 The Moral Triangle: Germans, Israelis, Palestinians (“Il triangolo morale: tedeschi, israeliani, palestinesi”), scritto dagli studiosi Sa’ed Atshan, palestinese, e Katharina Galor, tedesco-israeliana, che hanno parlato con decine di tedeschi (anche ebrei), palestinesi e israeliani che vivono a Berlino. Il libro descrive come in Germania le ragioni dei palestinesi siano poco ascoltate, ignorate o sminuite per via dell’attenzione privilegiata riservata a quelle israeliane. Racconta poi i comportamenti ambivalenti dei tedeschi quando viene criticato Israele e dice che sebbene tra gli immigrati di religione musulmana siano effettivamente presenti opinioni antisemite (spesso legate a teorie complottiste), è molto diffusa anche l’islamofobia.
In relazione all’attuale conflitto «c’è una enorme differenza tra quello che accade a livello parlamentare, politico e governativo e quello che accade nelle strade», dice Mastrobuoni, «dove c’è un’opinione pubblica chiaramente spaccata, come mostrano le manifestazioni molto partecipate».
Nel dibattito internazionale si è molto parlato del rinvio della cerimonia per consegnare un premio letterario ad Adania Shibli, una scrittrice palestinese, che avrebbe dovuto tenersi il 20 ottobre durante la Fiera del Libro di Francoforte, il più importante evento dell’anno per l’editoria internazionale. La decisione è stata molto criticata, sia nei paesi a maggioranza musulmana, che dagli addetti ai lavori del mondo culturale europei e statunitensi.
Secondo Mastrobuoni la vicenda è esemplare di come in Germania il disagio legato a ciò che riguarda Israele si manifesta con una certa «goffaggine», che si era vista anche l’anno scorso con lo scandalo di Documenta, l’importante mostra di arte contemporanea di Kassel, dove era stata esposta un’opera contenente una rappresentazione di Israele con i tratti tipici dell’iconografia antisemita. In quell’occasione la direttrice di Documenta si era dimessa dopo settimane di accuse e una serie di scuse consecutive.